Nel pantheon romano fervono i preparativi per festeggiare l'ingresso di una nuova divinità greca, di importanza veramente rilevante: Apollo, dio della filosofia, della medicina e della profezia. Vesta nel grande salone è intenta ad alimentare il sacro fuoco mentre Bellona, che è con lei, borbotta: "Con quest'idea di sincretismo religioso, i Romani ci stanno via via deponendo. Gli dèi greci sono il futuro mentre noi latini, oramai, rappresentiamo solo il passato. Mi fa una rabbia, ma una rabbia che scatenerei una battaglia!" Oramai non più giovane, ma di una bellezza guerriera che non ha età, Bellona (moglie di Marte) è venerata a Roma come dea della guerra. A lei è dedicato un tempio, fuori della città, nei pressi di Porta Collina, dove il Senato romano riceve gli ambasciatori stranieri. "Suvvia Bellona!", risponde dolcemente Vesta, "i tempi cambiano, per gli esseri umani come per gli dèi. E noi ci dobbiamo adeguare, dobbiamo aprirci al nuovo." "Ma non vedi che siamo sempre più messi in disparte? Guarda come ci rappresentano: tu sei sempre ritratta con la stessa tunica e capigliatura fuori moda mentre invece anche alla più frivola e sempliciotta delle ninfe si erigono statue sempre più belle e sensuali... per non parlare della maîtresse Afrodite!" Automaticamente Vesta si guarda attorno e tenta di mettere a tacere la sua amica Bellona: "Ehi, non farti sentire troppo in giro con questi appellativi sugli dèi greci. Che penseranno altrimenti di noi? Che siamo gelosi e inadeguati ai cambiamenti? Piuttosto, dobbiamo essere gentili e riconoscenti perché il nostro culto resiste nel tempo." "Per tutte le odissee!", replica Bellona, "Ci stanno facendo fuori e dobbiamo pure ringraziare? Ma non ti rendi conto che tra non molto tu e le tue sacerdotesse sarete a Roma solo un pallido ricordo? E la gente verrà a prendere il fuoco presso il tuo tempio giusto per cuocere le bistecche?" Mentre le due divinità discutono, arriva Vulcano che si annuncia con passo claudicante ritmato da un tonfo e un colpo di tacco. "Ave, care signore!", saluta gentilmente il dio, avvicinandosi a loro con un inchino. "Ma che bel consesso di fuoco", commenta divertita Bellona, "hai qualche folgore pronta da scagliare al nuovo divino greco...?!"
"BELLONA!", dice imperativamente Vesta. "Suvvia, signore!!!", dice Vulcano con tono suadente, "non mi pare il caso di reagire male alle recenti acquisizioni nel nostro pantheon. Eppoi i greci non sono causa nefasta per noi, lo dico con cognizione di causa. Ho udito che sul monte Olimpo vive un certo Efesto che opera anche lui nel mio stesso settore." "Viveva sull'Olimpo, prima di essere scaraventato sulla Terra", rettifica caustica Bellona. "Precisiamo", interviene Vesta, "è vero: si narra che la madre lo abbia scacciato da piccolo per via della sua deformità fisica. Ma è pur vero che Efesto ha poi fatto ritorno sull'Olimpo con molti onori, avendo forgiato dei gioielli bellissimi e un trono tutto d'oro per sua madre..." "Eh sì! Sono note le cacciate di Efesto dall'Olimpo", ammette Vulcano, "nonché la sua preferenza per una dimora nel cuore della montagna... a stretto contatto con i metalli che forgia con grande abilità! Vi è giunta eco, mie care signore, dei capolavori del dio fabbro Efesto? L'elmo e i sandali alati di Hermes, la cintura di Afrodite, l'armatura dell'eroe Achille? E, ancora, l'elmo che rende invisibili di Ade, l'arco e le frecce di Eros? Or dunque, io, dio del fuoco, della folgore romana e protettore dei fabbri, sono assolutamente onorato di avere come alter ego il mio collega greco con la sua eccezionale fucina." E detto questo prende commiato dalle dee per dirigersi verso l'attigua sala dei banchetti. "Vulcano ti ha dato una grande lezione", commenta soddisfatta Vesta rivolgendosi a Bellona, la quale sputa tre volte in terra sentenziando: "Che l'Averno possa presto popolarsi dei nuovi venuti!" La maledizione lanciata da Bellona lascia Vesta senza parole. Entra nella sala un gruppo di ninfe garrule e, tra mille risolini, ammiccanti, tutte intente a raccontarsi pettegolezzi su Apollo: "Ma lo sapete quanti figli ha?", domanda una di loro in falsetto. "Non si contano", risponde un'altra. "Ma sì! Conosco diversi nomi di amanti e di figli del divino greco!", aggiunge una delle ninfe meliadi. "Puah! Mi si cariano i denti in bocca a sentire i vostri discorsi!", interviene caustica Bellona. "Ma noi adoriamo i gossip! Orsù facci l'elenco!", esorta una naiade, noncurante del commento disgustato di Bellona. La meliade declama la lista: "Allora: diverse ninfe (beate loro!), tra cui Cirene, Coricla, Driope, Coronide.
Quest'ultima fu la madre di Asclepio, il famoso dio della medicina. E poi Acacallide, il primo amore, figlia di Minosse, e ovviamente Dafne, Cassandra, Giacinto..." "Parli della famosa Dafne tramutata in cespuglio di alloro per non cedere alle lusinghe del dio?", domanda una ninfa dalla voce molto melodiosa. "Esattamente! E non mi chiedi nulla della famosa Cassandra, figlia di Priamo, re di Troia? Apollo, per sedurla, le promise il dono della profezia. Ma Cassandra, dopo essersi accordata con il dio, si tirò indietro sicché Apollo le diede ugualmente il dono pattuito ma con la tremenda condanna di profetare senza riscuotere credito da parte di alcuno." "E brava. Ci vuole coraggio a dire di no a un dio...", commenta Bellona e poi aggiunge, "uhhh, ma come mi è antipatico questo Apollo!!!" Un tuono e un colpo di gong irrompono nella sala. "Di chi è questo vociare femminile?!", si ode una voce cavernosa. "Oddioooo... è Giove!!!", bisbigliano le ninfe mentre scappano cercando un nascondiglio. Entra il dio-padre. Barbuto e capellone, sontuosamente vestito. Si ferma davanti a Bellona e batte tre volte il bastone in terra. Tre colpi che producono un suono sordo e potente. Ma la dea romana non batte ciglio e con voce ferma si rivolge al dio: "Ave, Giove. Il futuro è sulle tue ginocchia." "Ben detto, Bellona. Quindi, ti sarà facile capire come qualcuno possa facilmente scivolare via dalle mie gambe se..." "Ti vuoi disfare di me, non sono più utile nel tuo pantheon?", incalza la dea, "Accomodati pure, tanto nemmeno figuro tra gli olimpici: sono una divinità antica e minore, relegata a fare il fanalino di coda, no?" "La mia pazienza ha un limite, Bellona!", replica Giove. Intanto le ninfe bisbigliano tra loro: "Ma chi sono questi olimpici?", chiede qualcuna. "Sono le dodici divinità principali della mitologia greca, dette anche dodekatheon", risponde saccentemente la sua compagna di nascondiglio, "il loro nome è originato dalla provenienza: il monte Olimpo. I favolosi dodici sono conosciuti e identificati anche a Roma, con nomi latini, e si mescolano a culti antichi e personalità di precedenti divinità autoctone. Intanto Bellona indietreggia, ora lievemente spaventata dai toni di voce di Giove.
In modo più remissivo risponde: "Accetto la gerarchia del cielo e mi rimetto alla tua volontà ma...", e qui tira un grande respiro per farsi coraggio, "vorrei che anche i greci facessero uno sforzo per identificare noi latini presso il proprio pantheon." Giove ha un improvviso moto di pietà e, paternamente, risponde: "Ma sì, mia cara. Anche tu hai un tuo corrispettivo nella mitologia greca. Si chiama Enio ed è una divinità femminile associata ad Ares. Insomma, proprio come te con Marte, con cui condividi l'interesse bellico..." "Già...", risponde sconsolata Bellona, "Ma questa Enio non ha un vero e proprio complesso mitologico autonomo..." "Beh?!", incalza Giove, "non sei contenta di essere tu, più importante di lei?
Non era quello che volevi? Un grammo di divina supremazia latina su quella greca?" Bellona diviene rossa in volto e farfuglia parole... sembra che Giove le abbia tolto ogni argomento. Ma il dio non ci fa caso perché viene distratto da sua moglie che lo chiama: "Gioveeeee!? Ma dove sei?" Entra Giunone, una dea pingue, con un evidente belletto rosso sulle guance e un abbigliamento lievemente trasandato. Giove non fa in tempo a risponderle che la dea lo incalza: "Insomma, devo uscire, sono in ritardo e il sarto mi aspetta. Ma dove si è cacciato il tuo cocchiere Gaminede...?" Giove, spazientito, diviene scuro in volto: "Ma insomma, Giunone! Quante volte te lo devo ripetere? Ga-ni-me-de è il suo nome e non è affatto un cocchiere ma un coppiere. Se devi proprio uscire, chiamati un auriga qualunque." "E ti pareva! Guai a toccarti il giovane Ganimede... e che sarà mai, potrebbe accompagnarmi lui... o temi che si sciupi la sua bellezza?" Giove tace e la dea continua lamentosa: "Perché qualche volta non ti curi anche di me? Non t'importa nulla del mio nuovo abito per la cerimonia di accoglienza di Apollo!" "Chiedi a Vulcano se ti presta il suo carro... era da queste parti poco fa...", le suggerisce pacatamente Giove. "Non posso, Vulcano non vuole!", risponde con tono piagnucoloso Giunone, "è un carro trainato da cani e io sono troppo pesante!" "E allora, cerchiamo un tiro a quattro cavalli!", replica Giove con aria rassegnata, "ti va bene il carro del Sole? Ti faccio chiamare Fetonte, così risolviamo il problema." "Fetonte...? Ma guida come un pazzo!", lamenta Giunone la quale, dopo un'occhiataccia del marito, non ha più il coraggio di replicare alcunché.
Giunone esce di scena ed entra Bacco, con un'andatura incerta: il dio del vino è chiaramente alticcio. Lo segue uno stuolo di baccanti che trasportano con cariole delle anfore di vino bianco e rosso, grappoli d'uva, viticci ed edere. Dispongono i viticci e le foglie d'edera sulle pareti, a motivo ornamentale, e sistemano l'uva e il vino sui tavoli nella sala dei banchetti. Mentre le baccanti lavorano, si ode la voce di Bellona in una cantilena sguaiata: "Apelleee, figlio di Apollooo, fece una palla di pelle di pollooo... Tutti i pesci vennero a galla per vedere la palla di pelle di pollo fatta da Apelleee figlio di Apollooo..." Poi, subito a seguire, tra le risate delle ninfe, la voce di Vesta: "Mi dici tu che hai per la testa? Tu, Bellona, rischi di finire molto male, te lo dico io! Ti stai esponendo a un gioco assurdo, a poche ore dall'ingresso di Apollo." La dea della guerra non fa in tempo a rispondere che sopraggiunge Bacco: "In vino veritas e, hasta la victoria, siempre!" "Siempre!", fa eco Bellona. Vesta li guarda affranta ma Bacco continua: "Bellona ha ragione... Ora che Apollo è con noi, il lato razionale e civile della natura umana avrà la meglio sull'ingegno, la passione e l'estasi creativa che io e Dioniso impersonifichiamo... Nel nostro cielo già si addensano nubi gravi..." Dopo qualche istante di silenzio: "Dioni... chi?!", domanda Bellona. "Dioni-so", risponde Vesta, "l'altro nome di Bacco." Ora Vulcano, che ha seguito la conversazione, si unisce al gruppo e commenta: "Suvvia signori... il motivo di questo festeggiamento è ovvio..." "Tanto è vero che lo sappiamo pure noi", rispondono le ninfe. "Come dite?", domanda Bellona alle ragazze. "Apollo", a parlare è una naiade, "è il figlio di Giove-Zeus, avuto da Latona sull'isola di Ortigia, dove costei si era rifugiata per sottrarsi alla gelosia di Giunone o, Era, se preferite chiamarla alla greca..." "Il solito raccomandato!", chiosa Bacco. "Ma no! E' suo figlio! Come potete pensare non venga accolto nel pantheon di Giove!", conclude Vulcano. "Certo!", aggiunge Bellona, "ma così son tutti bravi a fare i sincretici!!!" E mentre la discussione sembra non possa avere fine, Vesta, con un urletto scappa via... verso il sacro braciere. La segue Bellona. "Fiuuu... per poco il sacro fuoco non si spegneva... sei tu ad avermi distratta, tu e le tue proteste, diavolo di una Bellona!" "Eh eh...", replica la dea della guerra, "le discussioni conflagrano sempre meglio delle fiamme. E la polemica accende gli animi come in battaglia.
Quindi, per concludere... POLEMOS... per tacer dei greci!!!"
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