Marco Polo

[Racconto di Paola Manoni]



Parla Rustichello da Pisa:

Dovevo stare attento che i roditori non mangiassero il manoscritto.
La cella era buia e alle volte non era facile identificare la presenza di topi.
Noi lo sapevamo.
E facevamo finta di scordarcene.
I genovesi non sono certo gente pulita e la loro attitudine è crudele.
Nessuna differenza o pietà, nemmeno per i prigionieri illustri.
Messer Marco Polo, ad esempio.
Anzi, con Marco si mostrarono ancor più efferati durante il tempo di prigionia.
Lui, il mio compagno di cella, mi raccontava dei suoi viaggi mirabili e delle sue imprese.
Io li ho raccolti in un volume, che per affetto chiamo il Milione che poi è il soprannome della stirpe dei Polo (viene dal leggendario antenato di famiglia di nome Emilione):
"Né cristiano, né pagano, saracino o tartaro, ne niuno homo di niuna generazione non vide né cercò tante meravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo."
Iniziò a viaggiare che era giovanissimo.
Di origine veneta, Marco Polo nacque nel 1254 in una famiglia di nobili e facoltosi mercanti.
Suo padre e suo zio Matteo, proprio negli anni attorno alla sua nascita, avviarono una compagnia di affari durante la loro permanenza in Crimea.
Spirito della famiglia era quello di viaggiare, stabilire contatti commerciali con molti paesi d'Oriente, percorrere la via della seta fino in Cina.
Infatti, nel loro viaggio i fratelli Polo raggiunsero la corte del grande Qubilai, il conquistatore e unificatore della Cina, discendente del mitico Gengis Khan.
Durante questo primo viaggio ottennero dei privilegi molto importanti, come la dignità nobiliare mongola.
Questo impressionò moltissimo Marco, il quale a quindici anni sognava di seguire il padre nelle imprese di viaggio.
Marco riuscì nel suo intento.
Convinse il padre a portarlo con lui.
Abbandonò la casa veneziana e stette via per ben venticinque anni.
Il primo incarico che Marco ebbe dal Qubilai fu d'ispezionare le regioni al confine col Tibet e lo Yun-nan e venne elevato alla dignità di messere.
Un titolo importantissimo poiché lo designava uomo di fiducia e ambasciatore personale del sovrano presso tutti i popoli dell'impero.
Marco raccontava e io scrivevo di tutte le sue attività amministrative, delle ambascerie e incarichi diplomatici e quindi di paesi e popoli misteriosi e diversi da noi.
Tra i tanti incarichi, uno dei più importanti fu la nomina nel 1278 a governatore di Hang-chou, capitale del reame del Mangi.
Marco si stabilì nella città di Caigiaqui, all'ingresso del regno Mangi, verso sud-est.
Questo luogo era luogo di scambio commerciale, città famosa per la produzione del sale che veniva venduto a ben altre quaranta città.
Non lontana da questa città, la località Pauchi, altro luogo dove Marco ebbe molti scambi e dove trovò l'amore.
Si arrivava in questa città per un'unica strada lastricata con pietre.
La prima volta che Marco vi entrò era per motivi di affari.
Qui si trovava la seta più bella del regno del Mangi.
Così una mattina di maggio, mentre cercava qualche occasione al mercato, vide una bellissima ragazza, dall'andatura elegante, vestita di bianco, con la sua servitrice che camminava a venti passi da lei.
L'occasione commerciale venne dimenticata immediatamente per far posto al desiderio di conoscere la ragazza.
La vide per diverse mattine, fino a che non prese il coraggio di fermarla. E anche se brevemente, parlarle.
Non era consentito abbordare le donne in pubblico.
Nonostante la grande passione per questa ragazza, Marco decise infine di rinunciarvi.
Sarebbe dovuto rimanere in Cina e sposarsi se avesse frequentato assiduamente una ragazza.
Sicché valsero per lui soltanto delle tenere amanti che potevano tutelare la possibilità di tornare un giorno a Venezia.
E infatti, nel 1292 i Polo salparono dal porto di Zaitun per iniziare per mare il viaggio di ritorno in patria.

Fino alla morte rimase legato all'attività di mercante e alla diffusione del Milione che circolò in diversi esemplari di manoscritto per le corti europee.
Copie del testo furono date a Carlo di Valois, fratello di Filippo Carlo il Bello; circolarono presso la corte portoghese e in molti altri ambienti principeschi.
Quanto a me, io rimasi in galera per un tempo più lungo ma scrissi altri libri come il Meliadus, romanzo in prosa intitolato dal nome del padre di Tristano, e diverse volgarizzazioni dei testi del ciclo bretone.

 

 

 

 

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