La Morte Nera (1347-1351)

[Racconto di Paola Manoni]



Parla Boccaccio:

Di tanta disperazione che sfila nelle strade di Firenze, perché dovrei farne anch'io una descrizione?
Quanti fiumi d'inchiostro saranno stati scritti, in questo tragico 1348, sulla peste nei suoi aspetti più trucidi?
Terrore, morte, disperazione, flagello di Dio?
Perché anche la mia prosa dovrebbe odorar del lezzo dei cadaveri?
Del fiato pestilenziale degli ultimi rantoli degli amici che non ci sono più?
Il morbo sta prendendo tutta la nostra vita, in ogni suo aspetto.
Non voglio che lasci una traccia maligna nella mia scrittura.
Non voglio una cronaca della mia Firenze in stracci.
Di lunghe file di cadaveri fuori delle case, in attesa del trasporto nelle fosse comuni.
Della frenetica distribuzione da parte dei preti di frettolose assoluzioni ed estreme unzioni.
Delle grida di donne e della morte dei figli.

Non posso nemmeno ignorare la realtà del contagio né l'evidenza dell'epidemia.
Come chiudere gli occhi su cotanta rilevanza...
Tuttavia, sento come la peste sia cagione di cambiamento di valori e la mia scrittura corre alla ricerca del modo d'affrancarsi dall'attualità del morbo.
Perché fuggire, in questo caso, vuol dire trovare altre forme di vita.
E sarò giudicato per incitazione alla trasgressione e alle norme di convivenza sociale?
E sarò dai posteri paragonato alla futura penna del Manzoni che descriverà la peste Seicentesca negli accenti della pietà cristiana mentre si dirà che io avrò raccontato la mia Fiorenza appestata in una soggettiva epicureica visione?
E sia quel che sia!
Mica posso scrivere il Decamerone pensando ai posteri!
Ognuno scriverà quel che vorrà... a me fa voglia di scriver come fuggire il morbo... e trovare una chiave nuova per pensare alla liberta dell'homo dalla pestilenziale plaga!
Io sono convinto che questo flagello abbia messo in crisi molte certezze.
State per caso strologando quali?
Vediamo di elencarle:
Le autorità delle leggi... perché?
Ma per una ragione banalissima!
Allo stato attuale, nessuno è in grado di far rispettare le leggi.
Sembrano tornare i rapporti basati sulla forza, sul potere individuale.
E che dire poi della famiglia?
La paura della morte fa vacillare gli obblighi determinati dai legami di parentela.
I malati rimangon soli, tra le braccia della malattia.
La gente scappa anche davanti alla propria madre moribonda.
Anche davanti alle invocazioni d'aiuto del proprio figlio.
E poi, la peste ha prodotto un forte cambiamento nel senso di proprietà: viene meno la cura dei propri beni.
Inoltre vi è l'appropriazione delle cose altrui... lo sciacallaggio è all'ordine del giorno...
Anche l'ordine morale è divelto.
La trasformazione dei corpi appestati fa cadere il senso di decenza... così le belle, giovani e nobili donne si fanno curare da chicchessia medico, pur di tentare di sfuggire alla morte.
Come pure i costumi e i riti funebri e le sepolture che non han più classe sociale... i funerali son eseguiti succintamente per timore delle esalazioni del morbo dai corpi e questi trasportati collettivamente nelle fosse comuni.
E' chiaro che la peste sta cambiando i vincoli morali e istituzionali...
Allora, come fare per non soccombere, per conservare quanto meno il segno della bellezza?
Fuggire, rifugiarsi nell'oblio...

Voglio raccontare come la peste sia condizione per ritrovarsi in un altrove e mostrare possibilità nuove per l'individuo.
In altre parole, se il morbo è in città, cantiamo la vita nella campagna!
Ecco dunque come si profila il mio progetto di sceneggiatura.
Un gruppo di ragazzi s'incontra in Santa Maria Novella... son giovani uomini e donne!
Le donne le voglio immaginare di belle forme e ben vestite... sì!
Via gli stracci della peste!
E che sian fanciulle leggiadre!
Gli uomini saranno invece amabili e legati alle ragazze da vincoli di parentela o di cuore.
La brigata, vediamo un po'... decide di lasciare Firenze per scappare alla peste.
Si trasferiscono in campagna, secondo convenzione cortese, ciascuno con i propri servi.
I ragazzi con le loro attività oziose fonderanno un tempo non scandito dall'orologio della morte.
E si daranno nuove regole sociali.
Il loro sarà il tempo della festa e vita di allegrezza.
Utopia? Sissignori, utopia!
Non è mica uno scandalo...
Tanto si sa che la libertà della festa è provvisoria perché vive in un non-luogo e vale solo per un élite!
Ma in questi tempi oscuri, ci si lasci sognare, almeno con la penna!
Orbene... i personaggi... tre fanciulli e sette fanciulle, sì... meglio una maggioranza femminile, renderà più gaia la narrazione!
Saranno loro a dilettarsi nella narrazione di novelle!



Voglio che l'opera sia intrisa del senso di amore, fortuna e ingegno.
Amore per esprimere le qualità dell'uomo e la bellezza avvenente delle donne nella natura.
Che sia il canto dell'Eros in tempo di peste dove in un mondo nuovo il morbo si dilegua.
Scompare il male del vivere e trionfa il bene.
E lasciamo i pure i critici dire che non sono stato penetrato religiosamente e nemmeno tragicamente dal terrore della peste e che non sono un descrittore atterrito e pensoso di un quadro di colore di miseria umana ma che mi rivelo stupito e incantato di un qualche prodigio romanzesco...
Ebbene sì: ognuno supera la morte come può!
Avete qualcosa da ridire... voi?

 

 

 

 

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