Robin Hood

[Racconto di Paola Manoni]





Parla Robin Hood:

La neve ricopriva l'entrata della stalla ormai deserta.
Uno zoccolo compatto di ghiaccio bloccava le finestre del vestibolo della casa.
L'inverno più rigido che io ricordi degli ultimi dieci anni.
Rigido nel clima e nelle condizioni esistenziali.
Non avevamo più nulla; mangiare era un pensiero doloroso perché il cibo era quasi totalmente assente.
La mamma cercava di rattoppare i nostri vestiti, talmente consumati che il tessuto si sfrangiava al passaggio dell'ago, rendendo quasi impossibile la cucitura.
Noi ragazzini poveri della contea stavamo crescendo senza infanzia né sorriso e tanto meno svaghi.
Il mio unico giocattolo era un arco che avevo costruito con uno spago e un bastone flesso ben lavorato.
Mi ritenevo molto fortunato ad averlo realizzato.
Via via ne costruii degli altri per i miei amici coi quali passavo ore a fabbricare le frecce.
Io e la mamma avevamo in comune un temperamento gioviale e uno spiccato spirito di adattamento.
Riuscivamo a sopravvivere senza drammatizzare.
Solo i morsi della fame rendevano difficili le nostre giornate.
Gli esattori di Giovanni Senzaterra non ci facevano più paura.
Ci avevano portato via tutto sicché non potevano più colpirci e questo, anche se è un paradosso, procurava una piccola felicità... che durò finché mia madre non si ammalò.
Accadde tutto all'improvviso.
Eravamo nel bosco, a cercare dei funghi.
Io tenevo un buon passo anche se il mio sguardo frugava tra le erbe e le foglie del terreno.
Mamma era dietro di me, camminava più lentamente... lei aveva la capacità di individuare i funghi dall'odore.
Li sentiva anche a distanza.
Quel giorno sembrava tutto normale, come tante altre volte.
E invece successe qualcosa.
Mia madre, di punto in bianco, cadde a terra come svenuta.
Un tonfo sul letto di foglie del sentiero.
Tornai subito sui miei passi.
La trovai accasciata.
Il cestino dei funghi ruzzolato.
Respirava impercettibilmente ma era viva.

La portai a casa correndo a perdifiato, sopra le mie forze.
Rimase in questo stato due giorni.
La gente del villaggio andò da James Hoogings, valvassore di Giovanni Senzaterra, implorando un medico che non arrivò.
Morì all'alba del terzo giorno.
In silenzio, senza disturbare nessuno.
Una morte riservata, come era lei.
Qualcuno mi disse che poteva trattarsi di ictus cerebrale o di qualche altro disturbo. Non si sarebbe potuto fare nulla per salvarla.
Ma la mia rabbia... la mia rabbia cresceva ogni giorno.
Se fossi stato ricco, forse lei avrebbe avuto una vita migliore e non si sarebbe ammalata.

Il tiro con l'arco era l'unica cosa in grado di alleggerire il dolore e l'ira.
Spesso da solo, a volte in compagnia degli alti ragazzi, andavo a tirare nelle radure dei boschi o sulle sommità rocciose delle colline della contea.
Un giorno John e io eravamo in cima a un pendio, tirando con l'arco.
Sotto di noi passava un carro di gente ricca (chiunque abbia un carro, di questi tempi è da considerarsi ricco).
"Ehi, John, scommetti che riesco a mirare la carrozza in movimento?", dissi a John con convinzione.
Lui mi rispose subito osservando come fosse pericoloso perché rischiavo di uccidere qualcuno...
"No! La mia freccia l'attraverserà da parte a parte, senza ferire alcuno!"... ciò detto mirai... puntai l'arco.
Il colpo era carico.
Tesi al massimo il braccio che teneva l'arco mentre l'altro, piegato, era pronto a scoccare il dardo.
Un frustata in aria e non fallii l'obiettivo.
La carrozza si arrestò di colpo e ne scesero due uomini impauriti che imploravano pietà e ripetevano di non ucciderli... avrebbero consegnato tutte le ricchezze che trasportavano per avere salva la vita!
Ci avevano scambiato per briganti!
Un'idea balenò nella mia testa.
"Se non te la senti, resta qui nascosto!", dissi velocemente a John, a bassa voce, "altrimenti seguimi e bendati il volto col fazzoletto, ma sbrigati!"
Il mio tono non ammetteva deroghe.

Vidi John tremante che estraeva il fazzoletto dalla tasca.
Non avevo tempo e non badai molto a capire se mi seguiva o meno.
D'un balzo scesi dalle rocce.
"Mani in alto!", urlai, "Siete sotto tiro!"
Effettivamente tenevo l'arco puntato verso di loro, con una freccia già pronta a colpire.
Mi avvicinai a loro con lucidità e gelido distacco.
"Cosa trasportate?", domandai con tono secco e minaccioso.
Invero ero più teso del mio arco ma ero risoluto nel perseguire la mia idea.
Mi risposero che sul carro c'erano derrate alimentari destinate al Castello di Nottingham.
Sentivo dietro di me il passo affrettato di John a cui dissi subito di saltare sul carro e controllare.
John salì sul carro.
Sentivo che apriva scatole, armeggiava con botti, cassette...
Dopo poco scese.
Aveva un'aria da estasi.
Giurò di non avere visto mai tanta roba da mangiare in vita sua!
Imprecai contro Giovanni Senzaterra che consideravo l'assassino di mia madre, dispensatore di morte per la vita di stenti in cui aveva costretto noi e tutto il popolo inglese.
"Prendi del pane e del formaggio, John", ordinai al mio amico, "Mettili in una bisaccia, se la trovi."
John tornò sul carro e in pochi minuti preparò quanto gli avevo chiesto.
Io non staccavo gli occhi di dosso dai due malcapitati.
Mossi solo il collo per indicare a John di depositare la bisaccia ai piedi dei due.
"Ora", dissi rivolgendomi ai due cocchieri, "andate al Castello... Dite a Giovanni che Robin Hood riprende quel che lui toglie alla gente. Ditegli pure che da oggi ha un nuovo nemico... e raccogliete la borsa... è per voi!"

Oggi ho perso il conto delle rapine e dei furti che ho organizzato, se così li vogliamo chiamare.
Ho perso anche il conto delle taglie messe sulla mia testa... ma la gente mi segue e mi protegge.
Non mi avranno mai... NON MI AVRANNO MAI!!!

 

 

 

 

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