Un difficile ritorno




[Racconto di Giovanna Gra]



"E dai, ti pregooo!", disse Simone a Francesca esageratamente disperato.
Francesca consultò l'orologio, quindi fissò i tre ragazzini:
erano stesi sul tappeto con la faccia fra le mani in attesa del racconto serale.
Francesca prese il biglietto che Silvia, la mamma di Andrea e Martina, le aveva lasciato accanto alla ciotola della frutta e lo consultò velocemente:

"Cara Francesca, grazie, grazie, grazie!
Spero di tornare prima di mezzanotte, anche perché che si tratta di una noiosissima cena di lavoro.
I ragazzi non vedono l'ora di ascoltare la storia che hai preparato.
Ma sopra ogni cosa, non vedono l'ora di sapere se riusciranno, anche questa volta, a risolvere il quesito che porrai loro.
Una bella soddisfazione per te, visto che ultimamente preferiscono il tuo gioco alla tv, ti pare?
Anzi, non ti nascondo che sono un po' curiosa anch'io, perché ci lasci sempre con degli interrogativi molto divertenti...
Buona serata, a più tardi, Silvia.
"

Martina attese che Francesca finisse di leggere il biglietto e disse:
"Mamma ha detto che se credi la puoi chiamare anche alla festa."
Francesca sorrise.
"Non è una festa, è una cena di lavoro."
"Alloraaa?", chiese Andrea, lamentoso.
"Allora", disse Francesca, "avevo preparato una storia che non mi sembra più tanto adatta.
Quindi, forse, stasera... niente storia.
Ecco tutto."

"Eddai Ma'...", intervenne Simone, "Stai scherzando vero?"
"No, Simone", ribatté Francesca prontamente.
"Ma perché???", le fece eco suo figlio.
"Perché pensavo che saremmo venuti nel pomeriggio a tenere compagnia a Martina e Andrea.
Invece Silvia ha avuto un cambio di programma e adesso la storia che avevo preparato non mi pare più adatta.
Ok?"

"Perché?", domandò Andrea polemico, "Ci sono storie che si possono raccontare solo all'ora del tè e altre solo all'ora di cena?"
"Ci puoi scommettere", replicò Francesca.
"Conoscendovi, credo che alcune storie, se raccontate nel pomeriggio, possono essere metabolizzate meglio.
Diversamente, corriamo il rischio che qualcuno poi non dorma la notte", concluse Francesca leggermente allusiva.
Quindi, prese il cellulare e si mise velocemente a digitare un sms.

Andrea, quasi schifato, si voltò verso sua sorella Martina:
"Visto?"



"Visto cosa?", chiese lei, innocente.
"Capisci quando dico che sei la sciagura della mia vita?"
"Chi? Io?", rispose lei cadendo dalle nuvole.
"Sì, tu!"
"Cosa c'entro io?", insistette lei candida.
"Secondo te chi è che non dorme quando ascolta delle storie che fanno paura?"
Martina si alzò in piedi indignata.
"Io non ho paura delle storie!"
"Ah no?!
TU non hai paura delle storie?!"
"No, per niente!"
"E di chi avresti paura, allora, quando rompi nel bel mezzo della notte???", la provocò Andrea indignato.
Martina si mise in ginocchio per argomentare una difesa e assunse un'aria dotta e sussiegosa.

"Caro stupido fratello, io delle mie paure ho parlato molto di più di te che, intanto, hai fifa degli assassini!"

"Embè", le fece Andrea sprezzante, "Vorrei vedere chi non ne ha... anche gli adulti hanno fifa degli assassini, che cosa credi?"
"Sì, ma tu non lo dici sempre e a volte fai finta che gli assassini ti fanno un baffo", lo zittì la ragazzina con tono di plateale rimprovero.


Simone e sua madre seguivano l'accesa discussione fra i due fratelli senza riuscire a intervenire.
In effetti, Andrea e Martina continuavano a dirsele di santa ragione in maniera sempre più incalzante.

La palla era ad Andrea che ne approfittò all'istante.
"Beh, meglio fare finta che parlarne tutte le sere.
Che rottura!
Che noia!"
La ragazzina continuò.
"Caro il mio fratello del cavolo, se ne parlo tutte le sere è perché me lo ha consigliato papà.
Tiè!"
Andrea sbuffò ridendo:
"Seee, figurati, papà...!"
"Sì, papà", lo aggredì Martina, piccata.
"E se tu avessi il coraggio di parlare delle tue strizze, papà ti direbbe che delle cose che fanno paura più se ne parla e meglio è!"
"Beh, non mi pare che con te funzioni", commentò polemico Andrea.
"Certo che funziona.
Le mie paure le conoscono tutti, mentre dei tuoi assassini non si sa un bel niente."
E concluse la frase con una bella linguaccia.
"Ah sì?!
E cos'è che si sa della tua fifa?", chiese Andrea, sprezzante.
Martina, nonostante suo fratello fosse di qualche anno più grande e sicuramente fisicamente più imponente, non si fece intimorire.

"Nomi e cognomi, caro mio, ecco cosa si sa."
Il ragazzino era scettico, lei continuò.
"Io ho paura dei draghi, del buio, di Voldemort, di Edgar degli aristogatti, di Scar nel re Leone, di Ade di Hercules, di Shere Kan nel libro della giungla, di Lord Farquaad di Shrek, di Alameda Slim di mucche alla riscossa, della regina di cuori nel paese delle meraviglie, dello sceriffo di Notthigam e, qualche volta, anche del principe Giovanni.
Poi di Soto nell'Era glaciale 1, di Tornado e Cretaceo nell'Era glaciale 2 e di Rudy nell'Era glaciale 3.
Di tutti questi ho paura, sì.
Ma NON HO paura delle storie!"

Andrea strabuzzò gli occhi sputacchiando qua e là trattenendo platealmente una risata.
Si vedeva lontano un miglio, però, che qualcosa, nei ragionamenti di sua sorella lo spiazzava.

Francesca cercò subito di riprendere in mano la situazione per evitare un secondo round.
"Sapete cosa facciamo?"
I tre si voltarono verso di lei, speranzosi.
"Chiediamo un parere."
Francesca prese il suo smartphone e con un tap sullo schermo compose il numero della mamma dei due ragazzi.
"Pronto, Silvia?
Scusami se ti disturbo, ma avremmo urgenza di una risposta.
Volevo sapere se, secondo te, era il caso di raccontare quella storia di cui ti ho scritto nel messaggio."
I tre bambini rimasero in silenzio in trepidante attesa.
Francesca si allontanò verso la finestra.
"Mhhh... anche se può fare un po' paura?
Sicura?
Ok, va bene."
E chiuse la comunicazione fissando i ragazzi.
Andrea si fece avanti.
"Allora?
Che ha detto?"
"Ha detto ok.
Ha detto che Martina, ormai, sa bene come gestire i racconti che le fanno paura... sempre che quello che sto per raccontarvi sia uno di questi..."
Martina fece una scrollatina di spalle impertinente e consapevole verso il suo scettico fratello.
Francesca proseguì.
"Quindi... possiamo cominciare!"
I tre ragazzini si rimisero a pancia sotto sul grande tappeto di casa, le facce fra le mani, pronti per essere trasportati in altri mondi dalle parole della mamma di Simone.

"Chi di voi conosce Ulisse?"
Simone saltò su per primo.
"Io!
Non è quello che ha imbrogliato Polifemo?"
"Esatto", disse Francesca annuendo, "Ma non è l'unica avventura che gli è capitata e io voglio raccontarvene una in particolare."
"Ma ci dici la storia un po' dall'inizio?", chiese Andrea.



"Ok, vada per un veloce riepilogo", acconsentì Francesca.
"Un giorno, Ettore, principe di Troia, era andato a trovare un suo vicino, tal Menelao, Re di Sparta, nonché la sua giovanissima e bellissima moglie."
"Oh...", l'interruppe Simone, "Ma com'è che i re hanno sempre mogli fighissime?"

"Figurati...", gli fece eco Francesca, "Elena non solo era bellissima, ma all'epoca era ritenuta la più bella di tutte le donne!"
"Bum!", esplose Andrea scettico.
"E' così, che ti piaccia o no.
Elena era universalmente nota per la sua bellezza.
Ad ogni modo, tornando a noi, Menelao era a Creta, ma aveva disposto che Ettore fosse accolto con una cena, è il caso di dirlo, assolutamente... ehm, regale.
Ettore era giunto a Sparta con un discreto seguito di persone e fra queste vi era anche il principe Paride, suo fratello più piccolo.
Paride, per la cronaca, era giovane e anche lui considerato molto, molto bello."

Martina, per riflesso condizionato, alzò la mano per dire la sua.
"Io lo conosco Paride!"
"See, va beh...", borbottò suo fratello Andrea.
"Seee, proprio!
Nella vita di tutti i giorni si chiama Orlando Bloom."
"Ah sì?", chiese Francesca divertita.
Martina assentì convinta, mentre suo fratello fece il gesto di uno che proprio non voleva sentirne di stupidaggini del genere.
Francesca, per evitare altre discussioni, continuò.
"Ad ogni modo, alla cena, Paride/Orlando Bloom, appena arrivato, incrociò lo sguardo della bellissima Elena."
"E non ce ne fu più per nessuno", chiosò Simone profetico.
"Esatto", convenne Francesca.
"E, al momento degli addii, i due erano talmente persi l'una dell'altro che, incapaci di separarsi, si nascosero nelle nave troiana del mitico Ettore per fuggire insieme da Sparta."
"Ma a Ettore non gli giravano le scatole?
No, perché, 'sti fratelli più piccoli... una bella rottura", sentenziò Andrea senza perdere l'occasione di provocare Martina.
"Certo che tu, d'amore, non ci capisci una cippa", lo zittì Martina in aperta polemica.
"E per fortuna che Ettore non era ottuso come te.
Perché mi pare chiaro...", concluse Martina rivolta a Francesca, "che Ettore capì subito che il fratello si era innamorato e quindi lo aiutò a scappare. Giusto?"
"Non so se sia andata proprio così, Martina", rispose Francesca poco convinta, "Resta il fatto che, essendo fuggiti, i due non potevano certo tornare da Menelao, re arcinoto, nell'arcipelago greco, per essere un tipo molto fumantino e per niente conciliante."
"E allora?", chiese Martina angosciata.
"E allora, i due innamorati arrivarono a Troia, dove Priamo, padre di Ettore e di Paride, li accolse con grande affetto e con altrettanta preoccupazione.
Ora, per farvela breve, al suo ritorno, Menelao, prima chiese ufficialmente la restituzione della moglie.
Quando fu chiaro che Elena non sarebbe tornata, chiese aiuto a suo fratello Agamennone e agli altri principi greci.
I principi lo appoggiarono tutti e lui dichiarò guerra a Troia.
Poi chiamò un sacco di valorosi guerrieri, fra cui Ulisse e il prode Achille."
"Che nella vita è Brad Pitt", aggiunse prontissima Martina.
"Esatto", convenne ridendo Francesca.
"Alla faccia del fumantino", osservò Simone, colpito.
"Eh, già.
E scatenò una lunga, lunga guerra, che alla fine fu vinta solo grazie ad una trovata dell'astuto Ulisse."
"Cioè?", chiese Simone.
"Il come e il dove ve li dirò un'altra volta, magari con un'altra storia.




Quello che mi preme raccontarvi questa volta e su cui si baserà la domanda finale del nostro gioco riguarda il ritorno di Ulisse", disse Francesca.

"Quale ritorno...?
Io non ho capito...", chiese Martina confusa.
"Beh...", osservò Francesca, "Per fare la guerra, tutti i principi favorevoli a Menelao dovettero andare a Troia con i loro eserciti.
Tuttavia, la città aveva delle mura altissime ed era davvero difficile espugnarla.
Questo significò, per i soldati, passare un lunghissimo periodo fuori casa e poi, una volta finita la guerra, tutti quegli eserciti avrebbero dovuto affrontare il ritorno.
Ora, lungo la via di casa, ad Ulisse capitò di fare una sosta presso la terra dei Ciclopi.
Fra questi ciclopi c'era un tal Polifemo, quello cui accennava Simone.
Polifemo fece prigionieri alcuni compagni di Ulisse e poi li uccise.
Ulisse non la prese affatto bene e, quando ebbe modo di vendicarsi, non fu per niente gentile con il ciclope.
Ora, mentre la storia di Polifemo la conoscono quasi tutti, c'è una cosa che molti non sanno, e sicuramente non la sapeva nemmeno Ulisse.
Polifemo era figlio di Poseidone.
A proposito, sapete chi era Poseidone?", chiese Francesca alla sua piccola platea.

Andrea alzò una mano:
"Il re del mare!"
"Bravo Andrea!", esclamò Francesca.
"Ora v'immaginate cosa può accadere ad un navigatore che ha offeso il Re del mare?"
"Come minimo che il mare diventa mosso!", sussurrò logica Martina.
"Esatto", rispose Francesca.
"E quindi?"
"E quindi, Ulisse non riusciva a tornare a casa.
E ogni volta che scorgeva le coste della sua bella Itaca, l'isola di cui era il re, una tempesta furiosa dalle correnti terribili lo riportava in mare aperto, o presso lidi e spiagge sconosciute.
Così, accadde che un giorno approdò nella penisola di Ea."
"Ea?
Che cavolo di nome", sentenziò Simone
"Sarà anche un cavolo di nome", rispose Francesca, "ma secondo gli storici sai dove si trova?"
"Dove?", chiese curioso lui.
"Dai nonni, al Circeo."
"Dai nonni?
Ma va?
E allora?"
"E allora, nella penisola di Ea viveva una signora, anzi una maga.
Una certa Circe.
Circe era figlia del Sole e di Perseide, che era a sua volta figlia di Oceano."
"E Ulisse cosa fece lì al Circeo?", domandò Martina.
"Ulisse non si fidava più di nessuno, per cui rimase sulla spiaggia decidendo di mandare in ricognizione i suoi uomini con a capo della spedizione il suo vice, tale Euriloco.

I soldati, allora, si diressero verso una folta e irta pineta, al centro della quale scorsero una splendida radura.
Al centro della radura videro un bellissimo castello.

Attratti dal posto, dai profumi d'incenso, dagli effluvi di ottimo cibo e da lontani risolini di fanciulle..."
"Allora c'è la fregatura", commentò a mezza voce Andrea.
"Nonché musiche melodiose...", proseguì Francesca, "I compagni di Ulisse si avventurano all'interno del palazzo.
Entrarono tutti.
Tutti tranne Euriloco."
"E perché Euriloco no?", chiese Martina.
"Perché Euriloco era un uomo estremamente sospettoso, motivo per cui Ulisse lo aveva messo a capo della brigata.
Euriloco, prudentemente, aveva deciso che avrebbe seguito la scena da lontano, pronto ad accorrere in caso di necessità.
Si avvinghiò alle cime di un albero un po' tozzo e da lì vide i suoi soldati accolti da una bellissima donna, cioè da Circe.
Circe era una tipa che emanava un fascino magnetico alla quale era molto difficile resistere.
Per questo motivo, quando si offerse d'imbandire un banchetto, nessuno dei marinai seppe, onestamente, dire di no.



Così, Euriloco, sempre spiando a distanza, vide, non senza una certa invidia, i suoi uomini banchettare con cibi e vini pregiatissimi.

Poi quelli si lanciarono in danze pazze e sfrenate e, da questo, Euriloco capì che dovevano essere completamente ubriachi.

Circe, dopo aver osservato gli uomini danzare come un branco di cinghiali, rivelò la sua identità sfoderando dai suoi abiti di canapa e lino una bacchetta molto, molto simile ad una bacchetta magica..."
"Ah!
Accidenti, allora era una strega!
L'avevo detto che c'era la fregatura!", esclamò Andrea.
"Più che una strega, una maga", lo corresse Francesca.
Martina strinse la mano di Simone, Francesca riprese il racconto dando alla sua voce un tocco di pathos e mistero.
"Con la bacchetta sfiorò la spalla di ciascun commensale trasformando ogni marinaio con un terribile sortilegio.
Euriloco, che aveva trovato posto fra le braccia di uno splendido ulivo, e che pure ne aveva viste tante insieme ad Ulisse, assistendo alla scena per poco non cadde tramortito.
Per fortuna, dopo lo stupore, riuscì a trovare la forza e il coraggio di affrontare la pineta all'indietro e, nonostante il buio cupo della notte, scappò via.
Doveva assolutamente raggiungere la spiaggia e riferire tutto al suo capo.

Ulisse, sebbene inorridito dal quel che Euriloco gli aveva raccontato, decise di andare a riprendersi i suoi uomini di persona.
Dunque si avventurò verso il castello.
Cammina, cammina, il castello non arrivava mai e Ulisse incominciò a temere di essersi perso.
Dopo un'altra ora di cammino, più o meno al crepuscolo, nel cuore della pineta Ulisse incontrò un giovanetto dall'aria bizzarra con le ali ai piedi che gli si rivolse con aria divertita e molto, molto easy.

"Oh, ciao!
Sbaglio o tu sei il mitico Ulisse?"
Ulisse, fra lo stupito e il divertito rispose:
"Sì, perché?"
Il ragazzo svolazzò a qualche centimetro da terra.
"Naaaa, troppo figo... me lo fai un autografo?"
"Un... autografo?
Che cos'è un autografo?"
"Ah, già, dimenticavo... voi mortali siete indietro anni luce.
Beh, mi dovresti scrivere il tuo nome sulla caviglia con questo bastoncino e questo succo di bacca.
Andrà molto di moda fra un po'."
"E... a che serve?", chiese il principe di Itaca sospettosissimo.
"Beh", replicò l'altro, "E' un po' come dire ai tempi di Ulisse I was here..."

Il nostro eroe incominciò a spazientirsi.
"Senti, io non ho tempo per il nuovo gergo della gioventù dell'arcipelago.
E soprattutto:
tu chi sei?"
"Mercurio!
O, per gli amici, la gioventù e l'arcipelago:
Hermes, figlio di Zeus e di Maia, la più giovane delle Pleiadi.

Sono il dio più intelligente che c'è.
Non ne troverai degli altri, anche perché sono tutti terribilmente nella media."
"Mmmhh...", fece Ulisse scettico squadrando il ragazzino da capo a piedi.

"Sì, sì, tranquillo, so cosa si dice di te", continuò Mercurio sussiegoso.
"Ah sì?
E cosa si dice?", chiese Ulisse
"Si dice che tu sia il mortale più furbo dell'arcipelago.
Detto fra noi, poca cosa fino a che non andranno oltre le Colonne d'Ercole... ma tant'è.
Comunque, era una cifra che speravo d'incontrarti e se l'ultima news dell'Olimpo è vera, stai bell'incasinato con Circe, ve'?"
Ulisse non poté mentire.
"Sì.
Ha sottomesso i miei uomini con un sortilegio, sto andando a riprenderli."
"Non puoi", lo ammonì laconico Hermes masticando un pezzo di merangola a mo' di chewing gum.
"Che vuol dire:
Non puoi?"
"Vuol dire che non puoi.
Non puoi farlo con i tuoi mezzi così... miseramente mortali."
"E allora?
Come faccio?", domandò Ulisse stremato.
"E allora hai bisogno di un Dio e, guarda caso, fra i dodici che ce ne sono all'Olimpo, uno è proprio qui davanti a te!"
"Sì, sì, mi è chiaro quanto sei figo", biascicò Ulisse infastidito.
"Già... io ho la chiave, anzi, la pianta per essere precisi, per farti sconfiggere Circe.
Ma voglio una cosa in cambio."
"Sarebbe?"
"Beh... se tu sei il più smart, il più astuto, il più intelligente... sarebbe un bel match, no?"
"Un bel match fra chi?", chiese Ulisse sospettoso.
"Fra me e te, Uly!
Voglio solo vedere se il più furbo dei mortali sa rispondere agli indovinelli più stupidi dell'Olimpo."
"Ma io devo tornare ad Itaca, mi aspettano!", cercò di prender tempo Ulisse.
"Uè, o così, o con Circe ti attacchi.
Allora, cosa scegli?"
"Va beh, uffa... dai, tira fuori 'st'indovinelli..."

Hermes cominciò.
"Come fa Afrodite ad impugnare una lancia?"
"Con le Afromani", replicò Ulisse senza scomporsi.
"Ah,però...", commentò Hermes ammirato.
"E cosa ci vuole per far innamorare Zeus?"
"Un colpo di fulmine", rispose Ulisse tranquillo.
"Uauuuu, bravo!
E cosa rispose Marte beccato a barare a carte?"
"La guera è guera."

Hermes non ci poteva credere... quel mortale ne sapeva davvero una più del diavolo!
Ma il giovane dio era più che mai deciso a batterlo, quindi continuò.

"E se ti domando perché i cavalli hanno narici così grandi?
Cosa mi rispondi?"
Ulisse sbuffò annoiato.
"Prova tu a scaccolarti con uno zoccolo!"

"Oh, ma sei proprio forte lo sai?"
"Capirai...", rispose Ulisse alzando gli occhi al cielo e cominciando a dubitare del QI del dio.
"Ascolta, ascolta... eeee... cosa dice un pulcino sulla brace?"
"Pio foco...", replicò Ulisse.

Il divino Hermes, che aveva pensato di vincere facile, cominciava ad innervosirsi.
Ulisse era davvero astuto e gli stava dando decisamente del filo da torcere.

"E sai cosa dice Zeus quando gli uomini imprecano contro le divinità?"
Ulisse mormorò guardandosi le unghie:
"Don't touch my Deil."

Hermes, sudato e sconfitto, si accasciò su un tronco.
Come poteva il dio dell'intelligenza essere battuto da un semplice principe arcimortale dell'arcipelago?
Doveva assolutamente vincere, perciò continuò.
"E come ci stanno sette Erinni in cima a un ramo?"
"Malamente", replicò Ulisse facendo oscillare davanti alla faccia del giovinetto un'antica clessidra.
Questi non si arrese:
"Indovina un po' la forma del verbo nella frase 'Ma cos' ha combinato Paride?!'"
"Demente prossimo", replicò serafico l'astuto mortale.

"Accidenti, sembri proprio degno della tua fama!", decretò Hermes arreso.
"Hai finito?", chiese Ulisse.
Il ragazzino mugugnò un flebile sì.
"Ora, visto che ho risposto a tutte le tue super intelligenti domande, te ne faccio una io."
"Sta bene", si ben dispose il Mito.
"Sto camminando per la pineta con sette mandragore fra le mani. Improvvisamente, inciampo in una radice e perdo l'equilibrio.
Le mandragore mi cascano dalle mani.
Ora, ascolta bene:
mentre mi rialzo raccolgo tre mandragore, una volta in piedi mi chino e ne raccolgo altre quattro.
Ti sembra che abbia perso qualcosa?
E, se sì, cosa?"

Hermes incominciò a ragionare a braccio, quindi passò a contare con le dita, poi prese un bastoncino e fece i conti sulla sabbia.
Poi si aiutò con sette pietre che trovò fra le foglie, infine concluse da bravo greco:
"Eureka!"
Ulisse lo guardava divertito a braccia conserte.
"Allora?"
"La so, la so!"
"Cos'ho perso, dunque?"
"Non hai perso niente:
sette mandragore avevi, sette mandragore hai raccolto."
Ulisse fece un ghigno sotto i baffi:
"Caro il mio dio, hai sbagliato."
"Ho sbagliato?!"
Hermes lo guardò incredulo-fratto-furioso-fratto imbarazzato e insistette.
"Ragioniamo.
Quanto fa tre più quattro?
Sette!
Ergo, non hai perso una beata... ehm, Mandragora."
"Infatti", rispose Ulisse,
"Ma ho perso...
Ho perso..."
Fece una pausa tattica e poi:
"Ho perso l'equilibrio, mio caro Nume!"

Hermes era basito.
"Naaaaaaa!
Ma questa è troppo figa!!!
Me la posso rivendere all'Olimpo?"
"E' tua, a patto che tu mi dica come sconfiggere Circe."
Hermes fece uno sguardo furbetto e gli ordinò:
"Scansati un po'."
Ulisse fece un passo indietro.
Il Mito strappò un ciuffo d'erba spiaccicata dai sandali di Ulisse e sentenziò:
"Tiè!
Quest'erba si chiama MOLI, quando andrai a casa di Circe lei ti offrirà la cena.
Per i posteri:
mai mangiare cose con individui in odore di magia... anyway, senza che lei se ne accorga metti quest'erba sulle cose che ti darà da mangiare e sarai protetto da qualsiasi incantesimo.

A proposito, ma da quale sortilegio sono stai colpiti i tuoi compagni?", chiese Hermes, curioso.
"Te l'ho detto...", rispose Ulisse vago.
"No.
No, ti assicuro che non me l'hai detto", rispose il ragazzo candido.
"Eh, beh, li ha trasformati in... in..."
"In...?"
"Sai che con tutti questi indovinelli mi hai mandato in confusione?
Non riesco a ricordare una mandragora!
Accidenti, Euriloco mi ha detto che li ha trasformati... forse in... sedie?
Scimmie?
Maiali?
O forse in pulcini...
Boh!", e si accasciò affranto ai piedi del giovane Dio, sciorinando un lungo elenco di animali."

Giunta a quel punto Francesca guardò i tre bambini e disse:
"Allora ragazzi, eccoci arrivati al punto.
Vi do una giornata, alle 17 di domani voglio sapere in cosa la maga Circe ha trasformato i compagni di Ulisse."
"E vaiiiii!", urlarono i ragazzi in coro.
Martina, Andrea e Simone non se lo fecero ripetere due volte e scomparvero fra i libri della libreria in cerca della misteriosa soluzione.

Riusciranno a risolvere il mistero?

Provate a rispondere anche voi scrivendo a regia-easyweb@rai.it

 

 

 

 

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