Giannetto.
Un nome strano per un nonno strano.
Il mio.
Mi chiamo Eleonora, Ele per gli amici, ho dodici anni e, forse, anche io sono strana.
In fondo sono pur sempre nipote di mio nonno...
La mia mamma e il mio papà lavorano insieme in un negozio e spesso mi capita di rimanere sola a casa.
Ma questo non mi dispiace perché, per essere felice, mi basta attraversare la strada e bussare alla porta di mio nonno.
Giannetto vive lì.
Un tempo era un medico.
Oggi è un signore in pensione che vive fra i suoi libri e le sue memorie.
Nella sua lunga vita ha incontrato tanta gente e conosce un'infinità di storie.
Quando faceva il medico io ero molto più piccola e spesso mi portava a caccia di dinosauri.
Insieme abbiamo raccolto tanto di quel materiale da poter mettere su un museo.
La mamma, però, non era molto d'accordo con le nostre ricerche.
Tutte quelle preziose tracce, secondo noi provenienti dal Mesozoico nonché Triassico superiore, secondo lei robaccia raccattata per strada, sono finite in cantina.
Io sono una ragazzina non vedente.
Lo sono diventata molti anni fa a causa di un brutto incidente.
Da allora io e il nonno abbiamo smesso di cacciare i dinosauri e abbiamo incominciato ad interessarci di alcune storie raccontate nei libri della sua biblioteca segreta.
E' così che abbiamo scoperto il mio dono.
Io posso visitare i luoghi che lui mi racconta, posso viaggiare con la fantasia.
Tutto è iniziato con l'altra mia passione, quella per le fate.
Sono una patita delle fate, anche se seguirle e trovare tracce del loro mondo non è affatto facile.
E' più facile coi dinosauri!
Il nonno dice che se vuoi sapere qualcosa su qualunque argomento devi incominciare dal nome.
Il significato del nome FATA è:
'divinità del destino'.
Infatti le storie delle fate si chiamano favole e le favole sono spesso le storie degli uomini e dei loro destini raccontate per tutti, perché tutti possano imparare qualcosa.
La meraviglia delle favole è che i loro significati cambiano.
Alcuni si rivelano, altri si nascondono, perché tutto dipende dalle orecchie che ascoltano...
Ad ogni modo, oggi sto andando di corsa dal nonno perché deve mantenere una promessa.
Dopo alcuni racconti in cui ho sorvolato boschi più o meno incantati, ho incontrato radure con pietre parlanti, ho visitato castelli invisibili e manieri volanti, oggi andrò nientepopodimeno che ad Avalon!
"Ci vuole un po' di allenamento per mettere piede ad Avalon, Ele", ha osservato il nonno quando abbiamo iniziato a leggere queste storie.
Ma stamattina, a colazione, mi ha telefonato e mi ha detto:
"Penso proprio che tu sia pronta."
"Anch'io lo penso", ho risposto immediatamente, e ho incominciato a riempire lo zaino seguendo una lista di cose che mi ha dettato.
Eccola:
Una crema protezione settanta, senza Parabeni, contro gli incantesimi.
Un parasole per avventure paranormali.
Un paio di auricolari per ascoltare frasi sibilline.
Un dizionario di risposte per indovinelli comuni.
Uno specchio parlante per le indicazioni stradali.
Una pozione contro i pizzichi d'elfo.
Filtro per misteri indecifrabili.
Una lucciola addestrata per comunicare con i fuochi fatui.
Un tavolino a tre gambe in caso di happy hour con un drago.
La quintessenza in pillole in caso di mal di testa per quesito da Sfinge.
Un mazzo di tarocchi per giocare a carte con il fato.
Un traduttore audio per parlare con gli spiriti.
Una crema per le allergie da metamorfosi.
Degli stivali con tacco jump e soletta da sette leghe.
Un telefono con connessioni satellitari per immaginazioni paraboliche.
Due felpe con cappuccio, possibilmente non rosso.
Fine.
Ho preso tutto e, con lo zaino stracolmo di roba, mi sono diretta a casa di Giannetto.
Mentre ondeggio sulla sedia a dondolo, nel suo studio dalle pareti di legno e libri, finalmente il nonno incomincia a leggere l'inizio della mia futura avventura.
La sua voce entusiasta, a volte solenne, a volte velata di mistero, mi fa correre ai confini del tempo:
mille anni e un passo.
Dalla sua scrivania lo sento declamare:
Uter Pendragon morì sedici anni più tardi a San Martino....
Poiché non lasciava figli riconosciuti, i baroni pregarono Merlino di designare colui che essi avrebbero dovuto eleggere, al fine che il regno fosse governato per il bene della Santa Chiesa e del popolo...
Ascolto concentrata e attenta.
L'ultimo raggio di sole del tramonto filtra dalla finestra e il suo calore mi trafigge alle spalle.
Chino la testa, mimando la sofferenza dell'ultimo istante di Re Uter, mentre mio nonno prosegue dal fondo della stanza
La notte di Natale tutti i baroni e i nobili di Britannia andarono a Londra e tra essi Antor con i suoi due figli Keu e Artù.
L'Abazia era illuminata da mille candele, la commozione era grande perché si piangeva un grande re.
Ma proprio quando la gente incominciò ad uscire dalla chiesa, a gruppi di due, di tre e qualche solingo, lo stupore scosse gli animi e la melanconia.
Una grande pietra tagliata era apparsa nella radura di fronte al sagrato.
Sulla pietra una pesante e consunta incudine di ferro su cui era infissa una spada fino alla guardia.
Chi svenne, chi pianse, chi rimase di sasso.
Fortuna volle che qualcuno avesse conservato l'ugola e la usò proprio per chiamare l'arcivescovo.
Questi usci dalla chiesa davvero impressionato.
E tutti rimasero a guardare l'uomo che, con veloci movimenti, tentava di aspergere ora l'incudine e dopo la pietra.
E videro l'acqua Santa colare sulla spada lungo il filo affilato della lama... mentre il prete leggeva sulla ruvida pietra le lettere d'oro incastonate a fuoco:
Colui che estrarrà questa spada sarà eletto da Gesù Cristo
Improvvisamente mi trovo ad Avalon.
Me ne accorgo subito, è Avalon non c'è dubbio.
L'ho sempre immaginata così.
Sono poco fuori città.
Mi incammino verso il centro, ma la strada è lunga e piena di sassi, li sento sotto i piedi.
Alle mie spalle arriva una carrozza tirata gagliardamente da una coppia di cavalli che si avvicinano scalpitando e sbuffando.
Dalla loro impazienza e dagli urli degli uomini che cavalcano intorno, capisco che la carrozza è scortata da molti soldati.
Non so cosa fare, ma l'istinto mi dice che devo tentare.
Ergo, alzo il pugno con il pollice in alto e... faccio l'autostop!
Qualcuno, evidentemente, mi nota, perché la carrozza si ferma.
"Ehi tu, cavolo, non è che mi stai facendo una stregoneria con quel gesto strano?", mi urla una voce.
E' una voce di ragazza.
Mi volto verso di lei e replico:
"Stregoneria?
Io non so fare stregonerie, non so di che stai parlando."
"Oh cielo!", continua la tipa
"Ma...tu hai la vista?", osserva la ragazza.
Sono stupita.
"Ma quale vista!
Non vedo dall'età di tre anni", rispondo diretta.
Quella insiste:
"Ma sì, sì, hai la vista!
Sei come il mago Merlino.
Anche lui è cieco alla luce del sole perché vede oltre il buio e le intenzioni degli uomini."
Vorrei continuare a negare, ma sono sempre meno convinta di quello che dico perché, in effetti, nella mia mente si stagliano strane figure.
Immagino la faccia della ragazzina che mi è di fronte, una grande sala di legno con intarsi colorati, il viso bellissimo di un ragazzo biondo, l'abito profumato di violetta di una fanciulla che corre lontano sulla riva di un lago.
Mentre assisto incantata a queste mie visioni, la ragazza mi sfiora.
"Piacere di conoscerti, mi chiamo Ginevra."
Allungo la mano e mi pare di percepirla bene con il suo abito di velluto e i capelli dalle ciocche morbide ornate da fermagli di biancospino e eriche viola.
"Il piacere è mio!
Mi chiamo Eleonora."
"Bel nome!"
Poi fa una pausa e aggiunge sospettosa:
"Ma, tipo...
non è che sei quella scocciata di Eleonora d'Aquitania?", mi chiede con un tono che ricorda tanto quello delle ragazze della mia classe.
"No, non direi, forse mi stai scambiando per un'altra."
"Ma no, la verità è che io, 'sta tipa, manco la conosco.
So che è una mecenate dei trovatori e siccome, ogni tanto, i miei cantano delle romanze che spaccano...
Beh, mi volevo congratulare!"
E mi fa un bel sorriso.
Poi prosegue:
"Va beh, vai anche tu in centro?
Perché ti posso dare uno strappo, è una tale noia viaggiare da soli", dice, e mi pare ancora di vederla mentre si arrotola una ciocca di capelli attorno al dito.
"Soli?
Ma scusa, non c'è un'altra carrozza dietro di te?"
"Eh, già, è per questo che siamo costretti a 'sta andatura da traffico romano...
è lei che ci costringe!"
Scrollo la testa, confusa, non capisco e domando:
"Scusa, ma lei chi?"
"La grossa cassa che è nella seconda carrozza.
Pesa che non t'immagini, ma tanto devo trascinarmela dietro per forza."
E sbuffa annoiata.
"Come mai?", le chiedo.
"Oh, si vede che non sei di qui...
non sai proprio niente!"
"Eh, no, infatti vengo da molto lontano", replico imbarazzata.
"Beh, è nostra usanza, quando le fanciulle vanno in spose, che il futuro suocero invii un regalo allo sposo.
In genere si tratta di spade, pugnali, che so...
scudi o lance.
Beh, mio padre che fa?
Si presenta con 'sta cassa!
Cioè, ti rendi conto?"
"Eh, sì", azzardo io
"E' un'idea curiosa.
Vi sposate giovani da queste parti, quanti anni hai?"
Lei mi aiuta a salire sulla carrozza.
"Dodici.
Uno meno del mio futuro marito."
Continuiamo a chiacchierare amabilmente, finché non giungiamo nei pressi di un meraviglioso castello.
Mi pare ovvio, Ginevra mi ha eletta sua dama di compagnia.
Molto fraternamente mi ha regalato un suo vestito e ora, perfettamente mimetizzata, faccio parte della sua carovana.
Arrivate a destinazione, dopo un po' di cerimonie, veniamo introdotte nella sala più grande del castello.
In fondo alla sala campeggia un immenso trono.
"Ehi, Ele", mi domanda Ginevra,
"Ci facciamo un selfie sul trono?", e indica un ragazzino che, a giudicare dalla tavolozza e dai pennelli, dev'essere il pittore di corte.
"Non lo so", commento perplessa,
"Se c'è un trono ci sarà anche un re.
Pensi che gradirà?"
E, manco a dirlo, dalla navata laterale della sala vedo arrivare il ragazzo biondo che ho già incontrato nelle mie fantasie.
Corre come un pazzo, ride e scivola in mezzo alle colonne, si aggrappa alle tende e sbatte contro gli immobili scudieri dalle divise di latta che sostano impassibili vicino al trono.
Una fanciulla poco più grande di lui lo insegue lanciando meteore di fuoco cercando di colpirlo.
"Artùùù!
Artuuuuù!",
urla la fanciulla,
"Ridammi il mio corvo!
Ti ho detto ridammi il mio corvo!!!"
Artù, ridendo a crepapelle, si butta per terra esausto.
Quindi, batte le mani e un uccello di colore rosa (come mi dice Ginevra) saetta al centro della sala.
Il volatile svolazza confuso mentre Artù commenta con il singhiozzo:
"Sembra un maiale con le ali!
Hi, hi, hi!", e giù risate a più non posso.
"Io odio il rosa!", osserva la fanciulla inorridita.
Quindi, lancia una magia verso il corvo che, dopo essere tornato nero, vola esasperato sulla spalla della sua padrona.
Lei, voltandosi verso di noi, esclama:
"Sono Morgana!
Piacere, tu devi essere Ginevra la mia futura cognata, giusto?"
"Già", ammette perplessa Ginevra e poi continuando a fissare Artù che ride alle lacrime
"...E...
Lui...
sarebbe il re?"
"Sì, ma non devi farci caso.
Adesso è preda della stupidera, poi passa."
"Cos'è la stupidera?", chiedo io, inserendomi timidamente nella conversazione.
Morgana mi guarda con aria furbissima:
"Un piccolo incantesimo che gli ho fatto per vendicare il mio corvo.
Fa lo stupido, ride e non riesce a smettere.
Niente di serio, consuma solo un po' di calorie."
Ma, proprio in quel momento, nella sala entrano i soldati che trasportano la cassa antica, regalo del babbo di Ginevra.
A giudicare dagli sforzi di quegli uomini è molto, molto pesante.
Morgana si volta di scatto, i suoi occhi brillano di curiosità.
"E' lei?", domanda a Ginevra con la voce roca e complice.
"E' lei", risponde Ginevra orgogliosa e, porgendo una pergamena alla futura cognata, spiega:
"Ci hanno lavorato i migliori ebanisti del regno ed è stata fatta con le querce magiche della terra dei druidi."
A quelle parole Artù scatta in piedi e si mette a correre verso la cassa urlando allegro.
"Buongiorno Ginevra!
Buongiorno amica di Ginevra!
Avete portato il mio regalo?
Che figo!
So già cosa contiene, ho interrogato l'oracolo.
Il mio futuro suocero mi ha regalato una tavola da pranzo della marca Idea."
Poi, sfilando la pergamena dalle mani di Morgana, esclama:
"Questa è mia!"
Morgana sbuffa.
"Ti voglio proprio vedere, dal momento che non sai montare nemmeno uno sgabello Idea!"
"Ad un Re cimentarsi con un po' di boxing packaging non può che fare bene", ribatte lui esibendosi in una regale linguaccia.
"Ma parla normale...", lo prende in giro Morgana.
"Cara sorella, parlo come voglio.
Sono pur sempre il re di Britannia!"
Morgana, sarcastica, commenta:
"Farai faville fra la Gallia e l'Hertfordshire."
Artù non ci bada e, srotolando la pergamena, si avvicina a me e alla sua futura sposa.
Morgana, nel frattempo, si è arrotolata le maniche della bella e tetra tunica viola e lo guarda seccata in attesa di ordini.
"Possiamo incominciare, di grazia?"
Artù si schiarisce la voce:
"Ti leggo l'elenco delle cose che troverai nell'imballaggio?"
"Se riesci a farlo prima di cena ci fai un favore."
"Eccoti servita, sorella", e Artù sogghignando snocciola la lista dei materiali:
"Viti in quantità a cavolo.
Bulloni in quantità senza cavolo.
Un caccia-vite
Una vite che odia la caccia.
Un martello.
Un dito già martellato.
Piroli di resina di caucciù per rifiniture regali!"
Morgana è esasperata.
"Quando hai finito lo show mi dici quante ante ha?
Perché io qui ne conto due."
Ma Ginevra, con la testa nella scatola, ne tira fuori altre due:
"Guardate qui!"
"Ecco, lo sapevo", commenta Artù,
"Adesso avremmo almeno un'anta e una gamba del tavolo che ci avanza."
"Taci, uomo di poca fede", lo zittisce la sorella.
"Non potreste guardare il disegno?", domando io sommessamente.
"Brava piccoletta!
L'ho pensato anch'io", osserva Artù facendomi con un tono di voce che mi fa sognare.
"Se ci capite qualcosa..."
e stende il libretto d'istruzioni della tavola Idea sul pavimento.
Morgana e Ginevra si chinano per seguire le figure e borbottano fra loro:
"In questo disegno non si capisce niente..."
"No, niente."
"Come volevasi dimostrare", le punzecchia Artù.
"Cioè, voglio dire, come fa uno, in questa strana cosa, a sedersi a capotavola?"
Ginevra, preoccupata, domanda:
"Volete che mandi un messaggero a mio padre?"
"Per carità!", le salta addosso Artù,
"Così anche per tutta la Britannia e oltreconfine si sparge la voce che non sono capace di montare una tavola Idea per il mio salotto."
"Regno, Artù.
È un regno, non lo vedi?
Laggiù c'è un trono, lì ci sono i soldati con le lance e gli scudi...
Quindi si chiama Regno", lo rimbrotta Morgana.
"Oh, attenzione!", interviene Ginevra col libretto d'istruzioni fra le mani,
"Dobbiamo pure considerare lo spazio per il seggio periglioso!"
"Seggio periglioso?
E che cavolo è?", domanda Artù col suo solito tono scettico.
"Scusate, ma io chiamo Merlino", sentenzia Morgana innervosita avvicinandosi a un braciere.
A un suo cenno la fiamma divampa e fra i fuochi appare il mitico mago.
"Dimmi Morgana!
Ti ascolto."
Annuncia il vecchio stregone con un misterioso ma tipico riverbero nella voce.
"Scusa tanto Merli', ma qua non quadra niente co' 'sta tavola da pranzo."
"Perché, oh figlia di Avalon?"
"Perché non si capisce come s'apparecchia una tavola così!
Quante ante ha...
Poi c'è 'sto seggio periglioso...
Ma che cos'è?"
"Orsù, è semplice.
La tavola prevede tredici commensali."
Ginevra si rivolge ad Artù e con piglio deciso dice:
"Quindi mettiamoci il cuore in pace:
d'ora in poi non si aggiunge nessun posto a tavola, chiaro?"
Artù le fa un verso buffo come per dire
"Va beh, va beh... magari la domenica dopo il torneo...", ma lei sbuffa.
Merlino, sempre nel braciere, li richiama all'ordine schiarendosi la voce e prosegue:
"Ragazzi, qua fa un po' caldino, andiamo avanti:
il seggio periglioso è il tredicesimo.
È un posto sacro dove potrà sedersi solo e unicamente colui che avrà trovato il Sacro Graal."
"Bum!
Va beh, e se mi siedo per sbaglio?", chiede il biondo re dispettoso.
"Sarà sfiga perenne!", prevede Merlino.
"Perenne?!", gli fa eco Artù.
"Perenne", conclude il mago con un tono che non ammette repliche.
"E gli altri posti?"
"Gli altri posti, altezza, valgono tutti uguali.
Questa è la legge di Camelot."
"Ma non siamo ad Avalon?", domando sottovoce alla mia amica Ginevra.
"Eh, ma l'hai visto il vecchio?
Mi pare un po' rinco...", replica lei pragmatica.
"Quindi, anche Lancillotto si deve sedere dove capita?", domanda Artù soddisfatto.
"Dove capita", gli fa eco Merlino paonazzo.
"Tiè!
Gli sta bene!", borbotta fra se Artù.
"Mi scusi", domando io al grande mago.
"Dica, mia bella dama, ma... in fretta che la domanda è cocente..."
"Seggio periglioso a parte, di questa tavola non si capisce nemmeno la forma.
Mentre a casa Artù avrebbe una sua importanza la forma della tavola...
non trova?"
"Lei ha ragione, cara dama, ma guardate bene, di grazia...
non c'è scritto niente?
Nemmeno sulla bolla d'accompagno?", s'informa il mago mentre si deterge la fronte con la tunica di stelle.
Artù si avvicina sarcastico:
"Niente zio, nel libretto d'istruzioni c'è pure il kit per dire le parolacce multilingua durante il montaggio, ma per il resto nada, nemmeno una brugola, un commento, una fotina, un selfie dell'architetto... "
"Sentite, io sto andando a fuoco, ergo, me ne vado.
Ma voi cercate di capire la forma di quel cavolo di tavola, possibilmente prima di cena.
Sapete come la mandiamo avanti 'sta leggenda dei cavalieri di Artù, se non possiamo nemmeno mangiarci su un panino..."
A questo punto...
stop!
La storia si ferma.
Il quesito è rivolto a tutti.
Qual è la vera forma della tavola dove si riunivano i cavalieri di Re Artù?
Ovale?
Rotonda?
A U?
La risposta nella prossima puntata!
Nel frattempo provate a rispondere scrivendo a regia-easyweb@rai.it
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