Ciao amici!
Forse, all'ennesima avventura, non dovrei chiedervi se vi ricordate di me, ma non vorrei sembrare presuntuosa e allora, rapidamente, mi presento:
Il mio nome non è cambiato, mi chiamo sempre Eleonora.
Nelle storie precedenti avevo dodici anni, ma in mezzo è caduto il mio compleanno, dunque, ora ne ho ben tredici!
Ho un nonno speciale e anche molto amato, che ha un nome piuttosto strano...
Cioè: Giannetto.
Perché vi parlo di lui?
Intanto, perché è uno dei miei migliori amici.
Insomma, è uno che stimo, al di là del fatto che è mio parente.
La seconda ragione è che abbiamo delle passioni in comune.
Oddio, pensandoci bene, può darsi che le mie passioni siano state fortemente ispirate dalle sue, ma non è che m'importi molto, perché a me le mie passioni piacciono e mi piace ancora di più condividerle con lui.
E questo è tutto.
Anzi, come credo di avervi già detto, spesso è mio nonno l'ispiratore delle vicende che vi racconto.
Io penso che questo fatto sia dovuto al suo mestiere precedente, cioè quello che faceva prima di andare in pensione:
il medico.
Ora ha un piccolo negozio che è diventato la libreria di quartiere.
Ma, in realtà, non è cambiato molto, perché i suoi pazienti lo vanno a trovare lo stesso, gli chiedono consigli, gli raccontano tante cose e, dopo averli ascoltati attentamente, invece di staccare il foglio di una ricetta, nonno si grattugia la testa e borbotta:
"Caro, ragionier Rametti, credo di avere libro che fa per lei.
Un secondo che vado a prenderlo..."
"Sembra che tu curi le persone con i libri", gli ho detto una volta.
Mi ha sorriso.
"Osservazione molto acuta Ele, anche se non è esattamente così.
Difficile che un libro sostituisca una terapia, però, a volte, aiuta tanto..."
Come avrete intuito, mio nonno era un particolare tipo di medico, cioè uno psicologo.
Anche se a me, a volte, dopo averlo visto all'opera, pareva più uno stregone.
Perché?
Perché curava le persone che avevano dei mali invisibili.
Cioè, mi spiego.
I suoi pazienti pativano, pativano sul serio, ma apparentemente non sembrava.
Cioè, non sembrava a persone semplici come me, oppure la mia mamma...
Lui, però, le loro malattie le vedeva eccome.
A volte le conosceva prima ancora che parlassero, che gliele raccontassero, e sapeva sempre cosa fare.
Ecco perché a me pareva proprio uno stregone.
Ora, siccome i miei genitori lavorano senza sosta, capita spesso che io passi le giornate a giocare nel negozio del nonno.
Io e lui facciamo delle lunghe partite a domino.
Io, come forse alcuni di voi ricordano, sono una ragazza non vedente a causa di un incidente avvenuto molto tempo fa, di cui adesso, però, non ho voglia di parlare.
Non che sia un tabù.
Io e nonno ne abbiamo parlato tanto e a lungo, ma adesso le migliori chiacchierate le facciamo sui libri che mi piacciono, che del resto sono le stesse che vorrei fare anche con voi.
Dunque cominciamo.
I libri che amo di più sono molto, molto legati alle fate e alle pratiche magiche.
Circa Giannetto, a volte penso che abbia un po' di deformazione professionale anche con me, perché mi consiglia dei titoli che poi diventano libri mitici nella mia libreria.
Qualche volta addirittura da rileggere...
Ma la cosa più sconvolgente è che, dopo aver letto i volumi che mi consiglia, le chiacchiere con lui diventano sempre più magiche.
Qualche volta mi sono trovata addirittura a vagare nelle storie che avevo appena letto e discusso con lui.
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Un esempio?
Beh, sono stata ad Avalon, lo sapete, no?
E se avete seguito le altre mie storie, sapete che ho avuto incontri con il mondo fatato abbastanza... mhh... beh, direi... importanti!
Il giorno di cui sto per raccontarvi è il giorno in cui la mia mamma mi aveva strillato per via di certe ciliegie (credo un chilo) che erano rapidamente finite nella mia pancia.
Onestamente?
Non stavo bene, non stavo bene affatto.
Però, mamma l'aveva buttata giù dura dicendo che non ero una bambina responsabile, che mi ero abboffata come una donna primitiva, etcetera, etcetera, etcetera...
Nel corso della discussione era arrivato anche il nonno che cercava, inutilmente, di fare da paciere fra noi due.
Era vero.
Ero colpevole.
Avevo avuto un attacco di bramosia per le ciliegie, lo ammetto, ma la mamma stava esagerando.
"Che noia!", ho detto, e poi ho aggiunto, "...per due ciliegie..."
"Ah sì?
Beh, quando sarai grande capirai cosa intendo dire!", ribatté la mamma, "e, ad ogni modo, penso tu abbia di che riflettere anche adesso."
Aveva ragione.
E c'era poco da riflettere, visto che mi stavo contorcendo sul tappeto del salotto in preda ad un terribile mal di pancia.
Ma non volevo dargliela vinta, perciò ho continuato con una certa stizza.
"E che cavolo!
Tu non sei mai golosa?"
"Te l'ho già detto, quando sarai grande capirai."
Uffa, che noia.
Sembra sempre che un bambino fino ad un certa età sia un inetto e non capisca niente.
Che insopportabile modo di ragionare...
Un mondo tutto a misura degli adulti.
Pensate che con il nonno abbiamo fatto una ricerca e scoperto che, per legge, i disegni dei bambini non sono loro fino alla maggiore età.
Perché i bambini non possono possedere quasi nulla, per legge, e dunque nemmeno la fantasia.
"Sai cosa penso?", dico al nonno mentre mi prepara una borsa dell'acqua calda per placare i dolori di stomaco.
"Cosa pensi?"
"Che mamma, a volte, quando è stanca, ragiona in modo ingiusto."
"Può essere...", risponde lui posandomi delicatamente l'impacco sullo stomaco dolorante, e aggiunge:
"Ma essere grandi, come dice lei, non è mica facile."
"Perché?", chiedo io.
"Perché quando diventi grande, insieme alla libertà e all'autonomia, arrivano tante responsabilità, a volte un po' di buonsenso, e molti, molti dubbi."
"Beh, allora io non voglio assolutamente diventare grande!", affermo risolutissima.
"Ma crescere è il tuo compito Ele.
Ed è un compito che va assolto con coraggio e impegno."
"Non è roba che fa per me...", sbuffo convinta.
"Ah!
E' qui che ti volevo", ribatte il nonno.
"Cioè?", chiedo curiosa.
"Siccome non è la prima volta che me lo dici, ho pensato di portarti un libro perché vorrei tanto che tu facessi quattro chiacchiere con un mio vecchio amico."
"Che genere di amico?"
Sono un po' recalcitrante, volevo parlare di fate e bacchette magiche e mi ritrovo nel mezzo di una discussione che non so dove andrà a parare.
"Eddai...
sono sicuro che questo racconto ti farà meglio della borsa dell'acqua calda."
Mi porge il volume e me lo lascia sfiorare e annusare, perché sa benissimo che mi piace l'indagine tattile e olfattiva di un libro.
Indago sulla grammatura della carta di cui sono composte le pagine e, scorrendole, capisco quanto sono state lette.
"Molto usato...", dico al nonno.
"Molto, molto usato", risponde lui sorridendo.
Non mi rivela né il titolo, né l'autore e incomincia immediatamente a leggere.
Dopo poco...
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Un clang clang si avverte nel crepuscolo violetto della sera.
Altri clang clang si avvertono in lontananza, persi nella nebbia a mezzo metro di altezza.
Occhio e croce, i clang sembrano i tipici clang di cancelli, molti cancelli che si chiudono in lontananza.
Faccio fatica a orientarmi, fin quando una lucina brillante mi avvolge in una scia luminosa che perde scintille.
"Oh, tutto ciò è meraviglioso!", strillo entusiasta seguendo con le mani la scia di luce.
"Ma va!", risponde la lucina scettica, "Anche lui spesso si lascia andare ad esclamazioni simili, ma io non ci ho mai creduto!"
"Ah sì?", domando perplessa.
"Ma sì!
Questa luce è una cosa così ordinaria..."
"Beh, insomma... non tutti scintillano in questo modo", replico stupita, quindi l'ammiro disegnare fluorescenze nel cielo violetto e ci ripenso.
"No, scusa", affermo decisa, "Francamente non è affatto ordinaria!"
"Bah.
Se lo dici tu.
Se lo dite tutti...", sospira, e poi sentenzia:
"...E comunque gli piacerai.
Hai la faccia di quelle che gli piacciono."
"Beh, questa è già una bella cosa", ammetto.
"Per te, ma non per me.
Non mi va molto a genio che lo cerchino tutte queste ragazzine."
"Ah...", osservo guardinga, "Sei... sei la sua fidanzata?"
"Fidanzata?
Ma figuriamoci!
Lui, una fidanzata?"
Non so che dire, anche perché non so chi sia il 'lui' di cui stiamo parlando.
E poi, detto fra noi, sebbene sia solo una lucina, a me sembra una lucina molto gelosa.
Quindi mi trattengo dall'indagare.
Mi gira ancora intorno.
Sembra che mi stia studiando...
Poi con aria sussiegosa annuncia:
"Va beh, va, lo avverto che ci sei.
Mi ha detto che doveva arrivare un'amica di un suo carissimo amico e che voleva essere informato subito..."
E fugge via lasciandomi avvolta in un violetto impalpabile che vira nelle braccia di una notte blu indaco decorata al fosforo dalla maestosità di una palla di luna piena e gonfia.
Ve ne sarete già accorti, ma ecco qual è la meraviglia nascosta nei libri del nonno.
In queste storie fantastiche io ho la vista!
Non so se sia dovuto alla fantasia che lui stuzzica in continuazione, ma tant'è.
Io, i nostri racconti, li vivo e li vedo tutti!
Dunque, mi aggiro in tondo, sono su un prato appena tagliato dove qua e là colgo dei riverberi brillanti e luminosi.
Qualche istante dopo mi convinco che sia una mia suggestione perché, appena cerco di metterli a fuoco, scompaiono.
Non è il solo dettaglio curioso che noto.
La mia impressione, infatti, è che qualcuno ciacoli alle mie spalle.
Ma anche qui, appena mi volto, dove credo abbia origine il rumore, ecco che ogni bisbiglio s'acquieta e mi pare di aver immaginato tutto.
Eppure i commenti sono chiari.
Bislacchi ma chiari.
Distinguo essenzialmente tre voci di donna.
La prima sta domandando:
"Ma perché sta lì immobile sul prato degli smorfiosi?"
Le risponde la seconda che sembra molto simile.
"Non lo so, non mi pare una di loro.
Forse, semplicemente, non è pratica."
"Senti un po', ma non ti pare che assomigli a..."
"Naaaaa... ho capito a chi pensi, ma lascia perdere..."
"Boh, eppure io qualche somiglianza con Mabel Grey la trovo."
"Ma quale Mabel Grey!
Figuriamoci.
Non siamo mica in un thriller!!"
Poi, una terza voce con una spiccata erre moscia, cerca di riportare ordine nel buio.
"Va beh, ragazze, adesso non mischiamo le storie.
Se non ho capito male, credo sia amica di un suo carissimo amico e lui ci tiene molto ad incontrarla."
"Oh, cielo!
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Adesso ci farà amicizia, e poi un sacco di tragedie quando la vedrà andare via.
Siete sicuri che sia una bella idea farli incontrare?"
"Certo che non è una bella idea, ma se deve fare un favore ad un amico..."
"Io vi dico che quella ragazza gli piacerà."
"Va beh, bando alle ciance, vado a dirle di togliersi da lì.
Non sta bene sostare così a lungo sul prato degli smorfiosi", afferma una voce in movimento.
Qualcuno, dall'alto, bercia:
"Falle vedere dov'è il laghetto rotondo!
Tanto è lì che s'incontreranno, vedrai..."
Quindi:
detto, fatto.
Una luce violetta, molesta come una mosca tze tze incomincia ad importunarmi.
Disegna un otto davanti al mio naso e poi si lancia verso un antro buio.
Beh, in tutte le storie che si rispettino questo modo di fare, generalmente, vuol dire:
SEGUIMI.
E io non me lo faccio ripetere due volte.
Vagolo nel buio per un po'.
L'unico riferimento è la mia lucina, che mi mostra la sua approvazione disegnando zig zaganti sagome ellittiche nel buio.
Non vorrei sbagliare, ma se a guidarmi non è un fiore volante allora è una fata.
Proseguiamo fino a che un riverbero argentino non rapisce la mia attenzione.
E' acqua!
E, più precisamente, un lago, dove qualcuno sta nuotando.
Forse si tratta di un pesce o forse no, ad ogni modo, da ogni tuffo, schizzano tante gocce luminose.
Mi avvicino.
Non distinguo molto bene la figura, ma, ad un primo esame, sembrerebbe un ragazzo, giovane.
Forse più giovane di me.
Il ragazzo s'immerge e riappare, nuota come un delfino.
Poi incomincia a gesticolare verso qualcosa, o qualcuno.
Immagino che quel qualcuno si nasconda fra gli alberi perché lui fissa le fronde più alte.
Sembra che gesticoli per invitare quel qualcuno ad una nuotata...
Aspetta proteso in avanti.
Immagino che attenda una risposta.
Non ricevendola, ricomincia a gesticolare insoddisfatto.
Finché, finalmente, qualcosa sembra accadere perché lui schiaffeggia l'acqua come se volesse applaudire.
In effetti, qualcosa accade.
Qualcosa che ha dell'incredibile e meraviglioso insieme.
L'immensa palla di Luna, oleosa e pesante, si muove verso il laghetto, si abbassa di poco, fa una piroetta e, come se cadesse da chissà dove (comunque da molto lontano), si tuffa nell'acqua a peso morto.
Splash!
"Ah, ah!
Ti sei decisa, eh?", esclama il ragazzo con una voce squillante e bellissima.
Beh, non potete immaginare la festa e l'allegria con cui lui e la luna si dilettano a giocare insieme.
Uno spasso e una meraviglia, guardarli.
Prima cavalcano lungo il bordo del laghetto come forsennati, compiendo almeno venti giri in un minuto.
Poi, lei, morbida e bianca, si alza lievemente e si lascia usare come un mega trampolino per i tuffi.
Quindi, si lascia imbrigliare con delle liane per fare lo sci d'acqua su un pezzo di corteccia usato, a mo' di skate.
Alla fine se ne va mentre lui la saluta riconoscente, anche se poi la richiama con un fischio e le domanda:
"Ehi, potresti farci un po' di luce prima di tramontare?"
Lei ondeggia su e giù per dire di sì e improvvisamente mi sento inondata di una candida e avvolgente luce lunare.
Lui, dopo quattro vigorose bracciate, sale sul bordo del laghetto come fosse una piscina.
Mi porge una mano grondante e si presenta:
"Ciao, io sono Peter, piacere di conoscerti!"
"Piacere mio...", rispondo un po' intimidita.
E adesso debbo proprio dirvelo:
Peter Pan è bellissimo.
E' il bambino più bello che abbia mai visto in vita mia.
E' vero, non ho molti anni, ma di bambini ne ho incontrati tanti.
Come dite?
Com'è lui?
Beh, esattamente come ve l'immaginate.
Occhi verdi, riccioli biondo rame che gli cadono sul collo e che lui raccoglie in una crocchia, fermandola con una piuma azzurra di pappagallo.
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Ma il fascino di Peter, naturalmente, non è la sua bellezza, ma il suo entusiasmo.
Tutto, tutto, tutto quello che fa è divertente, e anche fosse la cosa più noiosa del mondo, farla con lui diventa un gioco imperdibile.
"Alcuni lo chiamano fascino...", osserva lui furbo, interrompendo il corso dei miei pensieri, "ma secondo me, è più magia", chiosa ridendo.
"Mi leggi nel pensiero?", gli domando ammirata, ma anche colpita dalla sua intraprendenza.
"No, no, non mi permetterei mai.
E' solo che so cosa stupisce, di me, le persone."
"Mhhh... sarà...", bisbiglio guardinga.
"Non mi guardare così.
Puoi fidarti, sono un amico leale", mi dice sicuro.
Sorrido, esito, lui insiste.
"Allora, Ele, qual è il problema?
E perché ti sei avventurata all'ora di chiusura, in una notte di primavera, nei giardini di Kensington?"
"Beh... io...
Non voglio diventare grande, Peter.
Mio nonno dice che è una scelta molto seria, e pensa che prima di decidere debba parlare con te che conosci il problema."
"Ah, dice così Giannetto?"
"Già.
Dice che ne avete parlato molte volte, anche perché proprio mentre nasceva la tua storia, un altro signore scriveva cose molto importanti che tu conosci già.
Storie circa i bambini smarriti, che non vogliono crescere e che non vogliono perdere la loro sedicente innocenza."
Ma Peter si adombra e m'interrompe.
Sembra stufo di sentire sempre la stessa storia.
"Sì sì, si chiamava Mabel Grey.
Conosco il soggetto e non so mica se ci ha fatto un gran piacere parlando tanto di noi."
"Ah", replico perplessa, "Perché?"
"Beh", continua lui giocherellando con il lembo della mia camicia, "Sai come si chiama il protagonista delle sue favole?"
"No", rispondo cauta.
"Te lo dico io:
si chiama Edipo."
"Ah, sì, ne ho sentito parlare", ammetto.
"Beh, è un tipino davvero strambo, visto che nessuno lo ha mai visto.
Ora, dato che tutti i bambini prima o poi passano di qui, mi domando che soggetto assurdo è quest'Edipo, perennemente assente?", mi chiede senza realmente attendersi una vera risposta.
Mi viene un po' da ridere, perché Edipo, lo sanno tutti, è un personaggio mitico utilizzato da Freud per dimostrare una teoria.
Ma questo, lo imparo presto, lo sanno tutti tranne Peter, che ha in programma, qualora lo incontrasse, di sfidare Edipo con ogni sorta di gioco a punti.
Va beh, non importa, andiamo oltre...
In poco tempo imparo anche che Peter è fatto così, che ha molte idee sul mondo e quasi tutte sbagliate.
Il problema è che non c'è modo di fargliele cambiare.
Anche in questo è molto infantile.
E' convinto, per esempio, che i bambini, prima di nascere, siano uccelli e che lui...
"Beh, io ero un tordo prima di nascere", afferma.
Poi, in gran confidenza, aggiunge: "Ma c'è qualche disgraziato che nasce corvo."
Poi, avvicinandosi ancora di più, mi sussurra: "Ad ogni modo i peggiori sono i passeri.
Se conosci qualche adulto che se la tira e non da confidenza, puoi giurarci che hai di fronte un ex passero!"
Ah, altro dettaglio:
secondo lui, nel suo mondo si abbandona l'uccellitudine, come (ridendo) abbiamo chiamato questa fase dell'infanzia, quando decidi di accettare la realtà.
E' da notare che, accettando la realtà, si smette anche di volare.
Of course!
E così, discorrendo con lui del più e del meno, ho imparato che è convinto che i baci siano ditali, oppure che solo se ha suonato il suo flauto si può essere veramente allegri.
Ma ho capito anche un'altra cosa su Peter Pan:
è scappato di casa perché aveva paura dei progetti che i suoi genitori avevano per lui.
"Ma la tua mamma avrà sofferto un pacco!", osservo inorridita.
"Beh, sì.
Per un lungo periodo, di notte, ha lasciato la finestra della mia stanza aperta sperando che tornassi...", mi confessa adombrandosi.
"E tu?
Sei tornato?"
"Uff... sì.
Ma dopo...", borbotta svogliato.
"Ma allora, quando sei scappato la prima volta, chi ti aveva insegnato a volare?"
"La prima volta ho visto le cime degli alberi dalla finestra e ho pensato intensamente:
voglio volare, voglio volare, voglio volare.
E mi sono buttato.
Erano le cime degli alberi dei giardini di Kensington e sono approdato qui.
Poi, qualcosa in me è cambiato.
Non ci ho più creduto e sono rimasto intrappolato per terra."
"Ma adesso voli, quindi ci credi di nuovo.
Come hai fatto?"
"E' diverso.
In questo caso sono state le fate", mi risponde deciso.
"Hai fatto un corso?", chiedo, con la segreta speranza di potermici iscrivere.
Lui ride a crepapelle e spiega: "Ma nooo!
A loro basta farti il solletico sulla schiena, è così che si vola!"
Accidenti, sono colpita, attratta e curiosa e commento con aria sognante: "Sono fantastiche le fate..."
"Mica tanto", replica lui, facendosi saltare sul braccio una raganella che lo guarda decisamente innamorata.
"Perché dici così?"
"Perché lo sanno tutti che le fate non sanno fare niente.
Sono fate, e questo è tutto."
"Beh, ti fanno volare, lo hai detto tu."
"Sì, ma devi pregarle, e a lungo.
Se no non fanno niente.
Una noia...
A parte una cosa, forse."
Faccio fatica a seguirlo ma domando:
"Quale?"
"Il loro sport preferito:
amano, sempre, sembrare un'altra cosa."
"Tipo?"
"Tipo... un fiore."
"Quindi sei potuto tornare dalla tua mamma anche se non credevi più di poter volare?
E non hai nostalgia?"
"L'avevo.
Ma è lei che non l'ha avuta più per me."
"Ma dai, Peter, non ci credo!"
"Libera di farlo..."
"Come puoi dire questo di tua mamma?"
"Lo dico.
E se credi, lo canto anche."
Lo guardo perplessa, lui si sente in dovere di spiegare.
"Allora.
Sono tornato da lei, ma lei dormiva.
Aveva un'espressione triste, quindi le ho suonato il flauto per farla sorridere nel sonno."
Lo guardo stupefatta.
"E perché non sei rimasto?"
"Perché le fate mi avevano promesso due, dico due, desideri e ne avevo espresso uno solo.
Mi sono detto:
vado, lo esaudisco e torno."
"Mhh", commento dubbiosa.
Penso che, forse, di fronte a due desideri delle fate avrei fatto lo stesso.
"E poi?"
"E poi, dopo il desiderio, sono tornato e la finestra...", altera un po' la voce, "...era chiusa!
Lei aveva un altro bambino fra le braccia e non aveva pensieri per nessun altro."
Incrocia le braccia e mi guarda con i suoi occhi verdi che scintillano allegria e sfida.
Beh, non potete immaginare il mio stupore.
"Sono davvero andate così le cose?", domando.
"Sono andate così", risponde, entusiasta di avermi lasciata di stucco.
Quindi aggiunge:
"E dunque io penso che tu faccia bene a rifiutarti di crescere Ely.
Crescere è molto stupido, secondo me.
E la vera domanda è:
perché diventare un adulto inaffidabile?"
"Ma Peter, se la storia è andata davvero così, forse nessuno di noi ha capito niente..."
"Che vuoi dire?"
"Hai perso la tua mamma per un desiderio Peter, credo sia una cosa assurda."
"Ma non capisci?!
Con il secondo desiderio potevo volare!!!
Come puoi dire che è assurdo?!"
"Beh, lo è.
Cioè, io penso che lo sia.
Ieri poteva essere il desiderio di volare, oggi un cono gelato, domani un cellulare, comunque sono tutti desideri che non valgono, per esempio, l'affetto di mio nonno!"
"Cos'è un cellulare?", domanda incuriosito.
"Un robo senza fili attraverso il quale puoi parlare con me anche stando dall'altra parte del mondo", cerco di spiegargli.
"E un nonno?"
"E' un signore con cui puoi parlare di tutto il mondo."
"Ah.
E tu ce l'hai un cellulare?"
"No, è una cosa da adulti."
"Allora non credo che m' interessi.
Va beh, adesso mi sto annoiando, penso che andrò", afferma un po' sulle sue.
Poi aggiunge:
"Per caso vuoi venire con me?"
Sorrido e gli domando:
"All'Isola di Embè?"
"Sì, all'Isola di Embè.
Ti divertirai Ele, è pieno di bambini, pirati e indiani e si gioca tutto il giorno!"
Non vorrei deluderlo perché so che detesta gli addii e ha gli occhi lucidi.
"Mi piacerebbe, Peter, ma ora non posso.
Non me ne voglio andare senza avvertire il nonno", dico decisa.
"Mi dimenticherai.
In genere chi si rifiuta di venire con me la prima volta, dimentica."
"Perché?", domando colpita
"Perché gli adulti, per lo più, hanno paura dell'immaginazione."
"Ma io non ci penso affatto a dimenticare!"
"Sta bene...", dice lui alzandosi, "Lo immaginavo.
Mi sembri una tipa tozza.
E quindi io sarò con te più figo degli adulti."
"Cioè?", domando incuriosita.
"Beh, io NON chiudo le finestre.
E se vuoi venire ti lascio la mia mappa, eccola qua, tutta tua."
Mi lascia cadere fra le mani una pergamena.
"Mappa per l'isola di Embè."
La apro, la rigiro fra le mani.
"Non la capisco, è tutta bianca, come faccio ad usarla?"
Ma lui sta già prendendo la rincorsa per spiccare il volo e urla:
"Immagina!
Immagina strade impossibili è questa la via che hai scelto
Il salto oltre la realtà è doppio e molto alto!
Segui la scia dell'eco pronunciando il mio nome.
Ricorda...
Del sole è un raggio solo che dà la direzione.
Monta la falce della luna in barba a un bel tramonto.
Riposati, quando serve, decifrando questo racconto.
Cogli pure un vento al centro della rosa
e avanza con le ciabatte se la giornata è odiosa.
Penderai da un'idea sorvolando i sogni
e navigherai a vista sui molti mari magni..."
E quando la sua sagoma era oramai ridotta a un minuscolo puntino mi arriva l'eco.
"E quando finalmente vedrai la punta fatta a uncino
seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino..."
E svanisce lasciando il cielo deserto.
Mi guardo intorno stordita, poi mettendo le mani ad imbuto intorno alla bocca esclamo:
"Qui, dai giardini di Kensington, è la Ele che parla!
Credo di aver capito, Nonno!
Non si deve aver paura di diventare grandi, perché si può essere adulti anche senza essere ottusi.
Passo e chiudo."
In questa fiaba tutto è corretto tranne un particolare... Dov'è l'errore?
Provate a rispondere scrivendo a regia-easyweb@rai.it
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