Alberi mitologici[Racconto di Paola Manoni] |
Prima parte Emanuele, il topo, gioca a nascondino. Crepitio di foglie secche al suo passaggio. Ogni tanto riaffiora dal terreno ed ha l'aspetto di un sioux per via del copricapo, non di piume d'uccello ma di coloratissime fibre vegetali. Guardo Emanuele, oramai mio assistente, dalla finestra del laboratorio. Ho grande affetto per lui. Da quando è arrivato qui ha fatto parecchi progressi! Primo fra tutti, ha imparato la nostra lingua... Anche se, di tanto in tanto, non rinuncia a farcire i discorsi con qualche espressione slang, in voga tra i topi di Manhattan. Oramai la sua provenienza americana è appurata, non vi è più alcun dubbio circa la sua origine. In passato, frequentava la fitta e sotterranea rete viaria della città. Ogni tanto la risaliva uscendo da qualche tombino per poi arrampicarsi sulle pareti dei grattacieli o dentro le canaline dei fili elettrici. Il suo passatempo preferito era andare a fare capolino negli alberghi, adorava le camere delle turiste sole che, quando lo vedevano passeggiare su lussuose e arabescate moquette, gridavano come matte. Inizialmente Emanuele pensava si trattasse di una particolare forma di benvenuto ma ben presto gli fecero capire che non si trattava di un apprezzamento e che la sua visita non era affatto gradita. Ci pensò la scopa di un cameriere a farglielo comprendere che per poco non lo uccise! Ma continuava ad andarci, anche se con mutate intenzioni. Più che una visita di cortesia, la sua era diventata un'azione terroristica ben cogitata! Pare inoltre che uno dei motivi per cui Emanuele saltò nella tasca della mia giacca quando io e Iggy facemmo ritorno nel Fiorfiore (in Un gatto in città) fu a causa di una certa carestia o, almeno, una minaccia di carestia. In quei giorni, in tutta la città era in corso una campagna denigratoria contro i topi. Cartelli nella metropolitana incitavano la gente a non lasciare cibo in giro, a non sfamare i piccioni e gli scoiattoli dei parchi cittadini perché, così facendo, avrebbero alimentato anche loro, i topi! Bella forma di ipocrisia! Come se a nutrirli non fossero già cubiche quantità di immondizia strabordante dai cassonetti dei rifiuti. Per questi motivi Emanuele, sdegnato, ha pensato di migrare e, senza passaporto né altra forma di salvacondotto, è riuscito a cambiare ambiente facendosi accogliere benevolmente. Floriflora gli ha concesso la cittadinanza del Fiorfiore e, come unica richiesta, ha preteso che facesse un bagno... O meglio, una specie di quarantena dove per giorni si è sottoposto ad abluzioni dagli effluvi odorosi e aspersioni di profumi da cocotte. La regina voleva anche imporgli l'abbigliamento ma non c'è riuscita... Ho protestato vivacemente: oltre alla mia voce si sono levate anche quelle di Fanfauna e Iggy (un gatto che insorge per i diritti di un topo... Solo nel Fiorfiore può accadere!). Ho preso a ben volere questo topo e anche la mia nuvola, Cotton, ha molta simpatia per lui. Inoltre, si è guadagnato l'encomio del regno per aver salvato il paese dal ciclone (in Un clandestino). Eccolo che in un guizzo entra nel laboratorio. Attraversa a tutta birra la gattaiola (che beffa questo vocabolo per un topo!). Passa nel corridoio sgommando in curva, salta sul tavolo e senza il minimo fiatone mi chiede se c’è qualcosa da mangiare. Gli propongo di preparare delle castagne arrostite e lui ne è entusiasta. Mi dice che a New York mangiava sempre le bucce trovate in terra agli angoli della Quinta Strada. C'erano dei banchetti che vendevano parecchie leccornie: hot dogs, pop corn, noccioline croccanti (le sue preferite!) e castagne arrostite in autunno. Allora, accendiamo il fuoco per preparare la brace… e mentre traffichiamo col camino intravedo dalla finestra Fanfanua… La regina varca la porta con pochi convenevoli… non mi dà il tempo di offrirle le castagne che annuncia subito il motivo della sua visita. Fanfauna: “Siamo venuti a chiedere l'aiuto di Emanuele.” Jackie: “Plurale maiestatis... ehm...”, domando con una certa impertinenza, trattandosi di una regina... e mentre parlo mi accorgo che la mia interlocutrice ha una gamba ingessata… come ho fatto a non notarlo prima! Intanto arriva pure Iggy, il quale entra dalla gattaiola. Emanuele, il topino, ha l'impulso immediato di nascondersi sotto il divano. Ancora non è abituato a un gatto che non gli dia la caccia! Poi domando a Fanfauna della circostanze in cui si è fatta male… Fanfauna: “Ecco, si tratta di una perlustrazione nel bosco… Qualche giorno fa, durante una passeggiata, andando a cercar funghi, sono scivolata su un letto di foglie secche che nascondeva delle rocce muschiate. Rovinando a terra, riportavo ammaccamenti alle corna, alla corona e alla gamba destra, la quale si è fratturata.” Jackie: Siamo tutti e quattro davanti al caminetto mangiando castagne fumanti… e dopo una pausa Fanfauna continua il suo racconto… Fanfauna: “Tu sai che io sono dotata di spirito di osservazione... e come senz'altro saprai anche tu, i muschi sono la bussola dei boschi.” Jackie: “I muschi hanno grande bisogno di umidità e questo fa sì che crescano il più delle volte nel nostro emisfero sul lato rivolto a nord di alberi e rocce mentre ai margini della foresta crescono solitamente a Nord-Ovest. Anche la minima pioggia portata dai venti dominanti assicura loro di non inaridire per via del calore estivo e immagazzinano acqua per affrontare la siccità.” Fanfauna: “Quindi… il muschio indica il Nord mentre la roccia su cui io mi sono malamente fracassata era invece rivolta a Sud! E come te lo spieghi?” Jackie: “Qui davanti al caminetto, col fuoco che scoppietta, non me lo posso spiegare! Dovrei recarmi sul posto.” Emanuele prende la parola per commentare, con sommo stupore di Fanfauna e di Iggy. Ipotizza che la roccia possa essere stata girata. Fanfauna: “Questo è quel che crediamo anche noi: è stata capovolta oppure trasportata da qualche altro luogo… E nella seconda ipotesi la domanda è: potrebbe coprire qualcosa? Un passaggio segreto?” Jackie: Inizio a comprendere il motivo per il quale chiedono l'aiuto di Emanuele: i topi possono attraversare ogni pertugio e arrivare ovunque e pertanto potrebbe passare sotto il macigno e dare un'occhiata. Iggy interviene per confermare e dice come la perlustrazione di un topo scaltro potrebbe rispondere alle loro domande. Emanuele gira in tondo nella stanza, vagamente innervosito. Poi, senza mezzi termini, Fanfauna si rivolge al topo per formalizzare la sua proposta. Emanuele sembra molto distratto e non risponde… anzi si alza per defilarsi. Intervengo per evitare l'imbarazzo che si sta per creare nella stanza: “Emanuele, sei o non sei tu il topo? Perché te ne vai?” Alle mie parole si ferma, si gira e in modo ispirato inizia un discorso strampalato. Domanda a sua volta se non si ponga, per caso, il quesito su cosa sia l'essere. E spiega: in questo interrogativo ci sono: un cercato (che è ciò che si domanda), un ricercato (che è ciò che si dovrebbe trovare), e un interrogato (colui a cui si porge la domanda). Il cercato è l'essere, il ricercato è il senso dell'essere. L'interrogato non può che essere un qualcuno, in quanto l'essere è sempre qualcuno che sarebbe l'esserci dell'uomo. Va da sé che interrogare l'esserci significa studiare le strutture del suo modo d'essere, cioè l'esistenza. E, per tirare delle conclusioni su questo ragionamento, chiude osservando come abbia poca importanza il fatto che lui sia o meno un topo! Poi esce dal laboratorio, sostenendo di avere un appuntamento galante. Vedo che Iggy si dà una grattatina alla testa e cerca di ripetere tra sé questi discorsi ontologici... Fanfauna rimane a bocca aperta: non si sa se per lo stupore o perché non ha capito nulla del discorso del topo e io… provo a rincorrere Emanuele il quale si è letteralmente volatilizzato. Ma non posso dire la verità, non posso dire che Emanuele cercava solo di distrarli per defilarsi. Cerco di spiegare: “Sapete i topi hanno una natura bizzarra e sono imprendibili... quando ritornerà gli parlerò io e vedrete che andremo nel bosco a fare la ricognizione che domandate…” Saluto il gatto e la regina. Mi immergo in una soporifera lettura che mi produce un sogno incredibile. Vedo Zeus con Era: spiccano mele d'oro dai rami degli alberi. Poi sono presso uno strano albero e lì c'è un elfo. Gli domando se sa dirmi di quale albero si tratti e lui mi risponde: “Yggrdrasil.” Mi sveglio di soprassalto con questa parola sconosciuta che ancora risuona dentro di me. Siffatte mitiche visioni danno un po' alla testa. Meglio fare una passeggiata. Esco dal laboratorio, salgo sullo Stravacante, il velivolo di mia invenzione, che galleggia a mezzaria trattenuto a terra da un'ancora. Sono pronto a salpare per fare un volo, le pale già mulinano l'aria quando sento la voce di Nimphea che mi domanda se può venire fare un giretto con me sullo Stravacante. Ovviamente accetto e quando siamo in navigazione le racconto le ultime accadute. Dopo qualche congettura decidiamo di andare a verificare sul posto. Predispongo l'atterraggio. Lo Stravacante scende lentamente, come una foglia che ondeggia nel vento e lievemente perde quota. L'abitacolo tocca terra con un minimo sussulto. Nimphea scende per prima e si stiracchia. Effettivamente non c'è molto spazio per i passeggeri. Tutto attorno sembra non esserci nulla di anomalo. Vediamo la roccia che fuoriesce dal fogliame. Effettivamente il muschio è a Sud e noto che è molto fresco e verdissimo. “Se almeno fosse stato di colore marrone...”, dico a voce alta. Nimphea chiede spiegazioni. Allora proseguo: “Il muschio è in grado di immagazzinare molta acqua e per questo può affrontare la siccità. L'esposizione di questa zona è piuttosto assolata e se fosse qui da molto tempo, sarebbe già diventato marrone. E non è detto che il muschio una volta asciutto si secchi: può tornare a esser verde prendendo un anche una minima pioggia.” Nimphea osserva che non piove da due mesi. Guardo il terreno, mi piego e lo tocco con le mani. Asciutto, quasi arso. Ma così chinato vedo qualcosa che mi colpisce. “Aiutami a scostare tutte le foglie qui intorno al masso”, dico rivolto a Nimphea, la quale inizia a spianare il terreno spazzando via il fogliame. Dopo poco appare una superficie ben ripulita di bosco che mostra con evidenza quanto ho potuto scorgere. Come vene che scorrono sottopelle e che si mostrano in rilievo, sono ben esplorabili con gli occhi e con le mani delle linee, tracce sotto terra, rigonfie in superficie, che girano tutte attorno alla roccia e si perdono nella profondità della terra. Nimphea rileva come questi tracciati, unendo tutti i punti, formino un disegno stranissimo. Io avanzo delle congetture che devo verificare, ma penso che questa tracce in rilievo siano radici. Ma poiché non ci sono alberi qui attorno che abbiano un apparato radicale così espanso, tanto da arrivare fin qui... l'unica idea pazzesca è che ci sia un albero, ma piantato a testa in giù... che non cresce in altezza verso il cielo ma, chissà? In altezza verso il centro della Terra? Vedo Nimphea rabbrividire a queste parole ma, poiché è una ragazza molto coraggiosa, mi risponde spavaldamente per domandare se non vi sia un altro mondo sotto il nostro. E poi ancora torna a domandare del muschio e della roccia. Alla luce della mia ipotesi, penso che la roccia potrebbe essere stata spostata da una radice che in qualche modo nutre il muschio con la sua linfa oppure potrebbe esservi un incavo nel masso in cui ristagna dell'acqua proveniente da una vena sotterranea... Ripartiamo al tramonto e atterriamo al laboratorio che oramai è calata la sera. Di Emanuele, nessuna traccia. Nimphea rimane con me e decido che domani proseguirò le indagini.
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