Bellezza, tempesta e assalto




[Racconto di Giovanna Gra]


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Fronte del porto


Regia: Elia Kazan

Cast: Marlon Brando, Karl Malden, Lee J. Cobb, Eve Marie Saint, Rod Steiger, Pat Henning

Circa 25 fra premi Oscar, Golden Globe, Nastro d'Argento, Leone d'Argento, ecc.


Terry Malloy è un poco di buono, un ex pugile corrotto che collabora con l'organizzazione sindacale che gestisce disonestamente i lavoratori portuali della città di New York.
Il fratello maggiore di Terry, Charley, è un pezzo grosso dell'organizzazione che fa capo a Johnny Friendly. Johnny è un boss crudele e spietato, e detta legge sui lavoratori del porto sfruttandoli senza pietà.
Padre Barry, il prete del quartiere, cerca di risvegliare le coscienze dei lavoratori dopo che uno di loro viene ucciso dagli scagnozzi di Johnny.
Edie, sorella della vittima, conosce Terry e se ne innamora, ricambiata dal ragazzo.
Ma la vita dei due non è semplice perché appartengono alle due opposte fazioni.
Edie e Padre Barry convincono Terry ad ascoltare la sua coscienza e a denunciare le malefatte di Johnny Friendly in tribunale.
Charley tenta di dissuadere Terry minacciandolo con una pistola, ma Terry ormai ha deciso: sta dalla parte dei lavoratori oppressi e della giovane Edie, cui l'organizzazione ha ucciso il fratello, perciò andrà a testimoniare.
L'organizzazione, su ordine di Johnny, uccide anche Charley.
Terry testimonia contro Johnny e contro l'organizzazione sindacale diventando, agli occhi di tutti, una "spia".
Dopo la sua deposizione in tribunale, Terry va da Johnny e lo accusa davanti a tutti i lavoratori di essere un ladro e un delinquente. I due fanno a botte e gli scagnozzi di Johnny partecipano al pestaggio, lasciando Terry esanime sul molo. I lavoratori portuali, che dopo la sua deposizione lo avevano considerato un vigliacco e gli avevano voltato le spalle, trovano in Terry il loro nuovo leader rifiutando una volta per tutte l'egemonia di Johnny Friendly.

La quantità di sequenze memorabili in questo film è disarmante. La forza espressiva del bianco e nero e l'intensità emotiva del racconto sono elementi determinanti per dare a questa pellicola un posto d'onore nella storia del cinema.
La meravigliosa interpretazione di Marlon Brando fa il resto.
Il padre di questo film che parla di ingiustizie, di coscienza, di crudeltà e di delazione, è Elia Kazan, che denunciò alcuni colleghi dell'ambiente del cinema come "comunisti" all'epoca del maccartismo.
Spaventoso controsenso.
Si dice che Fronte del porto fosse un gesto di "espiazione" di Kazan per cancellare il proprio passato di spia, ma l'orribile condotta collaborazionista del regista distrusse la carriera di più di una persona nel dorato mondo di Hollywood.
Quanto è difficile scindere la vita di un uomo dalle sue opere?
Moltissimo.
Ma come possiamo non riconoscere in Fronte del porto un bellissimo film di grande importanza?
Sì, c'è della retorica, c'è dell'eccesso, non c'è dubbio.
Alle volte la demagogia narrativa prende il sopravvento.
Ma il cupo senso di sconfitta del protagonista, la fatica quotidiana dei lavoratori del porto, lo scarno filo di sopravvivenza che guida le loro esistenze è raccontata con grande mano.
E grande sapienza.
Il luogo della coscienza di Terry, il protagonista un po' adulto, un po' adolescente, sempre istintivo a cui Marlon Brando regala la sua strepitosa interpretazione, è il tetto della casa.
Su quel tetto c'è l'allevamento di colombi di Terry, ci sono i suoi momenti di silenzio, c'è il primo, prezioso corteggiamento fra lui e Edie fatto di sguardi lievi, accennati, imbarazzati.

Grande pezzo di bravura dei due attori.
Il tetto è il luogo della purezza, infatti si trova "lassù".
Mentre "quaggiù", fra gli uomini dell'organizzazione, i portuali, i mendicanti, c'è il mondo vero, duro, spietato, solo.
Ed è quaggiù che la storia ci racconta il dolore, la menzogna, la violenza, la morte, la vigliaccheria dove tutto è brutto e sembra senza speranza.
Il personaggio di Edie, affidato ad una Eve Marie Saint che vincerà l'Oscar per questa interpretazione, è molto più che una semplice ragazza che viene da un collegio di monache, come ci dicono poche battute della sceneggiatura.
Edie è in realtà una donna giovane e profonda, una ragazza divisa fra l'amore per Terry e la consapevolezza che è proprio Terry il suo primo nemico.
E c'è molta sensualità in questa lotta fra la coscienza e l'istinto.
Edie, la coscienza, Terry, l'istinto, che nel corso del film invertono i ruoli, contagiandosi a vicenda e diventando l'uno il custode dell'altra.
E viceversa.
E poi c'è il padre di Edie, magnifico, onesto, disarmato, fragile, ma durissimo esempio di rettitudine che attraversa la storia con poche scene tutte di grande efficacia narrativa e interpretativa.
Un piccolo prodigio di scrittura e di racconto cinematografico.
Padre Barry, affidato a quel gigante di Karl Malden (che interpretò il bellissimo ruolo di Mitch nel film "Un tram che si chiama Desiderio", sempre di Kazan) vive di una umanità combattente e commovente.
Un ruolo determinante per un attore che è un grande "carattere" del cinema americano e che fu candidato all'Oscar proprio per questo film.
Rod Steiger, che interpreta Charley, il fratello corrotto di Terry, è come sempre un prodigio di misura e dà al suo personaggio una tinta umana e contemporaneamente disumana con una raffinatezza rara.
Eccezionale la scena in cui Terry e Charley parlano in macchina e, senza dirsi la verità a parole, lo fanno con gli sguardi e con pochi gesti di una sensibilità assoluta.
E poi Marlon Brando.
Bello.
Bravo.
Sofferente e sorridente.
Sfacciato e timido, spavaldo e segreto.
Anche lui aveva già lavorato con Kazan, in quel capolavoro che è "Un tram che si chiama Desiderio" del 1951.
Pare che ci abbia messo un po' prima di dire sì al ruolo di Terry Malloy, ma il suo sì gli ha regalato, oltre ad un premio Oscar come migliore attore protagonista, uno dei ruoli più belli della sua carriera.
E uno fra i più adatti a lui.
Il profilo di Brando (che Bertolucci celebrerà come nessuno in "Ultimo tango a Parigi") è ipnotico.
Quegli occhi pesti da pugile e quel naso assurdamente sexy fanno di Terry proprio un sex symbol, mentre il suo personaggio è in realtà abbastanza meschino, vile, corrotto, alle volte decisamente sciocco.
Ci vorrà buona parte del film perché diventi quella sorta di eroe che ci regalano gli ultimi minuti della pellicola.
Ma la grandezza della recitazione di Brando e l'inimitabile potenza della sua faccia ci incantano sempre.
E poi c'è il bianco e nero.
Che cosa si può dire che non sia già stato detto di questo meraviglioso bianco e nero?
Quanta forza dà al film?
E pensare che la prima produzione interpellata lo voleva realizzare in Tecnicolor!
Così Kazan lo portò alla Columbia Pictures, dove trovò in Sam Spiegel il padre ideale.
La metafora della boxe che accompagna tutta la storia, ci fa continuamente pensare al riscatto dell'uomo, e al fatto che, forse, c'è sempre la possibilità di alzare la testa e di ribellarsi al destino che, troppe volte, decide per noi.
In Fronte del porto il destino viene piegato dalla coscienza.
E dalla volontà.
Proprio come quando un pugile al tappeto si rialza un secondo prima del gong per dire al suo pubblico: "Non è ancora finita".


Il Gattopardo


Regia: Luchino Visconti

Cast: Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli, Lucilla Morlacchi, Serge Reggiani, Mario Girotti, Giuliano Gemma


Premi: David di Donatello nel 1963, Palma d'Oro nel 1963, Nastro d'Argento nel 1964
Don Fabrizio, principe di Salina, assiste al mutare dei tempi constatando con malinconia e con lucida rassegnazione il declino inarrestabile dell'aristocrazia.
Il nipote, Tancredi, giovane ambizioso e opportunista, combatte a fianco dei garibaldini e appena l'esercito del generale si scioglie diventa ufficiale dell'esercito regolare di sua Maestà il re d'Italia.
La sua capacità di stare al passo coi tempi si manifesta anche nell'amore per Angelica, la figlia dell'arrivista don Calogero, sindaco di Donnafugata (residenza estiva del principe di Salina e della sua famiglia) un ometto rozzo e ignorante. Don Calogero fa parte della nuova classe politica, per Tancredi sposare Angelica significherà "sposare" la nuova Italia che sta nascendo e anche appropriarsi di un ingente patrimonio, essendo don Calogero molto ricco.
Don Fabrizio ha un debole per il nipote e gli permette questo matrimonio a dispetto della propria figlia, Concetta, promessa sposa di Tancredi.
Quando il cavalier Chevalley, piemontese, si recherà a Donnafugata per proporre a don Fabrizio di diventare Senatore del nuovo Regno d'Italia, il principe rifiuterà decisamente.

"Sono un esponente della vecchia classe, fatalmente compromesso con il passato regime e a questo legato da vincoli di decenza, se non di affetto.
La mia è un'infelice generazione, a cavallo tra due mondi e a disagio in tutti e due. E per di più io sono completamente senza illusioni.
Che se ne farebbe il Senato di me?
Di un inesperto legislatore cui manca la facoltà di ingannare sé stesso, essenziale requisito per chi voglia guidare gli altri".

Questa è la filosofia del principe di Salina, che infatti deciderà di tirarsi indietro in un momento cruciale per l'Italia.
Un grande ballo a cui parteciperanno molti personaggi, vari e meschini, concluderà la storia lasciando nell'uomo l'amarezza del nuovo mondo che sta spazzando via il passato e tutto ciò a cui lui è legato...


Il passo stanco del principe di Salina ci accompagna nelle ultime inquadrature di questo splendido film di Luchino Visconti del 1963.
Una società stanca e provata dal tramonto di un'epoca e dalla nascita burrascosa di una nuova era, quella dell'Unità d'Italia, è simboleggiata dagli altrettanto stanchi invitati al ballo di Donna Margherita.
Uno sfarzoso ballo che occupa quasi un terzo del film e che racconta simbolicamente quello che sta succedendo nel paese.
Ricchi appartenenti all'aristocrazia si mescolano a nuovi proprietari terrieri e a politici mediocri e senza scrupoli.
Belle ragazze di alto lignaggio condividono con giovani borghesi le fastose sale del palazzo della principessa.
E la nuova Italia si mostra in tutta la sua inadeguata vitalità.
Il mondo del principe di Salina sta sparendo, ora sarà Tancredi, ambizioso nipote senza scrupoli, arrivista, affascinante, calcolatore, a dettare le regole.
E, come ogni capostipite che si rispetti, don Fabrizio si fa da parte affinché questo cambio della guardia possa avvenire.
E la lunga splendida carrellata di volti ricoperti dalla polvere della terra di Sicilia che assiste alla celebrazione della messa nella chiesa di Donnafugata, ci dice che l'aristocrazia è ormai lo spettro di sé stessa.

I volti del principe e di tutti i componenti della sua famiglia, immobili, stanchi, ricoperti da una polvere bianca e spessa ci raccontano la morte di quella classe sociale.
Una classe ormai fantasma.
Così come l'incedere saldo e riflessivo di Burt Lancaster, che nel film interpreta don Fabrizio, è in netto contrasto con il passo spedito, agile, scattante del nipote Tancredi, il bellissimo Alain Delon.
Impossibile non amare questo film anche per il cast strepitoso che lo interpreta.
La ricchezza delle immagini è data non solo dalle magnifiche scenografie di Mario Garbuglia, ma anche dalla maestosità di un gruppo di attori che, diretti alla perfezione da Visconti, illuminano lo schermo con la loro bravura e, spesso, con la loro bellezza.
L'irraggiungibile seduttività di Angelica, interpretata da Claudia Cardinale, è il simbolo della seduttività del nuovo che arriva al galoppo in un paese che è tutto da ricostruire, da impostare secondo canoni mai indagati.
La meschinità del personaggio interpretato da Paolo Stoppa simboleggia l'arrembaggio dei nuovi ricchi, rozzi, pressapochisti e profondamente ignoranti, ma veloci nell'occupare i posti di potere che i vecchi leoni stanno lasciando vuoti.
La ferma dignità di Rina Morelli, la principessa di Salina, è preziosa quanto è fuori tempo.
È passata, finita, mentre una generazione di nuove principesse molto meno blasonate si fa largo a gomitate.
Su tutto questo, il meschino barcamenarsi di Padre Pirrone, sacerdote sempre al seguito del principe di Salina che, grazie all'interpretazione di Romolo Valli, ci mostra un personaggio mediocre alla disperata ricerca di una mediazione fra il vecchio e il nuovo.
Spazi immensi e bellissimi, terre riarse ma a loro modo accoglienti ed invitanti, saloni ridondanti di tessuti preziosi, tavole imbandite di ogni ben di Dio, battaglie furiose e sanguinose, sguardi innamorati e malinconici, cieli splendenti, soli accecanti, mute di splendidi cani da caccia, sottogonne preziose, corpetti pregiati, mille e mille altri elementi fanno di questo film una assoluta celebrazione del bello.
Il bello in ogni sua forma, anche inusuale, ma che, nelle mani di Visconti, non può che essere bello.
Bello e basta.
La ricostruzione storica ha in questo film la sua celebrazione perfetta:
palpitiamo coi garibaldini in battaglia e ci scopriamo riflessivi e analitici con Chevalley mentre illustra a don Fabrizio il futuro politico dell'Italia.
Soffriamo con Concetta per la sua femminilità umiliata dall'educazione paterna, in un periodo in cui la donna non aveva diritti né piaceri.
Il principe di Salina che rimprovera padre Pirrone per la sua scarsa igiene mentre si erge, nudo e bellissimo, dopo il bagno, ci racconta la quotidianità di quel periodo, e la splendida scena in cui le ragazze, stremate, riposano durante il ballo finale ci dà uno spaccato di ciò che si cela dietro il fasto del ball;
così come la perfetta immagine dei cantari, i vecchi pitali di coccio, ammassati uno di fianco all'altro ci mostrano ciò che non si deve vedere.
Nei saloni impazza la festa mentre nelle stanze più segrete gli invitati danno di sé un'immagine alle volte impresentabile... forse anche questa è la metafora del film.
La società che sta per arrivare come un fiume in piena è molto meno perfetta di quella in cui il principe di Salina ha vissuto, o almeno questo sembrerebbe.
E il lamentoso e distratto Rosario che ci introduce all'inizio della storia, ci introduce anche alla religione dell'epoca, una sorta di stregoneria che Visconti racconta senza alcuna indulgenza, né pietà.
Il Gattopardo rinnova quel piccolo miracolo che si verifica solo con i capolavori:
ogni volta che capita di vederne un'inquadratura si viene immediatamente catturati, agganciati e non ci si riesce a staccare dallo schermo.
Che ci si trovi ad una proiezione estiva o che si stia facendo zapping tra un notiziario e una pausa pubblicitaria (orribile, ma ormai la fruizione del cinema è anche così), è impossibile andarsene e ci si butta immediatamente fra le braccia calde, brucianti, ma stranamente accoglienti di Donnafugata, paese riarso ed assolato, ennesimo grande protagonista di questo film.
Visconti ci ha fatto tanti regali nella sua vita.
Ci ha raccontato i miserabili di Aci Trezza e i poveri emigranti.
Qui ci ha raccontato ciò che più gli assomiglia.
Ci ha raccontato un declino, quel declino dell'aristocrazia che lo ha riguardato da vicino, che gli è appartenuto, che ce lo fa conoscere quasi di più di quanto ci faccia conoscere il Principe di Salina, suo alter ego.
E ci domandiamo inevitabilmente cosa avrebbe pensato, cosa avrebbe fatto se si fosse trovato con noi, oggi, in questo mondo che parla di tutto ciò come di un ricordo lontano, materia di discussione fra intellettuali e niente più.
Ora che il chiasso della televisione e il vuoto del cinema non ci sanno più dire certe poesie, ora che il grande schermo ci inchioda alla poltrona grazie all'adrenalina, ma sempre più difficilmente grazie al bello, alla parola e al pensiero.

Ombre rosse



Regia: John Ford

Cast: John Wayne, Claire Trevor, Andy Devine, John Carradine, Thomas Mitchell.
Oscar all'attore non protagonista, Thomas Mitchell e alla colonna sonora.

1880.
Alcuni personaggi estremamente diversi fra loro compiono un viaggio su una diligenza da Tonto a Lordsburg.
Dallas, prostituta dal cuore buono e il dottor Boone, inguaribile ubriacone, sono stati cacciati dalla città dall'associazione dell'Ordine e della Legge: il loro comportamento sconveniente non è più tollerato.
Con loro sulla diligenza un banchiere corrotto, Gatewood, e il timido signor Peacock, rappresentante di liquori.
Poi ci sono Hatfield, il giocatore d'azzardo, lo sceriffo Wilcox e Lucy Mallory, la moglie incinta di un generale.
Curly, lo sceriffo locale, e il conducente Buck completano il gruppo.
Ringo Kid, fuorilegge, è evaso dalla prigione e vuole raggiungere Lordsburg dove si trovano i fratelli Plummer, assassini di suo padre e di suo fratello.
Ringo vuole uccidere i Plummer per vendicare i suoi familiari.
Anche per lui ci sarà un posto sulla diligenza.
Le diversità profonde che caratterizzano i personaggi non tardano a manifestarsi e, in una spietata lotta in cui i pregiudizi e le incomprensioni sembrano insormontabili, il viaggio dei nostri eroi sarà l'occasione per capirsi e per imparare a rispettarsi nonostante le molte differenze sociali, culturali e morali.
Determinante per questo percorso "spirituale" dei protagonisti sarà il parto, magistralmente gestito da Dallas e dal dottor Boone, di Lucy Mallory.
La nascita di una nuova vita li obbligherà a collaborare e a capirsi.
Un terribile attacco degli indiani metterà a dura prova l'incolumità dei passeggeri, ma l'arrivo della cavalleria permetterà loro di arrivare a destinazione sani e salvi.
Solo Hatfield perderà la vita.
A Lordsburg, lo sceriffo Curly, grande amico del padre di Ringo, permetterà all'uomo di uccidere in un duello i fratelli Plummer.
Infine, Ringo e Dallas fuggiranno oltre frontiera per iniziare una nuova vita insieme.
Da dodici anni John Ford non dirigeva un western.
Siamo nel 1939, e questo genere di film naviga in pessime acque, relegato alla serie B della produzione cinematografica.
Bisogna dire, in tutta onestà, che anche John Wayne fa in qualche modo parte di quella serie B.
Viene dal clamoroso insuccesso di "Il grande sentiero" e i produttori non lo considerano un granché.
Quando John Ford propone a David O. Selznick "Ombre Rosse", il produttore storce il naso.
E rifiuta il film.
Walter Wanger, produttore indipendente, è più possibilista, ma per non correre rischi vuole due grandi nomi:
Gary Cooper e Marlene Dietrich.



No, John Ford non pensa affatto alle due star, costerebbero troppo, e propone John Wayne e Claire Trevor, decisamente più economici.
Sulla Trevor non ci sono riserve, ma su Wayne sì, e molte.
Come abbiamo detto viene da un insuccesso, e in ogni caso non è un nome su cui puntare.
Ma Ford lo vuole e, dopo vari tentennamenti, Walter Wanger cede e gli affida la parte di Ringo Kid.
E si crea una leggenda.
Se pensiamo al western non possiamo non pensare a John Wayne a cavallo che lotta con gli indiani, o che si allontana nel tramonto, o che spara al cattivo di turno in un duello finale mentre la polvere dell'Arizona gli mulinella intorno sotto un sole a picco.
Prima uno stuntman, poi una comparsa, poi un attore.
Questo è il percorso di John Wayne, classe 1907.
Ma senza Ombre Rosse non sarebbe mai stato il divo che noi conosciamo.
Nel 1999, l'American Film Institute lo ha promosso al tredicesimo posto tra le più grandi star maschili di tutti i tempi, ma nel genere western è sicuramente il numero uno.
E anche in Ombre Rosse è l'eroe per eccellenza, anche se la sua è una missione di morte: vendicare l'uccisione del padre e del fratello.
E pensare che sono stati molti i produttori che non hanno voluto saperne di questo film...
La Monument Valley è il set naturale in cui si svolge Ombre Rosse, e in quel lontano 1939 è la prima volta che questa terra di confine fra lo Utah e l'Arizona viene usata per il cinema.
E sorprende che gli esterni siano stati realizzati in meno di una settimana!
L'assalto alla diligenza, probabilmente il più famoso della storia del cinema, si svolge proprio qui, nella Monument Valley.
La quantità di punti di vista che raccontano questo momento, decisamente il più dinamico dell'intera pellicola, è impressionante.
Gli indiani, minacciosi, che rappresentano solo ed esclusivamente "il nemico" da temere, tendono un agguato alla diligenza su cui viaggiano tutti i nostri protagonisti.
E quello strano gruppo composto dalla più varia umanità si trova a dover far fronte al pericolo mettendo in campo tutta la forza e la solidarietà di cui è capace.
La metafora di Ombre Rosse è questa e celebra un inusuale inno contro i pregiudizi.
I protagonisti di questa spedizione, che parte sotto i peggiori auspici della divisione e dell'incomprensione, diventano a poco a poco un gruppo unito e solidale, in cui le differenze sono ricchezza e forza.
Insomma, qui i personaggi più sconvenienti e meno rispettati dalla società sono i veri eroi, mentre i cosiddetti "giusti" nascondono meschinità e pochezza.
Su tutti però regna incontrastato il grande Ringo Kid, regista dell'azione.
Punto focale, eroe buono e giusto, gigante protettivo, star a tutti gli effetti.
Ma è impossibile sottovalutare la grandezza assoluta degli altri personaggi.
Come non ammirare Thomas Mitchell, che dà vita al dottor Boone? Come non amare la sua fragile natura di ubriacone che nel parto della signora Mallory ha il suo riscatto?
Non a caso questa interpretazione gli varrà un premio Oscar.
E, tanto per ricordarne la gloriosa carriera di caratterista, è lui a commuoverci in "Via col vento" dove interpreta Gerald O'hara, il padre di Rossella, e a farci palpitare nel bellissimo "La vita è meravigliosa" dove veste i panni dello smemorato zio Billy...
Grande, splendido caratterista Mitchell, che ha impreziosito insieme a tanti suoi colleghi il grande, splendido cinema americano...
E lo sguardo buono e onesto di Dallas, Claire Trevor, quanto è in contrasto col suo ruolo di poco di buono?
Dallas, la prostituta che viene cacciata dalla città e che finirà fra le braccia di Ringo, l'eroe per eccellenza, è qui la donna perfetta, in barba ai formalismi e all'ipocrisia dei personaggi più rispettabili del film, per esempio la signora Mallory.
Il banchiere Gatewood, infatti, è in realtà corrotto, mentre Dallas e Ringo, i reietti, saranno quelli da cui nasceranno i "nuovi" americani.
E quanta tenerezza ci fa il piccolo, mite signor Peacock, a cui viene continuamente chiesto di ripetere il suo nome, come a sottolineare la sua innocua personalità...
Inaspettato e cinematograficamente perfetto il momento in cui una freccia lo colpisce in pieno petto costringendoci a temere per la sua vita, mentre fino a quel momento abbiamo sorriso della sua ingenuità e della sua modestia così naïf ...
Qui scatta l'azione, quella vera.
Incalzante, eccitante, coinvolgente.
Basta pensare al triplo salto di Ringo sui cavalli lanciati al galoppo nel pieno dell'attacco alla diligenza, prodigio acrobatico per l'epoca.
E alla macchina da presa (dove sarà stata messa? Probabilmente in una buca, al sicuro, con l'obbiettivo puntato verso il cielo) che ci mostra il ventre teso dei cavalli che galoppano sulle nostre teste, così emozionante.
E ancora, una cinepresa montata su un'automobile che andava a sessanta all'ora correva a fianco dell'azione e riprendeva il furioso inseguimento fra gli indiani e i nostri protagonisti per darci il senso della velocità dell'azione e del pericolo incombente.
Si stenta veramente a credere che la maggior parte di ciò che ci incanta sullo schermo abbia visto la luce negli studi della Goldwyn, quindi in interni, perché tutto ciò che è stato girato in esterni, nella già citata Monument Valley, è veramente mozzafiato.
E non dimentichiamoci che questo colosso della storia del cinema aveva problemi di budget, non trovava un produttore, non doveva costare troppo, era affidato ad attori non particolarmente amati e ha rischiato più e più volte di non essere mai girato.
Magia, potenza del cinema.
Ma siccome questa magia ha bisogno di denaro per sopravvivere, la pioggia di dollari che scese su Ombre Rosse fu provvidenziale, perché diede nuovo impulso al genere western che riprese vita regalandoci alcuni fra i più grandi capolavori visti sul grande schermo.
E se dopo tanti anni e dopo tanti film è quasi impossibile non sorridere di alcune ingenuità di questa pellicola, è altrettanto impossibile non riconoscere in Ombre Rosse un capostipite.
Un prototipo.
Un punto di partenza, anzi uno splendido "punto di non ritorno" per il cinema mondiale.
John Ford è il padre di tutto questo, e molti dei suoi "figli" hanno reso la nostra vita più bella e più emozionante.
"Com'era verde la mia valle", "Sfida infernale", "Sentieri selvaggi", "Rio Bravo", "L'uomo che uccise Liberty Valance "... ecco alcuni suoi splendidi film.
E poi il grandissimo, intimo, spensierato, divertente, toccante, sensuale "Un uomo tranquillo", sempre con John Wayne e con la fantasmagorica Maureen o'Hara.
Il loro bacio frustato dal vento è una delle immagini più sexy che il cinema ci abbia regalato ... ma questa è già un'altra storia.


 

 

 

 

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