Ancora tre pietre miliari




[Racconto di Giovanna Gra]


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durata 26 minuti



Viale del tramonto


Scheda tecnica


Anno: 1950

Paese: Stati Uniti

Genere: drammatico

Durata: 110 min

Titolo: Sunset Boulevard

Regia: Billi Wilder

Sceneggiatura: Billi Wilder, Charles Brackett

Produzione: Charles Brackett

Fotografia: John F. Seltz

Cast: William Holden, Gloria Swanson, Erich von Stroheim, Nancy Olson, Fred Clark, Cecil B. DeMille, Buster Keaton

Premi: Golden Globe miglior attrice in un film drammatico a Gloria Swanson.


Un corpo senza vita galleggia nella piscina di una villa fatiscente.
È quello di Joe Gillis, ma per capire chi è dobbiamo fare un passo indietro di almeno sei mesi quando, inseguito dai creditori che vogliono sequestrargli la macchina, si rifugia nella villa per nascondersi.
Dopo un primo malinteso con Max, il maggiordomo Joe rivela di essere uno sceneggiatore e di essere capitato lì per caso.
La proprietaria di quella casa antichissima e semi in rovina è Norma Desmond, ex diva del muto.
Gillis è stupito, Norma lo assolda immediatamente per fargli fare la revisione di un copione di cui lei stessa ha curato la stesura, che racconta la storia di Salomè.
Comincia così l'assurdo rapporto fra i due che porta ben presto la donna a innamorarsi del ragazzo, non ricambiata.
La diva lo fa trasferire nella villa, lo copre di regali costosissimi, lo circuisce in tutti i modi, ma Gillis la rifiuta, pur facendosi mantenere.
La sera di Capodanno, dopo una terribile litigata, Joe lascia Norma e raggiunge i suoi amici in città.
Tutti lo accolgono entusiasti ma, dove si è nascosto per tutto quel tempo?
Lui non dà spiegazioni, la serata va avanti fra la gioia generale.
Alla festa c'è Betty Schaefer, fidanzata di un suo amico.
Joe viene raggiunto da una telefonata di Max, il maggiordomo di Norma, che gli dice che l'ex diva ha tentato il suicidio.
Joe, sconvolto, lascia la festa e si precipita alla villa.
Ha inizio la relazione fra i due e il giovane sceneggiatore diventa a tutti gli effetti l'amante della donna.
Ma Joe rivede Betty.
I due s'incontrano di notte, all'insaputa di Norma, negli uffici della Paramount per scrivere una sceneggiatura a quattro mani.
E si innamorano.
Quando Betty chiede a Joe di sposarla, il ragazzo se ne va senza dare spiegazioni.
Norma scopre la tresca fra Joe e Betty e, con una telefonata anonima, rivela alla ragazza la doppia vita del suo innamorato.
Durante la telefonata viene scoperta da Joe che invita di persona Betty alla villa per vedere con i suoi stessi occhi la situazione.
Betty arriva e, di fronte alla verità, fugge sconvolta.
Joe decide di andarsene e fa i bagagli.
Mentre sta attraversando il giardino per lasciarsi tutto alle spalle, Norma gli spara tre colpi di pistola e lo uccide.
Il corpo senza vita di Joe cade nella piscina, dove lo troviamo all'inizio del film.
Arriva la polizia.
Norma, ormai totalmente fuori di sé, è convinta che la piccola folla che si è riunita sia lì per l'inizio delle riprese del suo film su Salomè.
E, vedendo le luci e la ressa di cineoperatori e di giornalisti, si dice pronta per il suo primo piano.
Max, che scopriamo essere stato il primo marito della diva e il regista che l'ha lanciata, asseconda il delirio di Norma che si consegna, ignara, alla polizia.

Declino.
Crudeltà.
Follia.
Menzogna.
Illusione.
Vita.

Queste le parole che meglio raccontano un capolavoro del cinema di tutti i tempi.
La vecchia Norma Desmond, la pazza e fragile diva del muto, uccide per non essere uccisa a sua volta dalla crudeltà dell'esistenza.
Ma è troppo tardi: la vita l'ha già eliminata dal suo corso inesorabile.
Il tempo passa e ti cancella... e mentre ti cancella, ironia della sorte, ti lascia i suoi segni indelebili sulla faccia, sul corpo.
E sull'anima.
Allora sei costretto a mentire, prima di tutto a te stesso, per non soccombere a ciò che il tempo ha fatto di te.

 

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Immagine in figura intera della diva (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). La diva, in abito da sera e stola di ermellino, scende una scalinata, con portamento eleganteImmagine in figura intera della diva (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). La diva, in abito da sera e stola di ermellino, scende una scalinata, con portamento elegante.Particolare della scalinata.Particolare della diva
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Soprattutto se, fino a quel momento, hai vissuto in un universo finto, fittizio e straordinariamente seducente.
La diva Norma Desmond ha avuto tutto:
bellezza, fama, denaro, amore, gloria.
Per molto tempo è stata l'unica.
Poi, questo tempo è passato e l'ha buttata via senza nemmeno dirglielo.
Così, lei ha cominciato a crearsi un mondo parallelo nel quale vive tutt'ora, all'inizio della nostra storia.
Mentre il mondo corre veloce (siamo nel 1950) Norma si culla nella rarefatta atmosfera dei primi anni del secolo, quando il suo volto espressivo dominava gli spettatori incantati delle sale cinematografiche.
Lei era la regina e il mondo era fatto di sudditi.
Questa era Hollywood.
Questa Hollywood lei conosce e non sa, o forse non vuole sapere, che ne esiste un'altra nuova, forte, rampante e piena di stimoli e di idee.
Perciò, Norma si è chiusa nella sua villa con piscina e, chiudendo fuori il mondo, ha creduto di cancellarlo.
Ma il mondo fa irruzione in casa sua travestito da giovane uomo bello, prestante, sfacciato e squattrinato.
E lei soccombe al suo fascino.
E al fascino della vita, che il giovane Joe Gillis porta con sé.
Ma qui avviene qualcosa di inaspettato.
Norma sembra vecchia, finita, arresa al passato, ma dentro di lei arde una donna piena di vita e di voglie, una donna che è pronta a rinascere grazie all'amore, elisir miracoloso.
Quindi, forse, ci troviamo di fronte a un controsenso?
Viale del tramonto è per antonomasia il film sul declino, sulla decadenza, sulla fine... ma che cos'è la furia di Norma Desmond, se non un inno alla vita?
Norma è un'attrice, gioisce, soffre, spera e muore continuamente per esigenze di copione, ma quando il copione lo scrive lei allora decide di lottare per ciò che le piace, fino a uccidere per averlo.
È tutto fuorché una resa!
Per questo Viale del tramonto è un film universale, è un film perfetto, un film che non passerà mai:
perché racchiude in sé morte e vita come poche storie sanno fare.
il personaggio di Norma Desmond non è semplicemente una diva in declino, è la protagonista forte, consapevole, assoluta della propria vita, per la quale non contempla alcuna fine, nemmeno se il mondo intorno le dice che invece sì, è proprio finita.
Joe, Betty, Max, Hollywood stessa, sono gli spettatori della grande performance di Norma, personaggio che travalica ogni schema, impossibile da incasellare in qualunque cliché.
Le sue sopracciglia ben disegnate, le bende che fasciano i polsi che ha tagliato tentando il suicidio, la piuma sul cappellino che sfoggia a bordo della sua memorabile Isotta Fraschini, il travestimento da Charlot col quale intrattiene Joe, gli sguardi fiammeggianti o obliqui che distribuisce nel corso del film, il suo sorriso, tutto di lei dice che è un personaggio imprendibile, guizzante, vivo.
E anche se Hollywood, con le sue regole ferree e crudeli, le crea intorno un deserto di silenzio, di indifferenza, quasi di scherno, Norma è viva, più viva che mai.
Emozionante è la scena in cui la vecchia Hollywood rende omaggio alla sua diva di un tempo con alcune comparse che fanno capannello intorno a lei sul set di C.B. De Mille.
Grande è la tenerezza del vecchio elettricista che la illumina con un quarzo come ai tempi del suo splendore.
Ironico e acuto il volo del microfono che la infastidisce a pochi centimetri dalla sua testa, come a ricordare che il progresso è sempre in agguato e può fare a meno di lei.
Ma è poi vero che senza queste dive il mondo dell'immaginario è lo stesso?
È vero che senza tutte queste stelle il cinema può continuare a brillare?
Norma dice di no, lo grida con tutta la voce che ha.
E il suo ruggito pieno di forza riempie lo schermo mentre l'ultima inquadratura ci regala lo sguardo vitreo e assoluto di una impossibile Salomè.

 

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Immagine del profilo di una figura umana (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Il profilo di una figura umana, ricavato dalle campiture dei colori giallo e arancio, che impugna a mano alzata un coltello.Particolare della mano alzata.Particolare della testa.
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Psyco


Anno: 1960

Paese: Usa

Genere: Thriller/Horror

Durata: 109'

Titolo: Psycho

Regia: Alfred Hitchcock

Soggetto: Robert Bloch (romanzo)

Sceneggiatura: Joseph Stefano

Produzione: Shamley Productions

Fotografia: John L. Russel

Colonna sonora: Bernard Herrmann

Cast: Janet Leigh, Vera Miles, Anthony Perkins, John Gavin, Martin Balsam, John McIntire

Premi: Golden Globe miglior attrice non protagonista a Janet Leigh.


Marion Crane scappa da Phoenix con 40.000 dollari che ha rubato alla società immobiliare presso cui lavora.
Dopo ore, ore e ore di viaggio finisce al Bates Motel, un semplice, anonimo Motel gestito dal giovane Norman Bates.
Norman è un ragazzo strano, timido.
Ed è vessato dalla madre, una donna fortemente autoritaria.
Marion viene accoltellata sotto la doccia.
Norman fa sparire il suo cadavere.
Chi è l'assassino della donna?
Un detective privato è sulle sue tracce per conto della società immobiliare che ha subito il furto e, quando arriva al Bates Motel, scopre che è proprio lì che la donna ha trascorso la notte.
L'indagine di Milton Arbogast, così si chiama il detective, è però destinata a interrompersi perché anche lui viene ucciso.
Al Bates Motel arrivano Lila e Sam, rispettivamente la sorella e l'amante di Marion, ma una brutta sorpresa li aspetta: Lila scopre nella casa di Norman Bates il cadavere mummificato di una donna.
Qui Lila viene aggredita da una figura non ben identificata ma scopriamo, grazie all'intervento di Sam, che l'aggressore altri non è che il giovane Norman travestito.
Norman finirà i suoi giorni in manicomio, mentre una voce fuori campo ci racconta il pregresso della vicenda.
Norman ha ucciso la madre e l'amante di lei e, per far tacere il terribile senso di colpa, conserva il cadavere della donna e ne veste i panni, attuando il più evidente sdoppiamento di personalità della storia del cinema.

La paura fa cinquanta milioni.
Secondo il famoso detto fa novanta, ma al botteghino fece molto di più, quando Psycho uscì nelle sale.
Cinquanta milioni di dollari di incasso a fronte degli ottocentomila spesi per la realizzazione del film.
Il più grande successo commerciale di Alfred Hitchcock.
E uno dei suoi film più amati, conosciuti, citati.
Gus Van Sant ne fece il remake nel 1998 riproponendo pedissequamente inquadratura dopo inquadratura...
Una sorta di omaggio al grande maestro.

La casa di Norman Bates si staglia cupa contro un sinistro cielo in bianco e nero.
È la casa degli orrori.
Sarà forse quel tetto stranamente spiovente, sarà l'inusuale verticalità secondo cui è costruita, sarà quel suo modo di dominare il Bates Motel, ma la casa di Norman è un luogo che fa profondamente paura.
E fa ancora più paura per il senso di isolamento che comunica con quel suo ergersi sopra tutto, sopra la tragica storia a cui assistiamo.
Chi non conosce questo film?
Quanti di noi possono dire di non averlo mai sentito nominare?
Norman e la madre, la doccia di Marion, il Bates Motel, sono tutti elementi topici di una pellicola che è entrata nelle nostre vite e non ne uscirà mai più.
Che ha influenzato i nostri gesti più semplici e quotidiani.
Quanti di noi hanno tremato con quelle 35 inquadrature che raccontano l'omicidio di Marion sotto la doccia?
Quel coltello che scintilla, quel sangue che fluisce via, quella musica stridula e ossessiva, quel montaggio serrato, sono il thriller allo stato puro.
E avremmo mai potuto immaginare che, dopo un delitto così efferato e sanguinoso (di cui peraltro non vediamo quasi nulla ma immaginiamo tutto), avremmo provato tanta pietà per l'assassino?
Psycho è un film che ci fa stare sempre dalla parte del cattivo, che cattivo non è.
E ci fa sperare non nella sua redenzione, perché il suo agire non dipende da lui.
Un colpevole c'è, ma non è Norman Bates, l'assassino.
La sua delicata efferatezza ci seduce mentre stiamo aggrappati alle poltrone e assistiamo ai suoi crimini.
Questo è il destino di tutti i cattivi del cinema?
No.
Non è così.
Con Norman Bates non facciamo semplicemente il tifo per il più furbo, il più forte, il più scaltro.
Con Norman scatta un sentimento più subdolo.
Con lui il nostro istinto di protezione è inevitabile.
Norman è fragile, insicuro, imbarazzato.
Ed è bello, di una bellezza irregolare ma aggraziata.
Ha la bellezza di un adolescente e la freddezza di un killer, i sorrisi franchi e aperti di un ragazzo simpatico e goffo e l'immobilità di un animale che studia la sua preda prima di sferrare l'attacco mortale.
La perfezione di Anthony Perkins nel ruolo è assoluta.
La delicatezza di questo omicida ci ipnotizza per tutto il film.
E ha portato l'attore alla gloria e, forse, alla schiavitù di questo ruolo, nonostante lo abbiamo visto in altre pellicole meravigliose (basti pensare a Le piace Brahms?).
Comunque sia, Perkins ha interpretato ben altri tre Psycho, ahinoi, con tutt'altra fortuna.
Del terzo è stato persino regista.
Ma Psycho è, e sarà sempre uno solo, quello del lontano 1960.
Quello delle paure profonde, sottilmente psicologiche, e di quelle più plateali, più prevedibili, più ovvie, ma non per questo meno forti.
La scoperta del cadavere mummificato della madre di Norman è un colpo di scena annunciato, ma è impossibile non temere ciò che sta per avvenire.
Ed ogni volta che avviene è una sorpresa.
Hitcock ha premuto l'acceleratore sull'inverosimile e noi ci abbiamo creduto.
Più è impensabile ciò che accade, più ne siamo catturati; più l'azione si fa paradossale, meno il nostro senso critico agisce, perché quello che racconta il grande schermo vive in noi nell'archetipico rapporto fra madre e figlio.
Quindi, potremmo dire che Psycho ci riguarda da vicino.
Riguarda tutti.
E quando mai è successo che un personaggio di un film diventasse così importante senza nemmeno esistere?
La madre di Norman è un'idea che noi ci facciamo, vive per quello che lui ci suggerisce e ci racconta, ma non c'è.
È morta molto prima dell'inizio della storia, eppure è la vera protagonista femminile della pellicola.
In fondo, Marion muore molto prima della metà del film, è una protagonista atipica.
Una protagonista virtuale, che ci abbandona proprio quando il racconto decolla e che cede il posto alla vera protagonista: la madre morta di Norman, che non vedremo mai, se non in un'agghiacciante inquadratura che ce la svela in tutto il suo disfacimento.

Alcuni critici stroncarono Psycho quando uscì e ne decretarono tutta l'assurdità, l'incongruenza, l'esagerazione.
Hitchcock rideva sotto i baffi e diceva:
"Credo sia una grande soddisfazione per noi utilizzare l'arte cinematografica per creare una emozione di massa... "
Quello che noi possiamo dire è che Psycho ci ha catturato e non ci ha più lasciati liberi.
Sarà un caso che la scena della doccia sia una delle più citate della storia del cinema?
E come mai nelle suonerie dei nostri telefonini così domestici e rassicuranti, c'è proprio la musica di quella scena?
Quante volte citiamo la mamma di Psycho per raccontare un rapporto madre-figlio assurdo e insano?
Il cinema è anche questo:
un virus (positivo!) che s'insinua nelle nostre vite e che le arricchisce di sensazioni che non scorderemo più.
E il bellissimo bianco e nero di Psycho è una pennellata di paura che porteremo sempre con noi.

 

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Immagine di uno storyboard (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). La sequenza disegnata di: una pistola che estratta dalla fondina di un poliziotto e poi l'esplosione con la scritta BANG. In alto ai due disegni, gli appunti di sceneggiatura:1. Riquadro - Scene 11 voice off, shot 1, his hand went for the gun; voice off, 2. Riquadro: shot 2, Frank was quick for the draw.Particolare del 2. riquadro.Particolare del 1. riquadro.
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La Strada


Anno: 1954

Paese: Italia

Genere: drammatico

Durata: 103'

Titolo: La strada

Regia: Federico Fellini

Soggetto: Federico Fellini

Sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli

Produzione: Dino de Laurentiis, Carlo Ponti

Fotografia: Otello Mertelli

Colonna sonora: Nino Rota

Cast: Giulietta Masina, Anthony Quinn, Richard Basehart, Aldo Silvani, Marcella Rovere, Lidia Venturini, Mario Passante

Premi: Premio Oscar come miglior film straniero 1956;
Premio Bodil come miglior film europeo;
Leone d'argento 1954;
Nastro d'argento come miglior regia;
Nastro d'argento come miglior produzione.



Siamo negli anni cinquanta.
Zampanò e Gelsomina girano l'Italia esibendosi come saltimbanchi.
Il loro pubblico è composto perlopiù da contadini che assistono attoniti alle strepitose dimostrazioni di forza dell'uomo e alle scenette clownesche della donna.
Zampanò è rozzo e crudele, Gelsomina ingenua e obbediente.
Gelsomina gli fa da aiutante e a ogni numero annuncia al pubblico:
"E' arrivato... Zampanò!" un momento prima che lui spezzi le catene con la potenza dei muscoli del torace.
O almeno questo è quello che lui fa credere al pubblico che lo guarda ammirato.
I due girano l'Italia guadagnandosi da vivere, anzi, da sopravvivere.
Gelsomina, allontanatasi da Zampanò, incontra il Matto, acrobata di un circo.
L'uomo la tratta con rispetto, Gelsomina è conquistata.
Ma in una colluttazione, Zampanò uccide il Matto e ne getta il cadavere sotto un ponte.
Gelsomina impazzisce per il dolore e il crudele saltimbanco abbandona la donna al suo destino.
Passano gli anni, Zampanò continua a esibirsi in giro per le campagne.
Un giorno viene a sapere che Gelsomina è morta.
La scena finale del film ci mostra il rude Zampanò che piange, disperato e solo, la morte della giovane donna.


Un uomo piange disperatamente su una spiaggia.
L'ultima inquadratura de La strada è un concentrato di dolore.
Un dolore forte, totale, insopportabile.
Il mostruoso Zampanò, che a ogni apparizione ci sconvolge per la sua rozzezza, è un bambino indifeso che ha perso la mamma, la famiglia, tutto.
Perdendo Gelsomina ha perso l'ultimo baluardo di umanità che ha illuminato, senza che lui lo sapesse, la sua vita di girovago.
Ma Zampanò non è cattivo, è primitivo.
È crudele suo malgrado.

 

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Immagine del volto di un clown (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Si vede il volto di un clown (con una bombetta in testa) proposto in un balloon centrale. Ai lati la scritta di colore rosso: <i>La strada</i>.Particolare della scritta "Strada".Particolare del clown.
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E non sa proprio come comportarsi con quella ragazza strana, forse un po' sciocca che gli scodinzola intorno come un cagnolino.
E poi, non è nemmeno una donna Gelsomina!
Sicuramente non lo è per lui, che le donne le ama, o meglio, ama quello a cui servono.
Sì, perché Zampanò adopera tutto ciò che fa parte della sua vita, senza nessuna mediazione di pensiero, né di cuore.
Usa sé stesso e gli altri per sopravvivere.
Il suo rapporto col mondo è animalesco e istintivo.
E quando nella sua vita entra uno strano personaggio lieve, scoordinato, impalpabile come Gelsomina, qualcosa scatta dentro di lui a sua insaputa.
Infatti cercherà in tutti i modi di adoperare anche lei, ma Gelsomina è imprendibile.
Il clown Gelsomina parla un linguaggio che il brutale saltimbanco non può capire, perché è quanto di meno materiale esista.
Sì, certo, le può dare degli ordini e lei può ubbidire, ma la natura di questa ragazzina con gli occhi buoni rimane intatta e immutata.
È un angelo Gelsomina?
È una bambina?
È vera?
Solo Giulietta Masina avrebbe potuto regalarle quella faccia, quegli sguardi stupiti e rotondi, quei sorrisi timidi e pudichi.
Quelle stonature vocali, quei movimenti goffi ma armoniosi.
È di sicuro un personaggio alieno alle dinamiche del genere umano, quelle che influenzano i nostri comportamenti, quelle che ci fanno cambiare a seconda del mondo che ci circonda.
Gelsomina è unica e mantiene il suo io puro fino alla morte.
Infatti è proprio la morte che la prende per mano quando il mondo le mette di fronte una realtà per lei incomprensibile e, soprattutto, inaccettabile.
Cioè, la realtà delle dinamiche umane e meschine di cui Zampanò è perfetto rappresentante e testimone.
Gelsomina decide di morire nel momento in cui la crudeltà di Zampanò (cioè del mondo) la priva di un essere che è stato buono con lei:
il Matto.
La sua malattia mentale è solo l'inizio di una morte che troverà il compimento qualche anno dopo, con la fine anche del suo corpo.
Con la morte del Matto muore anche Gelsomina.
Ma chi ha ucciso il Matto?
O meglio, chi ha ucciso la libertà?
È stato Zampanò, lo schiavo per eccellenza.
Schiavo dei suoi bisogni, delle sue furie cieche, delle sue priorità come se lui fosse l'unico essere umano al mondo.
E schiavo anche visivamente in tutto il film, dov'è sempre incatenato.
E dove cerca di liberarsi con uno sforzo sovrumano.
E se, con un trucco o chissà come, il torace possente gli permette di spezzare le catene che lo avvolgono grazie alla sua potenza fisica mentre un gruppetto di contadini lo guarda sbalordito, niente può liberarlo da sé stesso e dalla sua incapacità di entrare in contatto con l'altro.
La grande occasione di Zampanò è la piccola Gelsomina.
Con lei potrebbe cambiare la propria vita fondata su una elementare violenza.
Grazie a Gelsomina potrebbe capire.
Ma non ce la fa, non vuole e non riesce a cogliere l'occasione di redenzione che la vita gli regala.
La splendore poetico di questo film lo rende unico e inimitabile nella storia del cinema.
Una storia apparentemente semplice che ci racconta la lotta che governa l'essere umano:
l'eterna lotta che si agita dentro di noi fra il bene e il male, fra la Gelsomina e lo Zampanò che ci portiamo dentro.
La disperazione del pianto finale di Zampanò è un momento di commozione assoluto, liberatorio nella tragica presa di coscienza del personaggio di avere sbagliato.
Ma è troppo tardi, non c'è più nulla da fare, il film sta finendo, siamo all'ultima inquadratura e l'immagine diventa sempre più scura, più scura, più scura... per il povero, brutale Zampanò, ci sarà una seconda possibilità?
Non lo sapremo mai.

Non ci sono nella storia del cinema personaggi altrettanto indefinibili, altrettanto unici.
E non esiste un'attrice più perfetta di Giulietta Masina per interpretarlo.


 

 

 

 

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