Diverse angolazioni
[Racconto di Giovanna Gra]
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Gone with the wind Anno: 1939 Regia: Victor Fleming Cast: Vivien Leigh, Clark Gable, Olivia De Havilland, Leslie Howard, Hattie McDaniel 8 Premi Oscar: regia, film, attrice protagonista, attrice non protagonista, fotografia, sceneggiatura, arredamento, montaggio. ***
Siamo in Georgia (Stati Uniti), anno 1861.
Rossella O'Hara, figlia di Gerald O'Hara, è pazzamente innamorata di Ashley, ma questi è innamorato di Melania.
Rossella incontra Rhett Butler, avventuriero senza scrupoli che decide di conquistarla.
La ragazza gli resiste e sposa il sempliciotto Carlo Hamilton.
Scoppia la guerra e i beni degli O'Hara, come quelli di tutto il Sud, cominciano a scarseggiare.
L'unico che riesce a far fortuna durante il conflitto è proprio Rhett Butler, mentre Rossella è costretta a tirarsi su le maniche per non perdere Tara, la splendida tenuta di famiglia.
Si trova anche costretta ad aiutare Melania a partorire il figlio di Ashley, di cui la ragazza è ancora segretamente innamorata senza alcuna speranza di essere ricambiata.
Per il Sud la disfatta della guerra è totale, la madre di Rossella muore mentre il padre impazzisce per poi morire in seguito ad una caduta da cavallo.
Ma dopo la guerra c'è la ricostruzione.
*** Colore. Ecco una delle parole chiave di "Via col vento", il film più famoso della storia del cinema. Non il più bello, dirà qualcuno, e forse è vero. Ci sono mille e mille film che meritano ben maggiori elogi, che possono vantare una scrittura più profonda e convincente, una realizzazione più evoluta, delle interpretazioni più raffinate. Ma "Via col vento" è il film per eccellenza. Quello più citato, più conosciuto, più criticato. Perché? Forse per un motivo semplice quanto indiscutibile: perché è un film perfetto. Perfetto nel suo genere. È un film in cui l'equilibrio fra le parti è assoluto e assolutamente armonioso. È un film colorato, vivo, rumoroso, sensazionale, emotivo, semplice, splendente. E grandioso. Non a caso è un film nel quale il produttore, David O. Selznick, ha svolto il ruolo di padre vero e proprio. Anzi, di padre e padrone, intervenendo spesso in maniera totalitaria e definitiva. Vari registi si sono avvicendati nella direzione del film, da Victor Fleming a George Cukor passando per Sam Wood. Così come sono stati diversi i direttori della fotografia (Lee Garmes, Ernest Haller e Ray Rennahan). Per non parlare degli sceneggiatori! Il maggiore "responsabile" è Sidney Howard, ma molti scrittori misero mano al copione. Si narra che ci fu (addirittura!) l'intervento di Francis Scott Fitzgerald. Tutto ciò sarà stato sicuramente insopportabile per chi lavorava al film e ne aveva, inevitabilmente, un'idea precisa e personale. Ma Selznick voleva fare il suo film, e fu, spesso dispoticamente, l'ultimo ad avere la parola sulla realizzazione di questa immortale pellicola del 1939. Selznick fece il suo mestiere di produttore e ottenne esattamente quello che voleva, passando sulla testa e sulla sensibilità di tutti i partecipanti all'impresa. E se i sistemi del potente produttore furono certamente duri e spietati, è innegabile che il risultato gli dà ragione. La perfetta macchina da guerra che è "Via col vento" ci regala duecentoventiquattro minuti di cinema assoluto. Di evasione totale e continua, incontenibile. "Via col vento" è un film che non ha mai un cedimento perché la storia è sempre tesa e i due protagonisti sempre carichi. Vivien Leigh, scelta, si narra, dopo che altre millequattrocento attrici erano state provinate senza riuscire a convincere Selznick. Vivien Leigh che passava di lì per caso in quanto fidanzata (amante, in realtà) di Lawrence Olivier e che è piombata nel film a riprese iniziate! E quando questa attrice inglese (che scandalo! Un'inglese che interpreta un'americana!) ha sorriso ammiccando davanti alla macchina da presa non c'è stato più alcun dubbio: Rossella O'Hara sarebbe stata lei. Mentre Clark Gable otteneva il ruolo del protagonista, Rhett Butler la canaglia per eccellenza, dopo che il grande (grandissimo) Gary Cooper lo rifiutava temendo un flop al botteghino. Come ci si può sbagliare nel mestiere del cinema...! Il sorriso a duecento denti (finti) di Gable e le lunghe ciglia (forse altrettanto finte? Chissà...) della Leigh sono due calamite. Sono seduzione pura. La bravura e il perfetto physique du rôle dei due attori sostengono un'opera bellissima e solida. Ed è impossibile non ricordare la splendida interpretazione di Hattie McDaniel, la famosissima Mammy, governante di Rossella, prima attrice nera a vincere il premio Oscar. Crollano gli imperi ma "Via col vento" è una certezza. Sempre. Nonostante la retorica nostalgica, il razzismo dichiarato, il tono da melodramma sfacciatamente esibito, è un grande film. È il film che rivedi volentieri nelle domeniche invernali in televisione o nelle notti afose d'Agosto, quando non riesci a dormire per il caldo e le zanzare... È l'evergreen della storia del cinema. E se oggi le cifre non ci impressionano più di tanto perché siamo abituati a numeri fantasmagorici fatti di trilioni per film come "Avatar", è giusto che ricordiamo che "Via col vento" è stato un incasso imbattuto per decine e decine di anni, oltre che uno sforzo produttivo impensabile per l'epoca: quattro milioni di dollari. "Via col vento" è il film che tutto il mondo ha visto e continua a vedere nonostante non ci sia un solo intervento al computer, perché i computer, all'epoca, non esistevano. Nell'incendio di Atlanta il fuoco era vero (tanto che i pompieri fecero addirittura irruzione sul set), la tenuta di Tara esisteva, la distesa di corpi alla stazione è fatta di mille e più comparse e di centinaia di manichini. Nulla di virtuale. Tutto rigorosamente esistente. Quindi, ci dispiace per Cameron, ma non c'è "Avatar" che tenga... Edward mani di forbice Anno: 1990 Regia: Tim Burton Cast: Johnny Depp, Winona Ryder, Dianne Wiest, Alan Arkin. *** Edward viene creato da uno scienziato che muore prima di avergli attaccato le mani, al posto delle quali il ragazzo si ritrova delle lame affilatissime. Viene adottato da una famigliola che sulle prime lo accetta, così come lo accettano i vicini di casa, trovando la sua diversità accattivante. Diventa, anzi, una sorta di attrazione per il piccolo agglomerato urbano. Ma i pregiudizi e il conformismo sono più forti e, a poco a poco, Edward viene emarginato e poi odiato da tutti, tanto che sarà costretto a scappare e a rifugiarsi nel castello dove è stato "concepito" dal suo creatore *** Un uomo nero e misterioso si aggira in un mondo colorato dai toni pastello. L'uomo nero è buono, il mondo pastello è cattivo. Strano, sembrerebbe più logico il contrario. Edward, ricoperto di pelle nera, legato da cerniere d'acciaio è l'uomo indifeso, fragile e trasognato che piomba in un mondo falso e perbenista dove tutto è in ordine, gradevole, pulito e gelido. Un mondo che lo rifiuta perché lui è diverso. "Edward mani di forbice" è un film che ci racconta proprio questo: il dramma della diversità. Della non uniformità. Edward come E.T., come John Merrick, commovente e struggente "Elephant man", sono solo alcuni dei grandi diversi della storia del cinema. Tim Burton ci regala un personaggio buffo e melanconico, impulsivo e tenero, ma sempre solo. E mai come in questo film la solitudine del protagonista sembra assoluta e senza soluzione. Burton stesso ha detto più volte di essere stato a sua volta un ragazzo solo, una sorta di emarginato che non comunicava con il mondo esterno. Come spesso (sempre?) accade, gli autori raccontano delle storie che sono spesso (sempre?) la loro storia rivista sotto altre forme. Non a caso il soggetto del film è proprio del regista e di Caroline Thompson, che ha scritto anche la sceneggiatura. "Edward mani di forbice" è un bellissimo film dove, però, si soffre, perché vi si trova la crudeltà delle favole. Vero è che le favole, che sempre ci mettono di fronte alla sofferenza del protagonista fino al suo riscatto finale, ci regalano immancabilmente il lieto fine. Un lieto fine conquistato a fatica, dopo sforzi immensi, lacrime versate e tanta paura. Per Edward, invece, il lieto fine non c'è perché, pur sguazzando nella fantasia, questo film ci racconta qualcosa che è profondamente radicato nella realtà e nella società: il pregiudizio. Pregiudizio che condanna all'emarginazione. Emarginazione uguale solitudine. La solitudine di Edward è anche la solitudine di Kim, la ragazza di cui lui si innamora, riamato, che ha la voce e il volto di Winona Ryder. Kim che scardina le ferree regole dell'asfissiante società nella quale è nata e cresciuta innamorandosi di Edward, corpo estraneo. Un amore destinato al dolore, un amore che non vedrà mai la felicità, perché Edward, lo splendido e stralunato Johnny Depp, sarà costretto a rifugiarsi lontano da tutti per non perdere la propria vita. C'è quindi anche qualcosa de "La bella e la bestia" in quest'opera del 1990 diretta da Tim Burton che, pur non avendo incassato grandi cifre (si parla di circa cinquantasei milioni di euro) viene universalmente riconosciuto come uno dei suoi film più riusciti. Ed è sicuramente un film che ha fatto scuola, almeno esteticamente. La sequenza che ci mostra lo splendido/orrido/inquietante paesino nel quale si svolge la storia, ci regala un'estetica mai vista prima, un tocco nuovo, grazie al genio di Bo Welch, lo scenografo, che ha ottenuto di ridipingere le facciate (vere!) delle casette di Carpenter's Run. La colonna sonora commovente e a volte sinistra di Danny Elfman, è ciò che rende "Edward mani di forbice" perfetto. Lo scienziato creatore di Edward, il mitico Vincent Price, regala a questa pellicola un tocco di grande pregio e di continuità col cinema del passato. Sono indimenticabili i momenti in cui il tagliente Johnny Depp pota gli alberi, taglia i capelli alle signore e tosa i cani, rendendo tutto più bello e più prezioso grazie alle sue mani di forbice. Ma il cattivo presagio che incombe sul protagonista sin dall'inizio del film a causa della morte del suo creatore, si abbatte definitivamente su di lui costringendolo a fuggire proprio da quelli che lo hanno celebrato ed esaltato, dimostrandoci come il pregiudizio nei confronti della diversità sia un fuoco sempre acceso nell'animo umano. Un fuoco che, almeno simbolicamente, Tim Burton spegne con una poetica e struggente pioggia di neve ghiacciata nella scena finale, così che anche noi, come Kim, sorridiamo al mondo che ci circonda e che ha portato nella nostra vita il fragile e grande Edward The Rocky Horror Picture Show Anno: 1975 Regia: Jim Sharman Musica: Richard O'Brien *** Brad e Janet, due fidanzati goffi e imbranatissimi, finiscono in uno strano castello durante un temporale, di notte. Gli abitanti del castello sono creature strane e anticonvenzionali, a cominciare dal dottor Frank'n Furter, travestito seducente e trasgressivo. Dopo essere stati spogliati dei loro vestiti i due fidanzati assistono alla creazione dell'amante perfetto, Rocky, al quale Frank'n Furter infonde la vita. Circondati da personaggi assurdi quali Riff Raff, il maggiordomo, Columbia, Magenta, la cameriera, Eddie, ex amante di Frank'n Furter, i due ragazzi perdono a poco a poco ogni freno inibitore e si lasciano coinvolgere dalla spregiudicata vita sessuale che si svolge al castello. Lo scopo della vita di Frank'n Furter è la ricerca del piacere a qualunque costo. Nel finale si scopre che Frank è un alieno e verrà ucciso dal maggiordomo ribelle Riff Raff aiutato da Magenta. Brad e Janet si ritroveranno completamente diversi dai due fidanzati impacciati dell'inizio, grazie alla loro liberazione sessuale. *** È possibile che "The Rocky Horror Picture Show" sia ancora oggi il film più scandaloso e anticonformista che tratta l'argomento sesso? Probabilmente sì, è ancora così. Questa pellicola del 1975 fu una rivoluzione sessuale di cento minuti travestita da pellicola cinematografica. Nato come musical teatrale dalla mente di Richard O'Brien in collaborazione con l'amico e regista Jim Sharman, lo spettacolo ottiene un successo strepitoso, tanto che si decide di farlo diventare un film. Ma le Majors vogliono un cast importante, vogliono dei nomi, e O'Brien non lo è. Con una fermezza assoluta Sharman e O'Brien rifiutano di cedere la loro "creatura" alla potenza del dollaro. Il film viene realizzato con il cast teatrale e con pochi soldi. Ed è un flop. Ma, come l'araba fenice, rinasce lentamente ma inesorabilmente dalle sue ceneri per diventare un cult in tutto il mondo. Ci sono cinema che lo proiettano ininterrottamente da quando è uscito. Più che un film, un rito. Quindi dobbiamo domandarci il perché. Forse per la strepitosa e inimitabile interpretazione del gigantesco Tim Curry, nel ruolo di Frank-n-Furter? O per la bellezza della colonna sonora? Forse per l'importanza del tema trattato? O per la libertà con cui viene trattato? O, ancora, per quella strana dipendenza che dà la visione di questa pellicola? Come mai questo film non è mai vecchio, mai datato, mai superato? E sì che il sesso è un argomento scandagliato dal cinema in tutte le sue forme... dalle più alte, come "Ecco l'impero dei sensi" alle più sciocche, come ci ricorda la mediocre produzione italiana a metà fra gli anni settanta e ottanta, passando per il raffinatissimo e irreale Bertolucci di "Ultimo tango a Parigi" e virando bruscamente verso l'esplosivo cinema di Russ Meyer. E poi il tocco gentile e straniante della "Pretty baby" Shields diretta da Louis Malle, o l'invisibile seduzione che sa tanto di imbroglio del furbissimo "Basic instinct" o del sempre citato "9 settimane ½". O il terribile e definitivo abisso di crudezza del cinema porno. Il sesso è sempre stato argomento principe al cinema. Anzi, il cinema nasceva con il treno dei Lumière e già delle floride signorine si spogliavano davanti all'obbiettivo della macchina da presa lasciando scivolare sul pavimento crinoline e mutandoni di pizzo con un sorriso malandrino. Quindi, ci domandiamo ancora una volta, perché stupirsi ancora con "The Rocky Horror Picture Show"? Perché è un film libero. Realmente libero da pregiudizi, libero da schemi, realizzato con pochi soldi, pochi mezzi, ma tanta apertura mentale. Che è forse il motivo per cui non è stato subito accettato, almeno non dalla massa. E il popolo che ancora adesso adora e venera Frank-n-Furter, Riff Raff, Columbia, Magenta e il dottor Scott sa che questo film è un porto sicuro, dove tutto si può pensare perché non è e non sarà mai peccato. Perché, oltre che essere un'opera musicale di altissimo livello, è anche un film che ti infonde un piacevolissimo senso di appartenenza. Il popolo degli amanti di "Rocky Horror" è vastissimo e sa che appartenervi significa condividere un bisogno: il bisogno di vivere l'argomento sesso senza tabù, proprio come i personaggi del film. Curiosamente, gli attori che recitarono in questa pellicola non ebbero grande fortuna cinematografica, esclusa naturalmente la strepitosa Susan Sarandon, attrice di rara bravura che conquistò persino un Oscar col film "Dead man walking", diretta dall'allora marito Tim Robbins. Lo stesso Tim Curry, che in "Rocky Horror" è magistrale, dopo interpretò ruoli non indimenticabili in pellicole più o meno buone (escludendo il delizioso film "Muppet treasure Island"). Rimane il fatto che "The Rocky Horror Picture Show" è un film unico nel suo genere e forse il più longevo film di culto dagli anni settanta ad oggi. Tutto merito di quel magnifico Sweet Transvestite che proviene da Transexual Transylvania e che ci raccomanda... Don't dream it, be it. |
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