Paolo Poli

[Racconto di Giovanna Gra]


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durata 23 minuti


"C'era una volta...
Un re!
Direte subito voi.
No, cari miei, avete sbagliato.
C'era una volta un pezzo di legno.
Proprio così, un semplice pezzo di legno di catasta, che fu regalato a un vecchietto tutto arzillo di nome Geppetto."
(da Le avventure di Pinocchio di C.Collodi).

E c'era una volta... un attore!
Un attore la cui voce eterea e impertinente ha decorato la fantasia e raccontato il mondo con comicità e meraviglia, sagacia e sottigliezza d'ingegno.

C'era una volta una storia dove questa voce, capitolo dopo capitolo, da Mangiafuoco alla Fata Turchina, si trasformava divenendo, per tanti bambini, un emblema imprescindibile.
Eh sì, quasi fosse una sorta di Virgilio collodiano.

Dunque, adesso, alla fine della storia è banale confonderli.

Eppure, Pinocchio e Paolo Poli, qualcosa in comune dovevano averla.
Forse per quel toscanissimo piglio diretto e insolente; forse per quel bizzoso, smaliziato, disarmante birignao veloce.
O forse perché un attore e un burattino hanno sempre tante cose da spartire.

E' un fatto che i due abbiano unito fili e quinte, costumi e sberleffi, cipria e berretti di mollica scivolando tra pagine e pagine, come autentici consanguinei.
Compari, se preferite.
Certamente complici.
E poi, per quel meraviglioso gioco che si chiama teatro, hanno finito col restituirci, sulla scena, una persona sola.
Così che nessuno si potesse mai avventurare a dire dove finiva il burattino e incominciava l'attore.

Tirando un po' le somme, i lembi dei giorni e le trame dei ricordi, possiamo dire che il PoliPinocchio ha abitato tantissimi pomeriggi di quei bambini che, a cavallo degli anni sessanta, vivevano (come richiesto dai device di allora) aggrappati a un giradischi.
Era la via più rapida per entrare nel mondo delle fiabe e lui, bellissimo e divertente, vegliava sull'uscio.

Dunque, parlare di Paolo Poli non è facile, ma è indispensabile.

Parlare di Paolo Poli significa parlare di un gigante del teatro italiano del Novecento.

In ragione di ciò, lo siamo andati a cercare nella lista dei più grandi attori del mondo ma, con nostra somma desolazione, fra De Niro e Al Pacino abbiamo trovato solo Totò.
Abbiamo archiviato il dato come odioso e contestabile concludendo che, probabilmente, i database non fossero ancora aggiornati.

Perché Paolo Poli non è stato solo uno tra i più importanti attori italiani del Novecento, ma di questo secolo è stato un grande intellettuale e poeta.

A dire la verità, non ci convince l'idea di parlare di lui come di un monumento perché i monumenti sono vecchi e Paolo Poli, lo dicono le carte... la vecchiezza non l'ha mai conosciuta.
E poi, come lui stesso amava affermare:

"La giovinezza è un fatto d'intelligenza ed è un fatto morale, non solo biologico."

E chissà, ci domandiamo noi, se in un'epoca di plastiche e silicone la frase ha fatto breccia in qualcuno...
D'altro canto, a lui non importava mica.
Lui sparava a raffica ma raramente prendeva la mira, prendeva in giro, prendeva le parole a grappoli e poi, acciuffata la risata, cambiava costume.

Ora, tradizione di questa rubrica sarebbe parlare essenzialmente di trasmissioni andate in onda sui canali Rai.
Questa volta si è scelta una chiave un po' diversa.
D'altra parte capita con i geni!
Abbiamo inteso, cioè, porre l'attenzione su un personaggio che, per tradizione e storia, potrebbe essere definito per eccellenza il figlio discolo della RAI.

In effetti, nei primi anni della sua lunga carriera, Poli prese parte a diversi programmi televisivi e radiofonici prodotti dalla RADIOTELEVISIONE ITALIANA.
Basti pensare a Milleluci, il programma condotto da Mina e Raffaella Carrà, nonché l'arcinota Canzonissima.
O ancora, si ricorda la sua partecipazione a Babau, dove duettava perfino con Umberto Eco.

"Una volta era più facile essere conformisti o anticonformisti perchè c'era una più netta distinzione tra buoni e cattivi.
Perfino a scuola ci facevano una riga sulla lavagna e segnavano i buoni e i cattivi.
Chiediamo a Umberto Eco che cosa ne pensa, visto che ha scritto un saggio sui bambini del libro Cuore, su quelli di De Amicis", interrogava Poli.
Ed Eco rispondeva:
"Io sono qui e il libro Cuore è con me, perchè è il livre de chevet, il libro del capezzale.
D'altra parte la nostra infanzia si è formata su questo libro fondamentale, dove i buoni e i cattivi sono definiti fin dall'inizio come modelli.
Cattivo: «E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un'altra Sezione.»
Ecco!"

Sempre per la radio Poli apparirà, poi, nelle Interviste impossibili, dove prenderà meravigliosamente le vesti di vari personaggi.
Per capirci: da Lepoldo Fregoli a Lewis Carroll.

Nel corso degli anni, tuttavia, il suo essere totalmente fuori dagli schemi fece sì che il rapporto fra l'attore e la grande azienda procedesse in modo ondivago, fra alti e bassi, sebbene senza mai estinguersi del tutto.

Trasferitosi a Genova nel 1958, dopo due anni di teatro di compagnia confessa:

"Se non posso fare questo mestiere come piace a me torno a insegnare!"


Sì, perché Poli, laureato in letteratura francese (discute la tesi su Henry Becque, drammaturgo francese di fine Ottocento), insegna nella sua Firenze come supplente.

E come tutte le cose che lo contraddistinguono, è un insegnante ante litteram.
E' imprevedibile.
E così, in classe, come lui spesso racconterà nelle interviste, si discute, e le allieve gli fanno notare:


"Lei ci fa leggere la Maison Tellier di Maupassant (si parla di case di tolleranza), cose che noi, al contrario dei maschi, non abbiamo mai visto..."


E' giusto, ne conviene lui.
E allora, il professor Pinocchio, nell'anno del varo della Legge Merlin, ben consapevole che alla base della cultura vi è la conoscenza, conduce la sua classe a visitare l'ultima casa di tolleranza prima della chiusura, lasciando intuire, anche con questo gesto, il segno della sua unicità e della sua libertà di vedute.

Poli ha raccontato l'episodio anche durante l'intervista rilasciata a Daria Bignardi ne Le invasioni barbariche del 6 aprile 2012.
La conduttrice ricordava:
"Hai insegnato un anno e i tuoi ragazzi ti adoravano..."
E l'attore continuava:
"Era l'anno della chiusura delle case di tolleranza e i maschi le avevano viste, più o meno.
Le ragazze dissero: 'Professore, lei ci fa leggere Madame Tellier e altri racconti di Maupassant che si svolge in un casìno, e noi i casìni non li abbiamo visti!'
'Vi porterò io', e allora le portai...
Le puttane erano affettuosissime..."
"Ma i genitori non si arrabbiarono?", chiese la Bignardi.
"No, e neanche il direttore della scuola!", la rassicuro Poli.

Lui, il professore che ha imparato a leggere sull'Artusi ma che si è adoprato a cucinare solo per mangiare le frittelle di San Giuseppe.
Il professor Pinocchio che quando è malinconico legge Dante.
Innamorato di King Kong.
Spaventato dalla Norma che vuole uccidere i suoi figli e infatuato del look modernissimo della Biancaneve di Walt Disney che ammirerà al cinema nel 1938.
Stesso anno in cui a Firenze arriva Hitler.
E lui, bambino fra i bambini, assisterà alla parata sventolando le bandierine bianche.
Lui ci racconta la storia così, svolazzando fra dramma e amenità, con il tocco di una libellula impegnata e ironicamente critica.

Camilla Cederna, in un suo articolo, lo chiamò Il professore che canta.

E infatti, Poli canta, melodioso, ineffabile, ammiccante.
Nel 1949 presta ancora una volta la sua inconfondibile voce alle marionette di Carlo Staccioli.
Quindi, nel 1954, ci dicono le cronache, sostituisce a teatro un giovane Terence Hill ne Le due orfanelle.

Si dedica anche all'operetta e gorgheggia nelle vesti di Sigismondo ne Il cavallino bianco.
Lo si vede presente in ben due edizioni del programma:

nel 1964 e, dieci anni dopo, nel 1974, quando vengono trasmesse due puntate sempre sul cosiddetto Primo Canale.
Il cast è di prim'ordine:
Angela Luce, Tony Renis, Gianni Nazzaro, Gianrico Tedeschi, Mita Medici, Paolo Poli, Maurizio Micheli, Mario Pisu.
La regia è di Vito Molinari e le coreografie di Gino Landi.

Nel 1962, invece, fa capolino a Carosello.
E lì, fra cartoni animati e spot, ci invita a brindare, rigorosamente in smoking e con il cilindro in testa, decantando i pregi di un noto digestivo.

Mentre le mamme degli anni sessanta, ammirate e divertite, lo indicano ai loro bambini dicendo:
"Vedi quello è Pinocchio..." confondendo non poco i pargoli e la loro fertile immaginazione.

In successive interviste racconterà che i proventi di quelle pagine di pubblicità gli consentiranno di comprare il parco luci per i suoi spettacoli e i bauli a gobba d'asino per andare in tourneè.

Poi, nei primi anni Settanta, partecipa alla sesta puntata di una fortunata Canzonissima insieme a Sandra Mondaini.
E lei e lui diventeranno I bambini terribili.

Presentati dal mitico mago Zurlì, incantatore indiscusso dello Zecchino d'Oro, Poli veste i panni di Filiberto, l'amico buono e sottomesso.
Mentre lei, la memorabile Sandra, dispettosissima nonché furbissima, interpreta l'odiosa Arabella.

Nello sketch i due bambini devono cantare una canzone a testa, siamo pur sempre a Canzonissima.
Metterli d'accordo non è facile.
Lui vuole cantare La Casetta in Canadà, ma lei ne rivendica l'idea.
Lui propone Tintarella di luna ma lei la scarta perché la definisce una canzone per donne... (ma cosa le importa se la deve cantare lui?)

Ad ogni modo...

Alla fine optano per Papaveri e papere e Poli/Filiberto incomincia a cantare.
Al suo fianco, sguardo subdolo e dispettoso, Mondaini/Arabella gusta un lecca lecca.
Quindi, mentre il ragazzino canta e gesticola ispirato, lei gli impasticcia le mani di zucchero.
A questo punto, Arabella (sebbene sia lei a impugnare il lecca lecca), blocca la di lui performance per lamentarsi con il mago.
Accidenti, Filiberto l'ha sporcata!
Il mago si precipita sulla scena e rimprovera Filiberto, stigmatizzando il fatto che non ci si approfitta di una ragazzina solo perché le femmine sono più deboli.
A quelle parole, però, Arabella scatta su bellicosa:
chi ha detto che le femmine sono più deboli?
E molla uno schiaffone al povero Filberto/Poli che continua a subire inopinatamente insulti e sberle fra le risate del pubblico del Teatro delle Vittorie.

I bambini terribili si somma così a una serie di sketch esilaranti e indimenticati ancora oggi, disponibili sul web presso il sito delle Teche della Rai.


Ed è senza dubbio in questo periodo che Poli conquista e convince definitivamente il pubblico, laureandosi quale enfant terrible dello spettacolo italiano.

Altrettanto memorabile (tante sono state le visualizzazioni anche su YouTube) è la sua partecipazione a Milleluci con Raffaella Carrà e Mina.

Poli, affiancato dalle due signore vestite da uomo, agita piume di struzzo e chignon risultando, alla fine, l'unica autentica diva della serata.

Tornerà in TV altre volte nelle vesti di un diabolico diavolo, di una fata e di un intervistatore molesto.

Quindi, sempre per la Rai, debutta ne I tre moschettieri.
Stavolta, al suo fianco, ci sono la sorella Lucia, Milena Vukotic e Marco Messeri.

Seguirà una lunga, lunghissima pausa.
Anche perché, oramai, il nostro è diventato una sorta di grillo parlante degli umani usi e costumi e non le manda certo a dire!
Tanto si sa, il mondo è tutto un'allegoria e sarà una risata che lo seppellirà.
E questo Poli sembra averlo inteso molto bene.

Non lesina sberleffi e impudenze medievali, mirabilie circensi, calembour e minuetti per saltellare sui gusti e la morale.
Men che meno ci priva di satiriche riletture della vita di santi, papi e poeti, che gli procureranno l'affetto imperituro del pubblico ma, di tanto in tanto, qualche ostracismo, qualche levata di scudi e l'ira funesta dei bacchettoni.

Le conseguenze si vedono.
Anzi non si vedono...
Lui svanisce dal piccolo schermo.
Ma le bugie hanno le gambe corte, Pinocchio lo sa.
Ed eccolo riapparire etereo e ineffabile come una minuscola ma solida verità.
Lo si torna ad ammirare in tutta la sua grandezza in una puntata interamente a lui dedicata nella trasmissione Colpo di scena presentata da Pino Strabioli, su Rai Tre.
Adesso è lui che recalcitra e le sue apparizioni televisive sono ben dosate, rare e opportune.

Per fortuna, non molto tempo dopo, concederà il bis, dando vita alla trasmissione Lasciatemi divertire, sempre con il collega e amico Pino Strabioli.
Lo si ammira per otto puntate/conversazioni, ciascuna dedicata a un vizio capitale, in cui Poli recita poesie, racconta novelle boccaccesche e discetta sui vizi e sulle tentazioni.

Per conoscerlo meglio, per incontrarlo, per ascoltarlo ancora...
Ma anche solo per chi ha nostalgia di lui, si possono seguire molte delle sue tracce sul web, un mezzo che lo apprezza e lo celebra appassionatamente.
Ricordate?
Poli non conosce vecchiezza...

E fra le tante interviste, i molteplici aneddoti e divertissement, vi sono stralci in cui, curiosamente, parla anche del grande schermo per poi concludere, però, che il cinema è un'arte poco adatta a uno come lui.
E' grande amico di Zeffirelli, per il quale fa anche il costumista.
E' amico di Laura Betti, Pasolini, Moravia e Palazzeschi, che definisce governante della mia infanzia.

Rimpiange il Neorealismo, Visconti, Rossellini, Fellini.
Rivela che il protagonista di Umberto D, scelto da Vittorio De Sica per il film, era il suo professore di glottologia.

In altre testimonianze confida di aver scritto anche due soggetti cinematografici.
E ricorda, fra le ultime esperienze al termine degli anni Settanta, di essere stato chiamato per sostituire Fred Astarie, all'epoca disgraziatamente finito sulla sedia a rotelle.

Fra i suoi film preferiti cita Aurora di Murnau, Roma città aperta e La passione di Giovanna D'Arco di Dreyer.

E poi c'è il teatro.

Poli lo cavalca, stagione dopo stagione, senza sbagliare un colpo.

In un'intervista, parlando del suo spettacolo su Bonaventura dirà "...non ebbe successo perché non si rivolgeva né agli adulti né ai bambini."
Sempre critico, implacabile, esigente.

Invece il suo teatro piace, colpisce, convince e vola di successo in successo.
Tullio Kezich lo definirà un fiorellino inclassificabile.

Ed è il 1967 quando Luigi Scalfaro lo porta in Parlamento.
Oggetto: un'interpellanza parlamentare in merito alla sua ultima fatica, in cui recita nei panni di Santa Rita da Cascia.

Sicuramente questo sarà uno dei motivi per cui diverrà un guardato a vista dalla TV ufficiale.
Ma ciò, ovviamente, non servirà a fermarlo e... buon pro ci faccia!

Infilerà fra le nuance delle sue parrucche i nostri perbenismi più ipocriti trasformando in boccacce e boccoli i borbottii e gli eccessi degli spettatori più bigotti.

Eeeeee... Voila!

Natalia Ginzburg dirà di lui:
"Un soave, ben educato e diabolico genio del male.
E' un lupo in pelle d'agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza."

E il lupo tira dritto, svolge un recupero culturale senza pari spaziando fra miti, leggende e allegorie archetipiche.

Alcuni fra i suoi titoli più noti sono:
Aldino mi cali un filino, Rita da Cascia, Caterina de' Medici, L'asino d'oro, I viaggi di Gulliver, La leggenda di San Gregorio, Il coturno e la ciabatta.
A ottant'anni debutta in Sillabari.
L'anno dopo lo ritroviamo ne Il mare.
E poi, l'ultimo spettacolo, nel 2014:
Aquiloni.

Una vita vissuta sul palcoscenico in un paese che, culturalmente, oramai è chiarissimo, si va perdendo.
Ma lui non molla.

E' un antico pop, un affabulatore della rima urbana e perduta, è la vispa molesta, un apprendista grammatico.
Un mattatore contro l'ipocrisia, i luoghi comuni, la stupidità.

Traduce la sagacia in un minuetto, lancia battute pungenti come rose.
E riceve tributi di pane mentre ringrazia il suo pubblico volando su strali di cattiverie orlate, sguardi ammiccanti, filosofia e chiffon.

E' un istrione sopraffino, affilato, colto, ragionato.
E nonostante si tratti di rime baciate, canzonette o romanzi d'appendice stile Liala, quel che decide di elaborare rinasce e va in scena con i contorni del capolavoro, all'insegna della profondità, dell'ironia, di rinnovate e pensate operazioni culturali.

Al mondo che vive e si agita oltre il palco non ne fa passare una e nei confronti dell'attualità è sempre più critico e pungente.
Dice:

"La letteratura è sempre attuale, mentre i personaggi d'attualità non lo sono."

Gioca con le parole e i concetti tessendo sonetti e teoremi.
Riprende uno spettatore che si addormenta durante un suo spettacolo.
E giù risate e pugni.

La gente ci sta, si lascia strapazzare e non lo vuole abbandonare.
E quindi?
Quindi non se ne va, resta ad applaudire anche a spettacolo finito.
La folla lo richiama, applaude, urla: "Bis!"

E lui, generoso ma anche dispettoso, torna sempre.

Resta mitico il suo saluto, dall'estremo limite del proscenio che, rientrando in scena, raggiunge con ampi passi.
Indossa sempre una vestaglia forse di seta, di jersey, di chiffon.
O forse no, forse solo abitata dalla sua innata eleganza.
Sornione, sicuro, diretto alla meta, invita il pubblico con gesti schietti, irriverenti e impudichi a levare il disturbo simulando un'incontenibile... pipì.

Ma la gente lo adora, ride, si diverte e non se ne va.
Del resto lui dice:

"La paga per un attore è l'applauso."

Fra i frizzi e i lazzi ha portato gli italiani a sedersi davanti a Satie, Jean Genet, Marinetti, Carolina Invernizio, Palazzeschi, Gozzano, Moravia, Dumas, Diderot, Charles Perrault e tutto il Novecento che gli garbava.

Sovente accompagnato da una compagnia di giovani attori, le sue scene sono tutte ideate da Emanuele Luzzati, suo grande amico e collaboratore, verso cui Poli spenderà sempre parole di profonda stima e affetto.

Dice in varie occasioni di non avere paura della morte perché "..,quando arriverà, io non ci sarò."
E accade esattamente così.
Quando lei arriva, lui ha già mirabilmente cambiato scena.

Restano da consolare tutti quei bambini che, seppure cresciuti, lo cercano ancora.
E che attraverso i ricordi provano a tiragli il lembo della giacchetta per farlo rimanere quaggiù.
I filosofi ci dicono che dobbiamo pensare in modo paradossale, se vogliamo capire la vita.
Sospettiamo che questo sia il laconico messaggio di una parte della sua eredità.

Ma noi, qui, sotto al cielo, stiamo perdendo sciami di giudizio critico e questo è il modo più veloce per far morire le stelle.
Da stella, ce lo direbbe, se potesse.

Dice un proverbio toscano:
"Il mondo è di chi lo sa canzonare."
Beh, Paolo Poli questo l'ha saputo fare.
Sta a noi non dimenticarlo, ora che ha steso un velo di cipria fra se e il cielo, magari in attesa che qualcuno aggiorni i database degli attori più importanti del mondo, scrivendo finalmente il suo nome.

 

 

 

 

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