Beatrice di Tenda




[Racconto di Paola Manoni]


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durata 16 minuti



La mia è una storia che non si trova nei libri di scuola, fra le complicate vicende medievali del ducato di Milano.
Il dramma della mia vita?
Non ha mai riscosso un'autentica attenzione sicché giaccio nell'ombra, nei memoriali non scritti.
Chi ha ricostruito la mia biografia non ha cercato di fare luce sulla mia persona: quando si parla di me non si fa altro che porre al centro le mie origini paterne e le rimarchevoli figure dei miei due mariti che furono, uno di nome e l'altro di fatto, Cane e cagnaccio feroce (senza voler offendere gli amici quadrupedi).
Permettetemi dunque di darvi la versione dei fatti che mi portarono, vittima innocente, a essere decapitata per ordine del mio signor marito.
Fatemi dire chi sono!
E lasciatemi chiacchierare con le espressioni d'uso abituale nel vostro attuale mondo.
Io, Beatrice Lascaris Tenda, sono stata tra quelle donne che già si pregiavano dei titoli d'eminenza grigia, di ghostwriter e di tattico per molte azioni di conquista militare, al servizio del padrone consorte.

Forse non tutti sanno che, alla fine del XIV secolo, le donne del mio lignaggio avevano il privilegio di imparare a leggere, scrivere e far di conto.
Non ringrazierò mai abbastanza il mio severo tutore che preferiva lasciarmi a studiare più ore del dovuto, piuttosto che affidarmi alle dame incaricate di impartirmi lezioni sulle arti e virtù, le quali avrebbero fatto di me una perfetta regina del focolare.
Le mie origini sono nobili, nonostante l'incertezza con cui la tradizione biografica mi descrive.
Orbene, per la mia semenza è stata considerata la famiglia Lascaris, dinastia nobiliare bizantina che regnò sul regno di Nicea e arrivò a insediarsi nel territorio di Tenda (dove io nacqui), nel cuore delle Alpi Marittime.
Qui la famiglia prese il titolo del contado di Tenda e diversi storici hanno considerato Antonio, conte di Tenda, il mio padre biologico mentre per altri sarebbe piuttosto il conte Guglielmo Pietro o forse il conte Pietro Balbo...
Unanime è invece il consenso sull'indicazione della mamma, Margherita del Carretto dei marchesi di Finale.
Su queste ipotesi... che dirvi... taccio, così non guasto il piacere degli storici nel gioco delle genealogie maschili.
Ma capite, comunque, che la garanzia che io sia appartenuta a un rango privilegiato è di sicuro riscontro.
Non che voglia rimarcarlo per qualche blasonata pretesa, ma piuttosto per sottolineare il fatto che la mia preparazione culturale proviene dall'ambiente familiare di origine: quale donna di altra estrazione sociale avrebbe mai potuto avere, ai tempi miei, le possibilità che ho avuto io?
A parte il mio caso o altre storiche eccezioni come Ildegarde di Bingen, Margherita Porete, Dhuoda e le monache amanuensi di Chelles: vi sto parlando di donne tutte alfabetizzate (anche nella lingua latina) con una solida cultura umanistica ma purtroppo rappresentative solo dei privilegi di ambiente aristocratico e monastico.
Tuttavia un fatto è certo: i miei studi, in fin dei conti, non mi hanno protetta perché son stata trattata null'altro che come merce matrimoniale.
A sedici anni, nel 1398, venni data in sposa a Facino Cane il quale, di dodici anni più grande di me, era un condottiero e mercenario piuttosto crudele, attivo nell'Italia settentrionale.


Fonti illustri, tornando all'incerta identità di mio padre, alludono al fatto che Facino fosse appartenente alla famiglia paterna.
La tesi sarebbe comprovata dall'esistenza di un mio documento: una procura, a mia firma, stipulata per la trattazione di affari concernenti beni genovesi ereditati alla morte di mio padre, nella quale io son definita legittima erede di un tal Ruggero Cane.
Il velo del mistero: perché strapparlo?
La gente vive a ritmo altalenante, tra disvelamento e ignoranza: lasciamola così!
In realtà, tutte queste tesi vorrebbero solo chiarire questioni di eredità e territorialità che con l'unione matrimoniale tra me e Facino Cane si andavano delineando.
Infatti, con il padre Ruggero si dimostrerebbe il senso della vendita matrimoniale della mia persona... per la riunificazione del patrimonio di conquista dei condottieri Cane!
Questa tesi storica giustificherebbe anche un altro fatto: che alla morte del mio signor marito le truppe rispondessero al mio comando, grazie al carisma militare della mia origine paterna.
E' incredibile come sia preferibile cercare spiegazioni nella genealogia, più o meno veridica, piuttosto che assegnare delle capacità militari a una donna!!!
Facino, lo riconosco, era una persona intelligente ma senza scrupoli.
Agiva per denaro e non rifiutava lavori sporchi per conto dei feudatari più potenti di lui.
All'età di 26 anni era già al soldo degli Scaligeri di Verona, contro la città di Padova.
Ma, una volta imprigionato, egli passò al nemico senza indugio, partecipando per i Carraresi di Padova alla guerra del Friuli.
L'aspirazione di Facino al miglioramento del proprio stato sociale si consolidò nel 1387, quando il marchese Teodoro II del Monferrato gli affidò 400 cavalieri.
Tra il 1390 e il 1397 Facino conquistò diversi territori piemontesi a colpi di saccheggi e d'invasioni.
Alla data del nostro matrimonio, attorno al 1398, Facino controllava molti feudi, incluso il Borgo San Martino (in provincia di Alessandria), paese del Monferrato Casalese che diede i natali a suo padre.
Ma l'ambizioso signorotto Facino, volgeva lo sguardo verso il Nord-Est, nel tentativo di arrivare ai potenti ghibellini... cosa che fece passando per Tenda cioè attraverso l'unione matrimoniale con me!
Infatti, la presunta o reale origine bizantina era un argomento molto influente da spendere in ambito ghibellino: in ogni caso io conferivo maggiore signorilità con cui si mascherava la rozzezza del condottiero mercenario.
Devo essere sincera: non ero completamente avversa alla persona di Facino.
In lui intravedevo la possibilità di trasformare l'elemento rozzo in una sostanza migliore.
C'era soprattutto un punto fondamentale: Facino mi lasciava la libertà di guidarlo.
E io non chiedevo null'altro: poter esercitare il mio cervello, intervenire nelle decisioni e affrontare le questioni politiche che sapevo di poter risolvere.
La mia strategia fu quella di presenziare a tutte le attività di mio marito, incluse le campagne militari.
Ero presente in battaglia e questo aiutava il mio consorte ad apparire come condottiero regale.
Insomma, per dirla di nuovo con un termine di oggi: svolgevo il mio incarico di first lady.

In fin dei conti, si può dire che fino ad allora la vita fosse stata generosa con me.


Ma poi accadde il tracollo, il 16 maggio 1412: la morte improvvisa, nella città di Pavia, di Facino.
Ammalatosi di gotta, morì dopo pochi giorni di sofferenza.
Ma nelle sue ultime ore di vita si determinò quella che fu la mia condanna a morte.
Il condottiero Facino era divenuto, di fatto, il signore della Lombardia, aveva un potere ben consolidato.
Quasi in concomitanza con il funerale di Facino, veniva assassinato il duca di Milano, Giovanni Maria Visconti, lasciando una situazione totalmente caotica nel ducato.
E il fratello, Filippo Maria, conte di Pavia, era troppo debole per intervenire.
Il cronista Billia nella sua Rerum Mediolanensium Historia afferma come Facino, poco prima di morire, avrebbe raccomandato a Bartolomeo Capra (futuro arcivescovo di Milano) la moglie Beatrice, il giovane conte di Pavia, il fratello Filippo, i parenti, i suoi compagni d'arme... sicché lo stesso Capra e Antonio Bozzero, castellano di Pavia, subito dopo la morte di Facino avrebbero dato a Filippo Maria il consiglio di... sposarne subito la vedova!
Che fosse stato lo Spirito Santo a illuminare i due religiosi con siffatta idea?
O somma sapienza, quanta è l'arte che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, e quanto giusto tua virtù comparte! ... Esclama Dante...
Il cielo lo sa perché le cose accadono?
Ma si doveva fare un rapido calcolo materiale per cogliere al volo certe opportunità.
Facino mi lasciava in eredità una cospicua somma, che ammontava a 400.000 ducati e vastissimi territori, tra cui le città di Alessandria, Novara, Tortona, Vercelli, su cui però si appuntavano anche le pretese dei suoi parenti, cioè il fratello Filippo e i nipoti Ludovico e Manfredi.
Per ottenere questi beni, prima d'altre rivendicazioni maschili s'imponeva a Filippo Maria una rapidissima decisione.

Inoltre, l'esercito di Facino con i suoi capitani (tra i quali il famoso Carmagnola) era il solo esercito che poteva dare al conte di Pavia la possibilità di conquistare Milano.
E quell'esercito solo tramite la mia influenza poteva essere portato agli ordini di Filippo Maria.
Ero io ad avere una posizione di prestigio!
Tuttavia, dal canto mio, sapevo che da sola avrei perso tutti quei territori... e commisi l'errore di pensare che la determinazione di un matrimonio di convenienza potesse derivare dalla mia decisione.
Ma, stretta da necessità, ben presto capii che mi ero affidata a un alleato assolutamente sbagliato.
Venne tutto stabilito in pochi giorni.
Già il 21 di maggio, a cadavere caldo, come si suol dire, venne diffusa la notizia del mio fidanzamento col duca di Milano.
Ai biografi non è nota la data né il luogo del mio secondo matrimonio.
Ma, correttamente, hanno registrato le mie residenze: d'abitudine a Milano, dove vivevo nel castello di Porta Giovia e saltuariamente anche ad Abbiategrasso e a Binasco.
Filippo Maria era molto più giovane di me e totalmente impopolare.
Io godevo invece di una grande fortuna perché mantenevo ancora il controllo diretto su molti territori e il mio potere politico stava diventando influente anche a Milano.
L'interferenza nella corte di Milano fu forse il pretesto del corto circuito tra me e il cagnaccio Visconti il quale, ispirato dalla malvagia idea di farmi fuori, si fece due conti: io ero senza eredi.
La mia eliminazione fisica avrebbe comportato il suo totale controllo su quanto avevo portato in dote.
Ma come fare per ottenere il migliore risultato?


Avrebbe dovuto eliminarmi ma non solo: avrebbe dovuto screditarmi per farmi perdere di credibilità, così da consolidare più facilmente il suo dominio.
La storia che seguì è di una banalità sconcertante.
Beatrice accusata di adulterio che se la fa con il musico di corte, tal Michele Orombelli.
Questa nefandezza non poteva che provenire da una persona di bassi principi come Filippo Maria, il quale seguiva i consigli della sua amante, Agnese del Maino, che era... ironia della sorte... una delle mie dame di compagnia!
L'accusa di adulterio venne immediatamente trasformata in prigionia presso il castello di Binasco e dopo poco in esecuzione capitale.
Venni torturata, per cercare una confessione estorta, e poi decapitata assieme al mio presunto amante.
Nessuna prova, nessun processo.
Correva l'anno 1418.
Non contento delle ricchezze ottenute attraverso di me, Filippo Maria convolava a seconde nozze con Maria di Savoia, figlia del duca Amedeo VIII e di Maria di Borgogna: un matrimonio puramente politico, celebrato nel 1427.
La donna che invece gli stette sempre al fianco e che gli diede la figlia Bianca Maria, poi moglie di Francesco Sforza, fu la subdola Agnese del Maino, la quale non aveva certamente alcun carisma intellettuale né ascendenza politica.
Per quanto riguarda me, sventurata: ci vollero oltre 400 anni per avere, a Binasco, un pubblico riconoscimento dell'orrendo fatto, a cui nessuno dei contemporanei diede un qualche effettivo peso.
Se passerete per il mio castello leggerete sulle mura giusto una targa a mio ricordo che dice:


CON TURPE SCONOSCENZA
RICAMBIANDO
LA ILLIBATA FEDE L'ASSECURATO TRONO
FILIPPO MARIA VISCONTI
SPEGNEVA NELLA NOTTE DEL 13 SETTEMBRE 1418 IN QUESTE MURA
L'ONORANDA CONSORTE BEATRICE DI TENDA
L'ORRORE DEL FATTO
FECONDI E RITEMPRI NE' FIGLI D'ITALIA
GLI AFFETTI PIU' PURI I DOVERI PIU' SACRI
AUSPICE IL MUNICIPIO
ALCUNI OBLATORI POSERO
IL 13 GIUGNO 1869.

Lo storico del Comune
Damiano Muoni scrisse


Di noto, a parte quanto cantato in musica da Vincenzo Bellini nel melodramma a me intitolato, della mia storia poc'altro resta.
E questa, agli atti, è la versione di Eva.


Bibliografia

- Luisa Miglio, Governare l'alfabeto. Donne, scrittura e libri nel Medioevo,Roma, Viella 2008
- F. Cognasso, Chi sia stata Beatrice di Tenda duchessa di Milano, Torino, Deputazione italiana di Storia Patria, 1956, p. 112-114.
- Voce del Dizionario enciclopedico degli italiani, vol. 7 (1970): Beatrice di Milano
-Treccani.it, voce: Facino Cane

 

 

 

 

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