C'erano una volta Eros e Thánatos.
Eros era il dio greco bellissimo, alato fanciullo armato di arco e faretra per colpire i comuni mortali con dardi infallibili, carichi di passione amorosa.
Thánatos era il figlio della notte, personificazione della morte, divinità minore nel pantheon greco, parente di Discordia.
Essi vivevano felici e contenti fino a che non si scatenò un dissidio cosmico fra i loro rispettivi princìpi: l'amore e la distruzione.
Ma a subirne le conseguenze furono, come sempre accade nei racconti mitologici, i comuni mortali sottoposti agli umori della volta celeste.
Il filosofo greco Empedocle di Agrigento nominò le due opposte forze Philia (amicizia) e Neikos (odio) e da questa alternanza di amore e distruzione fece scaturire il principio di tutte le cose.
Con intento scientifico, a distanza di secoli, il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, tornò sull'argomento e definì il mitico Eros quale pulsione della vita e Thánatos quale istanza distruttiva.
Il padre della psicoanalisi considerò le due pulsioni agenti in ciascuno di noi, in qualche modo presenti nel nostro corredo psico-biologico.
Cosa dire? E' proprio vero che le idee non hanno tempo!
Nei sistemi di pensiero le relazioni tra gli opposti si celano dietro innumerevoli forme e talvolta si polarizzano in strutture più complesse in cui altre coppie di opposti prendono il sopravvento: amore/morte così come bene/male moltiplicati in multiformi opposizioni come, ad esempio, sotto/sopra, attivo/passivo, positivo/negativo, destra/sinistra, tenero/duro, fuoco/acqua e così via... ma lasciatemi dire che una tra le più forti dicotomie, da cui si originano innumerevoli altri valori, è la coppia di opposti per eccellenza ovvero l'unione e al contempo disgiunzione di uomo/donna!
Ebbene, anche senza la novecentesca psicoanalisi, il gioco di Amore e Morte nella relazione uomo/donna era già presente nella nostra società medievale
Ve lo garantisco!
Anzi, ve lo testimonio!
Chi son io?
Io sono la figlia di Paolo Traversari.
Il nostro antico casato, nella città di Ravenna, ebbe origini che risalgono al V secolo, all'epoca dell'Impero Romano d'Occidente.
La dinastia fu resa illustre, anzi, illustrissima da cavalieri, duchi, grandi mecenati, podestà, religiosi e regine.
A proposito di quest'ultime vorrei ricordare le mie trisavole:
Ayca, sposa di Filippo Augusto re di Francia, e Tramontana, che sposò Alfonso II d'Aragona e acquisì in seguito la contea di Provenza.
Lasciatemi ancora dire della mia pronipote illustre, famosa non per regalità ma per sventura: la Francesca da Rimini che fu uccisa, assieme al suo amatissimo Paolo, dal suo geloso marito Gianciotto.
Lo chiamano ancora delitto d'onore quando cioè l'uomo, non sopportando le corna in petto, uccide impunemente in flagranza di reato.
Però, nei secoli, la causa d'onore è stata accordata solo agli uomini perché uccidere sotto l'impulso della gelosia non è licenza che si concede alle donne.
Francesca s'innamorò di suo cognato Paolo Malatesta mentre era sposata a un uomo che non aveva scelto: il suo matrimonio fu stabilito per procura unicamente per sancire un'alleanza tra le due famiglie.
In questo caso, più che di ragion d'amore si trattò per Gianciotto di lavare la reputazione con la spada!
Invece, la sorte che fu a me riservata ha tutt'altra natura!
Sentite dunque la macabra storia che ho da raccontare.
Nella mia Ravenna, antichissima città di Romagna, abitava la mia famiglia, i Traversari, e tant'altre gentili e nobili genti.
La mia bellezza era assai rinomata e non nego che il fatto d'esser tanto desiderata mi ponesse con alterigia nei confronti del mondo.
I giovani che mi corteggiavan eran tanti.
Belli, facoltosi, avvenenti ma la maggior parte eran tanto, tanto noiosi e poco intelligenti.
Io, a sedici anni, non mi premuravo affatto di prender marito.
Né devo dire, a onor del vero, che il mio adorato padre mi avesse ancora gettato in qualche matrimonio politico.
Tra i giovani che frequentavano la nostra corte v'era Nastagio degli Onesti.
Costui pensava che con le ricchissime rendite che gli avevan lasciato il padre e lo zio, potesse mettersi in mostra e comprare con i suoi denari qualunque cosa come l'amore della più bella della città ovvero, il mio!
Eh sì! Gli dèi mi avevan concesso un corpo obiettivamente molto avvenente.
All'inizio Nastagio, a esser molto sincera, non lo avevo nemmeno notato ma poi, quand'egli si fece più insistente, con i suoi toni da mercante d'amore, allora mi venne proprio in spregio e non mi risparmiai a palesarlo.
Nastagio cercava di farsi notare spendendo soldi a dismisura.
E più spendeva e spandeva denaro, più io lo detestavo.
E lui, più io lo detestavo e più lui si deprimeva.
Gli venne persino il desiderio di uccidersi!
Tant'è che i suoi parenti e amici gli consigliarono di lasciare Ravenna per dimenticarmi.
Nastagio partì a cavallo, accompagnato da un corteo di carrozze che trasportavano i suoi bauli... e quando arrivò a sole tre miglia fuori dalla città, nella località di Chiassi, decise di fermarsi.
Nella sua nuova residenza si organizzò per fare la bella vita in compagnia di cortigiani e cortigiane e ogni sera dava cene sontuose.
Un giorno, un delizioso giorno di maggio, nonostante i molti svaghi, non riusciva a dimenticare la donna crudele che lo rifiutava a Ravenna.
Tormentato dal mio rifiuto, si inoltrò senza il suo seguito nella pineta di Chiassi.
A un certo punto del cammino udì un pianto di donna.
Rimase in ascolto.
Poi il brusio di cespugli mossi, infine ecco un'incredibile visione.
Dal folto della macchia, spuntò una bellissima ragazza, tutta nuda, piangente e graffiata dai rami spinosi.
Correva via, inseguita da due feroci mastini i quali, come la raggiungevano, le mordevano i fianchi.
Nastagio, che aveva uno spirito sempre lesto all'intervento, vide appresso un cavaliere nero, armato di coltello, che correva dietro ai cani.
Il tipaccio inveiva contro la fanciulla con parole volgari e minacce di morte.
Nastagio prese allora un ramo, pronto a lottare per difendere la donna.
Ma il cavaliere, risoluto, gridò:
"Nastagio, non t'impicciare che devo vendicarmi di tutto il male che questa donna mi ha procurato.
Io ebbi la tua stessa sorte: costei rifiutò il mio amore e io, allora, con questo coltello mi tolsi la vita!
Ora che anche lei è trapassata, posso finalmente avere giustizia!"
Capisco che siate perplessi nel sentire questa storia ma davvero non vi inganno.
Se non mi credete, sentite allora come Boccaccio, nella giornata quinta delle novelle del Decameron, raccontò questa stessa vicenda, spiegando la dannazione del cavaliere e della donna:
"... Costei, la qual della mia morte fu lieta oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltà e della letizia avuta de' miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò aver peccato ma meritato, similmente fu e è dannata alle pene del Ninferno. Nel quale come ella discese, così ne fu e a lei e a me per pena dato, a lei di fuggirmi davanti e a me, che già cotanto l'amai, di seguitarla come mortal nemica, non come amata donna; e quante volte io la giungo, tante con questo stocco, col quale uccisi me, uccido lei e aprola per ischiena, e quel cuor duro e freddo, nel qual mai né amor né pietà poterono entrare, con l'altre interiora insieme, sì come tu vedrai incontinente, le caccio di corpo e dolle mangiare a questi cani.
Né sta poi grande spazio che ella, sì come la giustizia e la potenzia di Dio vuole, come se morta non fosse stata, risurge e da capo incomincia la dolorosa fugga, e i cani e io a seguitarla.
E avviene ogni venerdì in su questa ora io la giungo qui e qui ne fo lo strazio che vedrai..."
Nastagio comprese che di lì a poco avrebbe visto in diretta la vendetta e la tragedia di queste anime dannate.
Rimase impietrito e si nascose dietro una grande siepe.
L'infernale cavaliere compì lo strazio.
I mastini mangiarono il cuore della donna e poi se ne andarono soddisfatti.
Poco dopo Nastagio restò solo.
La scena crudele, crudelissima, non lo aveva soltanto stravolto: da questa egli trasse una malvagia ispirazione.
Decise di organizzare un banchetto nella pineta, nel punto dove avveniva la macabra esecuzione e fece in modo di invitare, un venerdì, il mio amatissimo babbo, Paolo Traversari, e tutta la mia famiglia.
Io non avevo invero alcuna voglia di parteciparvi.
Nastagio mi infastidiva perché aveva modi invadenti che non mi piacevano.
Ma per compiacere il mio signor padre, accondiscesi e tutta la famiglia si recò presso la pineta di Chiassi, alla tavola del mio corteggiatore rifiutato.
Al fine del desco, quando anche l'ultima vivanda fu servita, ecco che udimmo dei suoni sinistri... e poi, davanti a tutti noi si svolse il teatro dell'orrore.
Il cavaliere spiegò, come aveva già fatto con Nastagio, il motivo di tale delitto: l'amore tramutato in odio e la vendetta su quel corpo a lui negato.
Capii immediatamente il motivo per il quale Nastagio avesse organizzato tutto questo: ammonirmi, spaventarmi, minacciarmi!
Dimostrarmi che sarei potuta finire anch'io come quello spettro di donna, che avrei pagato le conseguenze dell'amore che si trasforma in odio.
Infine le cose andarono come Nastagio volle.
Io rimasi talmente spaventata che capitolai.
Acconsentii a sposarlo.
Avete capito bene: lo sposai.
Ma non perché in me si fosse trasformato in amore il disprezzo che nutrivo nei suoi confronti, come invece riteneva Nastagio con grande soddisfazione.
Io nemmeno lo odiavo... ma, solamente, non lo volevo.
Avevo paura, lo accolsi solo per pura paura.
Si dice che la maniera migliore per controllare il nemico è averlo in casa.
Io feci lo stesso.
Sacrificai la mia vita per scampar la morte.
Thánatos uccise Eros e di lui non rimase nemmeno lo spettro.
Lasciatemi spiegare il motivo attraverso il mio ragionamento.
Se l'incarnazione di Amore è nel femmineo corpo vagheggiato e dall'amor cortese idealizzato: è vero o non è vero che in questa vicenda anche il fantasma di Eros viene assassinato?
Se per ottenere Amore si minaccia Morte: è vero o non è vero che risuona ancora l'eco del dissidio cosmico in codesta sorte?
E ancora... se mi sposai per paura di morire: è vero o non è vero che feci anch'io scempio di Amore condannandolo a un matrimonio voluto dal terrore?
Ero una trapassata pur tuttavia in vita: le ali della morte si spiegarono come due lembi di leggerissimo tulle nero e cangiarono il velo del mio abito da sposa.
Il sogno di convolare a meravigliose nozze d'amore, ambìto da tutte le mie coetanee, fu per me infranto.
Ero vittima di me stessa perché, in ultima istanza, non sapevo come affrontare le mie paure.
Tuttavia per Boccaccio il fine è lieto:
"... E la domenica seguente Nastagio sposatala e fatte le sue nozze, con lei più tempo lietamente visse. E non fu questa paura cagione solamente di questo bene, anzi sì tutte le ravignane donne paurose ne divennero, che sempre poi troppo più arrendevoli a' piaceri degli uomini furono che prima state non erano".
Ma come può mai intendersi il bene che proviene dall'intimidazione?
La mia paura rimase privata e, come sovente accade, taciuta e relegata in casa!
Ragionavamo pocanzi sull'uccisione di Eros: ho l'ardire di affrontare il vostro giudizio nel dirvi come le mura domestiche possano chiudere il nido di Amore dietro le sbarre di una prigione... il tutto in modo ben nascosto se non inconsapevole, beninteso!
Non era uno dei vostri poeti contemporanei a dire che la morte si sconta vivendo?
Io sono completamente d'accordo: Thánatos può uccidere quotidianamente, come un veleno che agisce lento ma inesorabile.
Mano a mano esso porta via il sentimento amoroso, la passione, la voglia di vivere e rimane solo la vertigine del vuoto, la forza del tempo che invecchia e inaridisce.
Le larve erano per gli antichi romani gli spiriti errabondi e senza pace degli uomini malvagi.
Il Decameron non racconta la fine di Nastagio ma, al contrario, di questi ne tratteggia solo il trionfo però... se la verità fosse davvero dalla parte dei latini... potrei magari sperare in codesta condanna spettrale?!
Perdonate il tono fosco che mi fa invocare la vendetta!
Dimenticate quanto ho detto e cambiamo scenario!
Lasciate che vi introduca ad argomento più ameno come la trasposizione in arte della mia storia!
Forse non tutti sanno che la novella cantata da Boccaccio colpì la fantasia del grande maestro Botticelli.
Il Museo Nazionale del Prado di Madrid conserva tre episodi, tempera su tela, detti della Historia de Nastagio degli Onesti.
Il primo si riferisce a Nastagio che incontra la donna e il cavaliere nella pineta.
Al centro la donna ignuda, coperta solo da un drappo bianco che dal seno destro ricade sul fianco sinistro.
Un cane bianco la sovrasta nell'atto di mordere il gluteo sinistro mentre, appresso al cane, sul lato destro della scena, il cavaliere a cavallo di un destriero bianco, brandisce la spada.
La donna ha le braccia protese in avanti, come a chiedere aiuto, verso Nastagio che si trova sul lato sinistro, pronto con il ramo a combattere il cavaliere.
Il secondo episodio illustra il tema dell'uccisione della donna.
Il corpo della donna, al centro della medesima scena, è disteso.
Il cavaliere è sceso da cavallo e con un coltello le trafigge la schiena mentre Nastagio, poco distante, manifesta il suo orrore.
Infine la terza tela rappresenta il banchetto nel bosco.
I commensali, attorno al tavolo, sono nello scompiglio provocato dall'inseguimento della donna da parte dei cani e del cavaliere a cavallo.
Nastagio è al centro della composizione, nell'atto di invitare i commensali alla calma e ad ascoltare quanto egli ha da dire sull'accaduto.
A Palazzo Pucci, a Firenze, vi è infine conservata un'altra rappresentazione di Botticelli, sempre sul medesimo tema.
Questo dipinto mi riguarda particolarmente perché in esso si raffigurano le nozze di Nastagio degli Onesti.
Il maestro fu assai pietoso con me perché non pensò di porre al centro del banchetto nuziale i due sposi felici...
Il grande Botticelli, nella mirabile cornice architettonica con arcate dal gusto classico, dispone parallelamente i commensali: una tavolata sul lato destro e un'altra sul lato sinistro.
Ai rispettivi lati della scena vi sono i servitori, in fila, che portano sontuose vivande.
Ma nel centro, al di là del ricco vasellame, la scena appare vuota: l'occhio corre libero per tutta la visione prospettica e non scorge, nell'immediatezza della visione, la figura degli sposi decentrata sulla sinistra.
Io sono la terza fanciulla seduta e proprio davanti a me, dall'altra parte del tavolo, vi è Nastagio.
Ci fronteggiamo... in un apparente segno di riconciliazione che, dal mio punto di vista, resta davvero un'apparenza...
C'è da dire che le quattro tavole rappresentano il testo della novella in modo molto fedele.
Ci sono pochi dettagli che risultano modificati.
Il cavaliere e il cavallo non sono bruni ma lucenti e bianchi, come a voler citare l'iconografia classica di San Giorgio (tipicamente rappresentato con armatura d'oro, cavallo bianco e mantello rosso).
Non è molto comprensibile il motivo di questa scelta: forse semplicemente per rendere più lieve la tragicità di siffatti eventi?
Per ingentilire il tema della caccia amorosa?
O più banalmente per rispondere al gusto estetico del tempo, sancito dai principi di Leon Battista Alberti nel suo famoso trattato De pictura...?!
Lasciatemi concludere così... per non spingermi oltre perché l'interpretazione non si addice alle vittime e quanto ho offerto a voi altro non è che la mia umile esperienza che resta agli atti come la versione di Eva.
Fonti:
- F. Boccaccio, Decameron, V,8
- S. Botticelli, La novella di Nastagio
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