Nel 1869 aveva avuto luogo la prima rappresentazione dell’”Oro del Reno”, già Prologo della Tetralogia, contrariando non poco Richard Wagner: egli del suo mastodontico progetto aveva immaginato una rappresentazione-fiume che esaurisse in alcuni giorni consecutivi tutte le quattro parti del lavoro; per realizzare questo suo sogno Wagner dovrà aspettare il
Con “La Valchiria” siamo direttamente proiettati – nell’ipotetica ottimale lettura consequenziale - dal mondo delle divinità primigenie del “Rheingold” alle vicende degli umani; l’opera si apre infatti in una semplice capanna nel bosco e i nuovi personaggi (Siegmund, Sieglinde e il di lei consorte Hunding) parrebbero ascrivibili alle tradizionali situazioni drammaturgiche sintetizzate dal consueto triangolo amoroso; ma Wagner aveva ormai deciso di abbandonare del tutto ogni ambientazione storica o realistica, e quindi – più vicini al senso universale di una tragedia greca che ad un dramma sentimentale ottocentesco – scopriremo che i due, divenuti amanti, sono anche fratelli nonché figli del dio Wotan, e da loro nascerà Sigfrido, il grande eroe dei miti germanici protagonista del terzo dramma della saga wagneriana.
Come nei miti classici da Grecia a Roma, uomini e dei sono imparentati non solo da più o meno lecite unioni, ma soprattutto dalle passioni che animano entrambi i mondi, vero legame tra eterno e mortale - e viceversa; in quella sorta di germanico Olimpo gli dei amano soffrono e scontano il male quanto gli umani sulla terra, in un destino comune.
Proprio come nel parallelo cammino verdiano gelosie, avidità e potere si muovono nell’opera insieme ad amore amicizia rispetto e fedeltà, anche se come sappiamo siamo di fronte a due mondi artistici, umani e musicali ugualmente eccelsi ma parzialmente inconciliabili; quello di Wagner è un pensiero globale che assorbe dramma musica e filosofia pervenendo a considerazioni estreme; nella sua musica si sostanziano realtà appartenenti a piani diversi, da quello sensibile di oggetti ed immagini naturali a quello più impalpabile della fluidità della coscienza.
Si arriva così ad intuire i legami tra Wagner e le dottrine psicoanalitiche di cui ha scritto Thomas Mann nel saggio “Dolore e grandezza di Richard Wagner” (1933): "nulla è più wagneriano di questa mescolanza di mitica primitività e di psicologia, meglio ancora moderna psicanalisi”.
Illuminanti anche le parole di Giuseppe Sinopoli (psichiatra nonché compianto grandissimo direttore): ”E’ sconvolgente la componente psicoanalitica di Wagner, la sua preveggenza rispetto a Freud… I Leitmotive danno la possibilità a Wagner di tracciare come una stratificazione di stati d’animo e di livelli di coscienza di ciascun personaggio… e qui Wagner segna il punto più geniale del teatro moderno e anche contemporaneo aprendo all’inconscio una porta importante e questo molto prima che apparissero i teorici dell’inconscio (Freud compone la Traumdeutung nel 1900 mentre la composizione della Walkiria è della metà degli anni ‘50)”.
La musica di Wagner appare linguaggio unico e quasi a sé stante; impossibile circoscriverla sinteticamente in arie o brani staccati, anche se proprio nel caso di questa “Walküre” è raro trovare chi non ne conosca la “Cavalcata”, resa celebre – manco a dirlo – da un uso abbondantissimo in cinema e televisione tanto da diventare un “riff” universale quasi come il mitico destino beethoveniano che bussa alla porta, di certo le quattro note più famose della storia.