Ho incontrato
Mahasweta Devi una decina di anni fa, a Calcutta. L’ho rivista poi a Roma, ospite del festival di cinema asiatico che dirigo. In quella occasione abbiamo parlato dei suoi racconti e nel corso della conversazione le ho detto quanto amavo la sua trilogia
Breast stories e in particolare
Dietro il corsetto. È un racconto che parte dalla foto di un seno e segue il tragitto tragico del suo impatto sulla vita di una donna. Potrebbe essere un film, le dissi. Con mia sorpresa lei rispose che io avrei potuto essere il protagonista.
“Ma è una storia indiana” le risposi. È la storia di un gap tra culture e linguaggi tra la lingua bengalese e quella tribale, ma potrebbe essere anche tra chi ha e la povertà da cui è circondato. È iniziata così la storia di questo film.
“Cos'hai dietro il corsetto, che hai? Choli ke pichhe kya hai?” È stata una "hit song”, il motivetto di una canzone popolare hindi di qualche anno fa. Il "choli" è l'indumento, indossato dalle tribali, il corsetto, che copre la parte media del tronco e lascia scoperta la pancia.
La bellissima star
Madhuri Dixit, attrice molto popolare del cinema hindi di Bollywood, interpretava la canzone danzando in modo particolarmente ammiccante, con un “choli” rosso accesso, tirato a lustro. Subito cantata e ballata da milioni d'indiani. Partendo da questo successo popolare,
Mahasweta Devi, la maggiore personalità letteraria bengalese, impegnata da anni a livello politico e sociale a favore delle comunità emarginate, ha scritto un racconto breve, dallo stesso titolo,
"Choli ke Pichhe". Una dura critica della relazione tra l’artista intellettuale di classe media urbana e la povertà del mondo rurale. La raccolta che contiene il racconto, s'intitola
Breast stories, storie del seno. Una sorta di triologia, tre storie, sulle donne tribali. Per scrivere questi racconti la Devi mi ha confidato che prendeva il treno, si fermava ad una qualsiasi stazione sperduta, raggiungeva i villaggi e ascoltava le storie.
Il film è stato girato nel distretto di Purulia, a sette ore di macchina da Calcutta, andando verso nord. È un distretto "infestato", come dicono politici e ripetono i giornali, infestato dai naxaliti, i maoisti indiani. La popolazione di Purulia e dintorni è composta da alcune delle più antiche etnie e tra queste i Kheria Sabars, che vivevano in foreste isolate, da cui traevano i loro alimenti, con la caccia, le radici, i frutti, il miele. Poi la foresta è stata distrutta e negli ultimi decenni, i gruppi tribali sono diventati forza lavoro itinerante. Oggi non tutti i tribali sono naxaliti, ma tutti i naxaliti sono tribali. Le donne sono lavoratrici stagionali, impiegate sopratutto nell'edilizia, trasportate in camion dalla fornace di mattoni alla strada da asfaltare.
Pagate una miseria, sfruttate, non parlano il bengalese, vivono senza alcuna garanzia di istruzione o di servizio sanitario. Sono le donne che appaiono intorno a
Gangor, la protagonista del film. Lavorare con loro e in mezzo a loro è stata per me un’esperienza bellissima. Come lo è stato realizzare questo film con una troupe mista, italiana ed indiana, che ha affrontato molte difficoltà, non ultima quella di seguire le mie indicazioni. Ma mentre giravo ho cercato più che altro di trasmettere il mio amore, per l’India e per il cinema.
Italo Spinelli