Si possono trovare parole di origine araba non solo nella lingua italiana, ma a
nche nei vari dialetti, soprattutto di quelle città marinare che intrattenevano frequenti contatti con il Medio Oriente (come Genova e Venezia, due delle più grandi potenze commerciali in epoca moderna) o nelle terre conquistate dall’impero arabo islamico (come la Sicilia, dal 827 al 1091 d.c.). Inoltre, nei centri di cultura dove si elaboravano e traducevano i testi e si divulgavano le conoscenze, spesso si latinizzavano termini arabi, che entravano a far parte del nostro patrimonio in maniera indiretta. E così l’espressione
fondaco (albergo, locanda) non è altro che l’italianizzazione dell’arabo
funduq. Infatti a Venezia e Genova, dove questo termine viene ancora usato, vi era una vsta comunità di persone provenienti dal sud del Mediterraneo che partecipavano alla vita commerciale. Per queste comunità vennero costruiti degli edifici a scopi sia commerciali che residenziali. Avevano ripreso il termine dai Turchi, i quali a loro volta avevano nelle loro città marinare stessa tipologia di quartieri dedicata ai commercianti stranieri di passaggio (per esempio nella zona di Galata a Istanbul c’era un quartiere destinato ai genovesi). Sempre in ambito commerciale, anche la parola magazzino deriva da mahzen, granaio, poi diventato termine per indicare il luogo in cui si depositavano le merci. Come scrisse Barbieri, nel suo articolo Colpisce più la lingua (araba) che la spada, nella frase
“la nave era in avaria. L'ammiraglio uscendo dall'arsenale si lamentò degli acciacchi. Giunto a casa si buttò sull'alcova azzurra mangiando arance e albicocche con un po' di alcool”, tutte le parole con la A vengono dall'arabo. Si potrebbe tentare anche con la C:
“ Ho messo il caffè nella caraffa. Nella dispensa c'è una cassata con i canditi, nella casseruola un po' di carciofi”. Tutte le parole con la C derivano dall'arabo! Molte parole adottate dalla lingua italiana dall’arabo, hanno mutato il loro significato originale come ad esempio meschino, ricalcato dall’arabo meskin. Questa parola viene utilizzata in arabo quando riferendocisi ad una persona, la si vuole compatire Poverino!, mentre assume in italiano toni più negativi. Spesso le parole arabe introdotte nella lingua italiana non hanno mantenuto i fonemi difficilmente riconoscibili e pronunciabili nella nostra lingua, e vengono italianizzate: così il termine
habib (
amore, tesoro, utilizzato per chiamare affettuosamente un familiare o un amico) a Genova diventa gabibbo (parola volta ad indicare un amico). Altro interessante termine genovese è
cancaribba (allegria) dall’arabo
gharìb (strano, bizzarro). Fazzoletto si dice
mandillo (dall’arabo mandìl). Fino a pochi anni fa, sempre a Genova, si usava l’espressione
Scialla: un tempo veniva usata dai marinai come espressione di allegria per il ritorno a casa oppure veniva utilizzata come saluto dai familiari all’uomo che partiva in mare, l’origine dell’espressione richiama l’arabo
inshaallah (se Dio vuole). Altri casi di arabismi prevedono una stessa parola araba penetrare nella lingua italiana e trasformarsi in due termini diversi (ma simili): è il caso della parola
dar al-Sina’ (letteralmente: casa per costruzioni) che a Genova originò il termine
darsena e a Venezia
arsenale. La maggior parte dei termini italiani che derivano dalla lingua araba riguarda oggetti pratici, soprattutto termini tecnici legati al lessico militare, marinaresco e commerciale, o ancora vocaboli legati al
lessico astronomico (
azimut, nadir, zenit),
matematico (
algebra da al-giabr) e
scientifico (
chimica da al-kimia). Molti dei prodotti alimentari importati dai paesi arabi mantennero il loro nome originale, come ad esempio:
limone (da leimun), riso (da aruz), zucchero (da sukkar). Ma non solo:
marzapane (dalla città di Martasapan), zafferano (da za’faran), albicocco (da al-barquq), carciofo (da harsiuf), melanzana (da badingian), zibibbo (da zbib, uvetta). Zagara viene da zahr (fiori), e fu acquisita dal siciliano durante la dominazione saracena, mentre in Italia venne utilizzata per la prima volta da D’Annunzio nel “Piacere” (1889). Una curiosità:
il termine assassino deriva dalla parola araba hashashyyn, che significa letteralmente “coloro che fanno uso di hashish”. Il termine fu usato per indicare gli adepti di un gruppo ismailita dei Nizariti in Persia, che si organizzavano per compiere azioni violente e assassini politici. Si dice che prima di imbattersi in tali imprese, facessero uso di hashish. L’uso del termine è stato poi esteso ad indicare l’omicida, senza particolari attributi. Questi sono solo alcuni esempi della lunga lista di contaminazioni arabe nella lingua italiana, ma potremmo aggiungerne molte altri. E’ interessante notare come due lingue così diverse si siano intrecciate, a dimostrazione che la lingua è viva e in continua metamorfosi. Il costante scambio e gli elementi comuni tra i popoli mediterranei fanno parte del nostro patrimonio comune, e ci ricordano che questo mare “solcato da navi mercantili e da navi da guerra funziona non da confine ma da continua rete di scambio” e conserva tracce permanenti del contatto tra i popoli mediterranei sin da epoche remote. Sirena Di Martino su
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