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Lettera a Vittorio Feltri
la replica di Marco Travaglio a Gian Marco Chiocci de Il Giornale
Signor direttore,
ho letto l’articolo del collega Gian Marco Chiocci (ma il titolo lascia pensare che sia opera di Marcello Dell’Utri: “Dell’Utri sbugiarda Travaglio”) sulle presunte “inesattezze, omissioni e imprecisioni documentate processualmente” in cui sarei incorso nell’ultima puntata di Annozero. Di solito non replico agli attacchi dei giornali, ma stavolta faccio un’eccezione perché si mette in dubbio la cosa più preziosa che ho: la mia credibilità di giornalista documentato. Se il punto di riferimento, come scrive Chiocci, è il processo Dell’Utri conclusosi (per ora) con la sentenza di condanna in primo grado a 9 anni, mi dispiace, ma allora il disinformato è Chiocci (o Dell’Utri).
1. Nel 1974, quando fu assunto ad Arcore, Mangano faceva la spola fra Palermo e Milano da un paio d’anni, ma lo stesso Dell’Utri ha più volte dichiarato di averlo incontrato a Palermo, dove glielo presentò Gaetano Cinà.
2. La famiglia mafiosa di Porta Nuova non è affatto “nata solo nel 1983”: esisteva da ben prima, se è vero che Pippo Calò ne divenne il boss nel 1969 e ne faceva parte Tommaso Buscetta, che raccontò di esservi entrato nel 1945 a 17 anni.
3. Ho detto che Stefano Bontate era “capomafia” perché era il primus inter pares del triumvirato (insieme a Badalamenti e Liggio) che reggeva Cosa Nostra negli anni 70. Mangano era uno dei suoi pupilli, tant’è che nella sentenza Dell’Utri si legge che Bontate salì a Milano per incontrare Dell’Utri e Berlusconi per suggellare l’assunzione di Mangano ad Arcore; nel 1990, quando fu scarcerato,Riina ricordò minacciosamente a Mangano di non aver dimenticato che aveva regalato una pistola Bontate.
4. Quando fu assunto ad Arcore, Mangano aveva già subìto 6 arresti e 4 condanne in primo grado (tre per assegni a vuoto e una per truffa). Non ho mai detto che fosse già stato condannato per mafia. Del resto l’ha detto lo stesso Berlusconi il 26 giugno 1987 davanti al giudice istruttore milanese Giorgio Della Lucia: “Nell’ambito delle indagini seguite a questo sequestro (D’Angerio, 6 dicembre 1974, ndr) emerse che Mangano era un pregiudicato”.
5. Non ho mai detto che Mangano fu indagato per il sequestro D’Angerio (presunto “principe di Sant’Agata”). Ma che i carabinieri ritenevano che ne fosse il basista, come poi ha confermato il mafioso pentito Salvatore Cucuzza. Del resto, è stato lo stesso Berlusconi a raccontare il coinvolgimento di Mangano nel sequestro: “Lo licenziammo non appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite, il principe di Sant’Agata” (Corriere della sera, 20 marzo 1994).
6. Fra il luglio del 1974 e l’ottobre del 1976, quando risulta residente nella villa di Arcore, Mangano viene arrestato due volte, e per due volte, quando esce, elegge domicilio in “via San Martino n. 42, Arcore”, cioè a casa Berlusconi. Lo stesso Dell’Utri ha dichiarato al Corriere della sera (21 marzo 1994): “Mangano rimase ad Arcore due anni”. Mangano conferma. Se, come scrive Chiocci, fosse stato “licenziato nel dicembre 1974”, sarebbe rimasto ad Arcore pochi mesi, non due anni.
7. Dopo l’attentato del 1975 in via Rovani, Berlusconi – proprietario della villa – non sporge denuncia. Chiocci scrive che la denuncia la sporse tale “Walter Danotti” (in realtà era Walter Donati, un prestanome). Appunto. Non Berlusconi, non il proprietario della villa.
8. Che Mangano fosse un esperto di cani e non di cavalli lo dichiara Dell’Utri al processo, come ricordano i giudici nella sentenza: “(Dell’Utri) sminuisce il ruolo di Mangano come persona esperta nell’allevamento dei cavalli, dichiarando anzi di non esser stato a conoscenza di questo particolare, e sottolineando piuttosto la particolare esperienza del Mangano con i cani da guardia (mastini napoletani, per l’esattezza)… Non ha richiamato tanto la passione del Mangano per i cavalli, che anzi l’imputato ha dichiarato di avere ignorato in quel momento (cosí smentendo lui stesso la circostanza secondo la quale Mangano avrebbe dovuto occuparsi delle scuderie), ma piuttosto la passione per i cani da guardia”.
9. Al processo Spatola, Mangano viene condannato per mafia (all’epoca il reato contestato era associazione per delinquere, non essendo stato ancora introdotto nel codice penale il 416-bis, cioè l’associazione per delinquere di stampo mafioso, creata solo nel 1982); al maxiprocesso alla Cupola, invece, viene giudicato responsabile di 416-bis ma è possibile condannarlo “solo” per traffico di droga a causa del “ne bis in idem” (per mafia era già stato condannato nell’altro processo). L’ho detto ad Annozero e lo confermo.
10. Paolo Borsellino dice più volte, nell’intervista ai due giornalisti francesi che gli chiedono dei rapporti fra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi, di non poter rispondere perché sui loro rapporti “c’è ancora un’inchiesta aperta con il vecchio rito”, cioè col vecchio codice di procedura penale, gestita dal giudice istruttore Leonardo Guarnotta.
11. So bene che i Graviano nascono come fedelissimi di Riina. Ma il pentito Spatuzza, che dei fratelli Graviano era il factotum, ha rivelato ai magistrati che, dopo l’arresto di Riina il 15 gennaio 1993, i Graviano passarono nell’orbita di Provenzano. Io infatti mi riferivo “alla fine del 1993”.
Grato per la pubblicazione di questa mia replica sul suo Giornale, ti saluto cordialmente.