Secondo il Rapporto 2016 dell’Associazione Centro Astalli, i rifugiati in Italia incontrano crescenti difficoltà nell’accedere al sistema di protezione. Il Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, sostiene che molte delle problematiche siano una conseguenza dell’approccio hotspot, incentrato sui centri di ricezione gestiti dall’Unione europea per identificare migranti e rifugiati e prenderne le impronte in stati membri di frontiera, come l’Italia e la Grecia.
Spesso i rifugiati si concentrano nelle grandi città, perché è più facile contare su reti di supporto informali. L’accoglienza resta la maggiore sfida, ma anche i successivi percorsi verso l’autonomia sono difficili.
Tra queste persone in arrivo, molte hanno subito violenze e torture nel proprio paese di origine o lungo il percorso. Le donne, nello specifico, sono in molti casi vittime di abusi o di violenza di genere.
A Roma, il Centro Astalli gestisce quattro centri in convenzione con il Sistema SPRAR, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Tra questi Casa di Giorgia, che dà ospitalità a trenta donne rifugiate provenienti da paesi diversi, soprattutto dall’Africa occidentale, ma con la presenza di donne eritree, somale, iraniane, turche e irachene.
Come spiega Donatella Parisi del Centro Astalli, “le donne che arrivano a Casa di Giorgia hanno storie molto diverse ma sono accomunate dall’aver subito una persecuzione nel loro paese d’origine e per questo arrivano a chiedere asilo in Italia, sono persone che hanno sofferto moltissimo durante il viaggio”. Se poi arrivano via mare, continua Parisi, “si arriva con i trafficanti e così spesso queste donne sono vittime due volte, perseguitate nei paesi di origine e durante il viaggio”.
Anche una volta arrivate in Italia, però, sono doppiamente vulnerabili rispetto agli uomini. “Rischiano di diventare oggetto di attenzione di sistemi di illegalità, come la prostituzione o il lavoro nero”, spiega Parisi.
La riabilitazione di queste donne, che hanno subito violenze e torture, può richiedere dei tempi lunghi, e c’è da considerare che nella maggior parte dei casi si tratta di madri o di donne incinte. “La condizione più difficile – spiega Parisi – è quando hanno lasciato i bambini nel proprio paese di origine e hanno come obiettivo principale quello del ricongiungimento familiare”.
Mirra Muteba, arrivata in Italia 13 anni fa dalla Repubblica Democratica del Congo, è stata ospite di Casa di Giorgia per nove mesi, mentre aspettava che fosse messa in regola la sua richiesta di asilo. È dovuta partire a causa della sua posizione politica e da 13 anni non vede i suoi figli, con cui però dovrebbe riuscire a ricongiungersi a breve, e insieme a loro ha lasciato indietro sua madre e i suoi fratelli.
“È stata una cosa molto difficile e dolorosa, però quando è l’unico modo per salvarsi, uno se ne va”, dice Mirra. “Io sono arrivata qui in aereo ed è stata una grande fortuna”, continua, sottolineando che chi arriva per mare spesso si imbarca senza nemmeno sapere se avrà modo di arrivare.
Per Mirra la difficoltà più grande è stata “non cadere nelle mani delle persone che non sono persone per bene, perché comunque in quanto donna mi sento sempre che siamo più vulnerabili rispetto agli uomini”.
Quando le chiediamo che consigli darebbe a delle donne rifugiate appena arrivate in Italia, il primo è di non lasciarsi trascinare in affari non puliti. “Perché conosco molte ragazze che quando arrivano soffrono magari e basta un piccolo consiglio da qualcuno e o si mettono per strada o a spacciare”, spiega.
“Il secondo consiglio, che è stato molto difficile anche per me, è di accettare anche i piccoli lavoretti che si trovano”, continua, “non c’è un mestiere stupido, qualsiasi mestiere onesto è un lavoro”.