Da anni i media cercano di scendere a patti con la necessità di imparare a vivere in un mondo digitale. Non tutti sono riusciti ad adattarsi, e alcuni hanno semplicemente cercato di replicare online quello che facevano in televisione o sulla carta stampata.
Tuttavia, altri hanno affrontato la “sfida digitale” in modo innovativo ed efficiente, come AJ+, il canale online di Al Jazeera.
Abbiamo parlato di
storytelling digitale e
mobile journalism con
Shadi Rahimi, Senior Producer di AJ+.
In che modo AJ+ è riuscito a far funzionare la strategia “digital first”?
Fin dall’inizio, AJ+ è stata un’iniziativa esclusivamente digitale, orientata a specifiche piattaforme e
mobile-first.
È questo che ci distingue dalla maggior parte dei mezzi di informazione e che è stato il motore del nostro successo nel panorama dei social media. Ci distinguiamo dagli altri nella misura in cui produciamo materiale specificatamente per un pubblico digitale che riceve le notizie soprattutto sui propri smartphones. Noi non riproponiamo semplicemente contenuti che inizialmente sono stati prodotti per la televisione o per un sito web.
Una storia per un pubblico su Facebook viene prodotta in maniera differente rispetto a una storia per un pubblico che la vedrà su Apple Tv. E a partire dalla ricerca e dalla proposta del pezzo, i nostri producer hanno in mente le piattaforme per cui stanno producendo il loro pezzo e il modo migliore in cui raccontare storie per quelle specifiche piattaforme. Questo approccio ha fatto sì che siamo riusciti a produrre alcuni dei video più visti online.
Che cosa significa “coinvolgere il pubblico” per AJ+, e come riuscite a farlo?
Coinvolgere il pubblico è il fine ultimo di AJ+. Puntiamo a coinvolgere gli utenti non solo mentre guardano i contenuti ma anche dopo. È così che si costruisce un pubblico fedele che si sente coinvolto nel processo di storytelling, è così che si guadagna un seguito online.
I nostri video vengono prodotti con l’obiettivo di catturare e mantenere l’attenzione del pubblico dall’inizio alla fine. Spesso contengono grandi domande con l’intenzione di stimolare il dibattito nella sezione commenti. A volte chiediamo domande dirette nei commenti, oppure forniamo maggior informazioni. Interagiamo con il nostro pubblico quotidianamente, sia rispondendo pubblicamente ai tweet o rispondendo ai messaggi privati su Facebook. Abbiamo addirittura prodotto delle storie basate sui commenti del pubblico. Un esempio è un post medium che abbiamo prodotto dopo che uno spettatore aveva inviato un commento sulla sua esperienza personale con l’abuso di droghe.
Tutte le storie si prestano ad essere presentate online o su mobile? Quali ingredienti devono esserci perché funzionino?
Se si vuole produrre un video che sia ottimale per un pubblico digitale e su mobile l’aspetto più importante è avere a disposizione delle immagini che lasciano a bocca aperta. In particolare per Facebook, dove l’auto-play significa che i primi secondi posso determinare se il pubblico continuerà a guardare oppure no. “Un buon girato” è un ovvio elemento da tenere in considerazione quando si produce un video, ma quando si parla di un pubblico online non basta. Le emozioni hanno un peso. Il video permette allo spettatore di entrare nella storia e di guardarla da molto vicino? Il tipo di girato che ci interessa consente a chi guarda di immergersi nella storia più del modo tradizionale e televisivo di riprendere.
Che ruolo giocano per voi il citizen journalism e gli user generate content?
Utilizziamo video e user generated content (UGC) nei nostri servizi, soprattutto quando si tratta di breaking news, per esempio se c’è stata una sparatoria con la polizia e qualcuno l’ha filmata sul suo cellulare. Ma verifichiamo sempre con attenzione il contenuto, o aspettando che sia verificato da Storyful o direttamente parlando con chi ha girato quel contenuto. Questo tipo di materiale ha un grande valore e una notevole forza quando si tratta di raccontare alcune storie in particolare, spesso aggiunge un senso di urgenza alla narrazione.
In che modo voi di AJ+ avete deciso di coprire le storie dei rifugiati? C’è qualcosa su cui vi siete concentrati in particolare?
Abbiamo coperto tutti gli aspetti della crisi dei rifugiati siriani, dalla guerra civile all’afflusso di rifugiati in Europa. È una delle storie più importanti dei nostri tempi, a cui la nostra intera organizzazione dà molta importanza, quindi ogni dipartimento nel nostro ufficio ha giocato un ruolo fondamentale nel far luce su questa crisi.
L’anno scorso il team sul campo che coordino è stato inviato in Europa nel mezzo della crisi e abbiamo prodotto dei
video camminando a fianco dei rifugiati durante il loro viaggio alla volta della Germania. Il nostro scopo era quello di umanizzare alcuni dei volti senza nome che scorrevano oltre i confini.
Per quanto riguarda il MoJo:
Il Mobile Journalism può essere considerato il futuro del giornalismo?
Credo che il mobile journalism sia uno dei molti strumenti che tutti i giornalisti dovrebbero avere a disposizione. Essere in grado di catturare video o foto di qualità con il proprio telefono cellulare cambia le regole del gioco in situazioni di breaking news.
È anche cruciale sapere come trasmettere in diretta dal proprio telefonino. Non credo che i telefoni rimpiazzeranno le telecamere almeno per adesso, ma nella direzione in cui ci stiamo muovendo le riprese fatte con un cellulare vengono utilizzate insieme a quelle realizzate con telecamere senza soluzione di continuità, almeno in alcuni video che ho prodotto.
Quali sono i vantaggi dell’usare un telefono sia in situazioni di breaking news sia lungometraggi?
Quando si tratta di breaking news, MoJo è il metodo più veloce a nostra disposizione a AJ+. Quando scoppiarono le proteste dopo l’uccisione di Michael Brown da parte di un poliziotto bianco di Ferguson, il mio collega e io fummo mandati sulla scena con solo i nostri cellulari in mano. E così siamo entrati all’interno delle conversazioni su quanto era accaduto – che come tipologia erano breaking news e avevano luogo soprattutto su Twitter – anche pubblicando filmati non editati e foto di quello che stava accadendo.
Siamo entrati nello spazio dei social media usando gli strumenti propri di quello spazio. Il nostro pubblico è cresciuto esponenzialmente grazie a questa strategia.
Per quanto riguarda i lungometraggi, quando produco un pezzo più lungo sul campo spesso utilizzo i telefoni per filmare e pubblicare quotidianamente contenuti come le proteste o momenti “dietro le quinte” che aiutano a promuovere o a potenziare la storia.
Questo accresce l’interattività del pubblico?
Quando eravamo sul campo a Ferguson, e poi a Baltimora per le proteste scoppiate dopo la morte di Freddie Gray, abbiamo realizzato che il nostro pubblico rispondeva molto. Siamo diventati una fonte di breaking news online comparabile forse soltanto al modo in cui gli attivisti e chi fa livestream si comporta online, twittando aggiornamenti in tempo reale dalla scena. In entrambi questi casi abbiamo organizzato “takeovers” del nostro account Twitter, dove la maggior parte dei tweet erano correlati alle ultime news sul campo. Il coinvolgimento e l’interazione del pubblico che abbiamo ricevuto in risposta sono stati impareggiabili.
In che modo il MoJo potrebbe rendere più efficace lo storytelling soprattutto nel caso di storie come la crisi dei rifugiati?
Abbiamo utilizzato Facebook Live per la prima volta l’anno scorso mentre raccontavamo la crisi dei rifugiati, che era incredibilmente potente in termini di coinvolgimento e interazione del pubblico. Abbiamo usato i telefoni cellulari per permettere al nostro pubblico di provare l’esperienza di stare in piedi in lunghe e confuse file al confine tra l’Austria e la Germania.
Ci siamo spinti ancora oltre traducendo le loro domande ai rifugiati e facendo lo stesso con le risposte, facendo in modo che conversazioni fruttuose avessero luogo. Quest’anno abbiamo avuto un approccio simile quando ci siamo uniti ai migranti su una nave di soccorso italiana. La narrazione può essere potenziata in questo modo, con momenti di interazione che consentono al pubblico di entrare in spazi a cui altrimenti non avrebbero accesso.
Cosa possiamo aspettarci dal futuro? Il Mojo è qualcosa che ogni giornalista dovrebbe imparare?
La tecnologia continua a migliorare ma i principi della raccolta di informazioni e della loro presentazione restano gli stessi. I telefoni cellulari sono lo strumento migliore per fare informazione sui social media, in particolare in situazioni di breaking news. Penso che ogni video giornalista sul campo dovrebbe essere in grado di trasmettere live dal proprio telefono e catturare video e foto di qualità in tempo reale.