Dal 2015 in poi, immagini e storie di migranti e rifugiati, partiti per pericolosi viaggi alla volta dell’Europa, hanno riempito i media di tutto il mondo. Molti giornalisti si sono sentiti in dovere di andare al di là di semplici statistiche e stereotipi, mettendosi alla prova con modalità diverse di storytelling.
Un esempio è costituito dal vincitore del Prix Italia nella categoria documentari televisivi, nonché vincitore del premio speciale della giuria del presidente della Repubblica,
“Exodus”, prodotto dalla BBC.
Ci è voluto un anno intero per realizzare questo documentario, in cui non solo i film maker hanno seguito i rifugiati lungo la via, ma anche gli stessi rifugiati hanno filmato alcuni momenti del loro pericoloso viaggio, momenti che solitamente rimangono fuori dalla portata delle telecamere.
Secondo la giuria, il documentario “è essenziale adesso e in futuro”.
Abbiamo chiesto al regista James Bluemel di spiegarci il lavoro che sta dietro questo documentario innovativo.
Da dove è venuta l’idea di realizzare questo film?
Come tutti avevamo seguito le news, e avevamo visto una grande quantità di immagini di queste persone che arrivavano dall’Africa e annegavano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Allo stesso tempo, un mio amico fotografo era andato in Marocco, dove i migranti cercavano di raggiungere la Spagna. Lì aveva raccolto del materiale girato dai migranti stessi.
È stato allora che abbiamo pensato che una combinazione delle nostre riprese con quelle dei migranti avrebbe potuto dar vita a un documentario interessante. Con l’esodo siriano abbiamo seguito lo stesso schema.
Quali sono state le maggiori difficoltà nel costruire un prodotto del genere?
È stato un incubo dal punto di vista organizzativo. Sono quasi stupito di avercela fatta, eppure ci siamo riusciti.