I vincitori del #PrixItalia 2016: La storia di un uomo evanescente


Foto da "Paolo Ventura: un uomo evanescente"
 
Il documentario del regista olandese Erik Van Empel sul fotografo italiano Paolo Ventura ha vinto il premio per miglior programma televisivo di Performing Arts. Secondo la giuria, “questo film è un viaggio sorprendente in un mondo senza tempo”, dove “la sceneggiatura, la regia, la fotografia e il montaggio sono in completa armonia con l’universo dell’artista”.

Il film è una produzione NPO.

Van Empel ci ha parlato della sua fascinazione per l’artista ritratto in “Paolo Venura: Un uomo evanescente”.

Da dove è nata l’idea per questo film?

Ogni anno vado al Paris Photo e sei anni fa, ho visto delle foto di Paolo e sono rimasto molto confuso da ciò che stavo vedendo. Ho guardato meglio e mi sono accorta che costruiva immagini e scenografie con dei pupazzi. Poi tre anni fa, stavo comprando una delle sue foto ad Amsterdam e il gallerista lo conosceva e mi ha dato il suo contatto. Due giorni dopo ho ricevuto una lettera da Paolo Ventura. Viveva in Italia, così sono andato a trovarlo e ho parlato con lui e con la moglie. Aveva già ricevuto un’offerta per un altro film, ma quando gli ho mostrato il trailer di un mio altro lavoro ha deciso di lavorare con me.

Come si è sviluppata la produzione del film?

Quando ho incontrato Paolo per la prima volta, ci siamo trovati subito molto bene, ma avevo semplicemente un’idea e nessun finanziamento. Quindi ho detto a Paolo: o scrivo la sceneggiatura e aspettiamo di ricevere dei fondi, oppure posso iniziare direttamente a filmare, visto che sono un cameraman di professione. Paolo ha detto che per lui si poteva fare.

Dopo di che sono tornato nuovamente con un mio amico, siamo stati a casa di Paolo per tre giorni e abbiamo fatto le interviste in inglese, dal momento che non avevamo denaro per pagare un traduttore.

In un secondo momento, ho lavorato un po’ al montaggio e ho confezionato un trailer che ho mostrato a una televisione. Non avevano mai sentito parlare di Paolo e non ci hanno dato un budget sufficiente per finanziare l’intero film. Quindi, la produzione è stata davvero molto economica.

Per realizzare l’intero film ho impiegato un anno e mezzo, inclusi cinque viaggi in Italia e uno negli Stati Uniti per filmare alcune scene.

Qual è stato l’aspetto più difficile?

La parte più difficile è stata senza dubbio il montaggio, perché nel nostro budget avevamo denaro per pagare un editor solo per 20 giorni. Ho pre-montato tutte le scene da solo, ma passati 18 giorni con l’editor ci siamo accorti che la versione che avevamo era troppo noiosa. Allora il mio partner ha pensato che l’editor avrebbe potuto prendersi del tempo per giocare con un po’ di idee, mentre io avrei montato ancora un po’ per conto mio.

In totale, ho realizzato 14 versioni diverse del film, insieme al mio co-produttore. Mettere insieme tutto questo materiale è stato molto difficile e il montaggio è la parte più importante e delicata quando si realizza un documentario.

Qual è stata la sua reazione alla vittoria nella categoria TV Performing Arts?

Non me lo aspettavo. Per me questo premio è ancora qualcosa di irreale. È stato il riconoscimento del fatto che il film ha raggiunto un buon risultato. Sono anche molto orgoglioso perché lo ho realizzato con un budget molto ridotto; ho scritto, mi sono occupato della fotografia, ho filmato, montato, co-prodotto, e nella categoria ho dovuto competere con alcune grandi produzioni.

Pensa che ci sia ancora spazio per questo tipo di performing arts in televisione?

È sempre più difficile, ma film come questo devono essere realizzati e mostrali in televisione. Il problema è riuscire a fare pubblicità. In Olanda, nessuno aveva sentito parlare di Paolo, ma se lo avessero conosciuto avrebbero guardato il film. I social media possono giocare un ruolo importante in questo senso. Se conosci il pubblico che devi raggiungere, puoi riuscire a fare in modo che le persone vengano a sapere del tuo film.