Se si guarda a quello che il giornalismo è diventato, a quanto è cambiato nel corso di pochi anni, la prima cosa a saltare all’occhio sarebbe il ruolo sempre più importante giocato dalle nuove tecnologie, dagli smartphone eccetera. Tuttavia, parlando con giornalisti di tutto il mondo emerge anche un bisogno di tornare ai valori originari della professione, a una narrazione più semplice e più vera e a una relazione più trasparente con il pubblico.
Abbiamo parlato con Tim Verheyden, esperto di storytelling presso l’emittente pubblica belga VRT, di quali sono gli elementi che rendono la narrazione interessante e coinvolgente ma anche su quali aspetti dovrebbero concentrarsi i giornalisti di oggi.
Innanzitutto, può spiegarci su cosa si concentra il suo lavoro?
Un anno fa, mi hanno chiesto se volevo lavorare per aiutare i giornalisti a rinnovare il modo in cui raccontavano le loro storie. Sono una sorta di coach.
Il mio lavoro è pensare a modi specifici di raccontare storie, di filmarle e di presentarle al pubblico. Un esempio è un lavoro realizzato da VRT news in cui il giornalista parlava con dei rifugiati in fila all’ufficio per le richieste di asilo, tutto filmato in un’unica sequenza. In aggiunta, bisognerebbe sempre pensare a distribuire i servizi nel corso della giornata, senza utilizzare tutto il materiale in un colpo solo.
Su cosa sta lavorando al momento?
Al momento sto lavorando a un documentario di un’ora sulle storie che hanno occupato le news nel 2016. Poi, mi sono concentrato sul sito web e sulla nostra pagina Facebook. Abbiamo investito molto nella costruzione di un
web studio, dove possiamo girare le nostre dirette Facebook e che utilizziamo come una sorta di tramite tra i social media e la televisione. Per esempio, durante le ultime elezioni americane, ero nel nello studio digitale, raccoglievo domande su Facebook e poi le riferivo al programma televisivo che era in onda in quel momento e che mi dava la linea quando necessario.
È stata un’esperienza molto positiva e penso che dovremmo ripeterla. Potrebbe essere un modo interessante per forgiare un legame tra il mondo della televisione e quello online.
Quali sono gli elementi chiave di un buon storytelling che possa coinvolgere il pubblico?
Per svariate ragioni i giornalisti vogliono parlare molto, mentre noi cerchiamo di fare maggiore affidamento sul suono e sulle immagini e di evitare troppi voice-over. Dovremmo anche fare più tentativi con grafiche e animazioni, per raccontare alcuni eventi in maniera più accessibile. Un altro elemento è rispondere alle domande poste dagli utenti e occuparsi di notizie che possano essere utili agli spettatori o ascoltatori.
È tutta una questione di prospettiva. Le persone vogliono sentire qualcosa oltre che ricevere notizie. L’empatia è importante. Dopotutto, storytelling significa aggiungere elementi al proprio racconto, aspetti che consentano alle persone di ricordare e capire meglio gli eventi.
Qual è la maggior sfida per un’emittente pubblica al giorno d’oggi?
Il servizio pubblico si trova in difficoltà soprattutto con il concetto di “online first”. In aggiunta, molte persone sono ancora convinte che il vecchio modo di raccontare eventi e storie sia il migliore. Senza dubbio è un buon metodo, ma non è più sufficiente. È difficile fare rinunciare i giornalisti alle loro sicurezze e abitudini.
Lo storytelling digitale non significa copiare dalla televisione e andrebbe preso seriamente. Dovremmo cambiare l’intero processo e produrre prima notizie per l’online e poi mandare in onda le migliori. In realtà, nessuno sta veramente attuando una strategia mobile first, tutti hanno paura di fare questo cambiamento.
Che consigli vorrebbe dare in questo senso?
Direi di usare Facebook di più. Dall’altro lato, dovremmo anche trovare nuovi modi di coinvolgere il pubblico. I social media potrebbero essere usati per avviare una conversazione in questo senso e come punto di partenza per coprire nuove storie, non solo come una piattaforma.
Su cosa dovrebbero concentrarsi i giornalisti in futuro secondo lei?
Lo storytelling rimane l’elemento cruciale. Tuttavia, penso anche che sia fondamentale riavviare la conversazione con il pubblico, per ricostruire la fiducia che i mezzi di informazione hanno perso.
Credo che il giornalismo sia finito in una bolla. Dobbiamo uscire dalle nostre redazioni, parlare con le persone, qualcosa che accade sempre meno di questi tempi. Non comunichiamo abbastanza con la società e continuiamo a vedere internet solo come una piattaforma quando invece può essere uno strumento per essere trasparenti.
I giornalisti dovrebbero usare i social media per chiedere input al pubblico e dovrebbero investire tempo ed energie per costruire una relazione con le persone sia online che offline. È a questo che i mezzi di informazione dovrebbero pensare.