Il video che trasforma il tuo telefono in quello di un rifugiato


Più di un milione di migranti e rifugiati sono arrivati in Europa nel 2015. La maggior parte di loro avevano dei telefoni cellulari non solo per mantenersi in contatto con le proprie famiglie, ma anche per pianificare il proprio percorso.

Tuttavia, avere accesso ad internet non significa che queste persone abbiano a disposizione tutte le informazioni di cui hanno bisogno. BBC Media Action è una charity che utilizza media e comunicazione per aiutare le persone ad affrontare situazioni di crisi umanitaria, basandosi sul concetto per cui l’informazione è una forma di aiuto in grado di salvare delle vite.

Il suo ultimo video, disegnato appositamente per telefoni cellulari, un progetto prodotto da BBC Media Action sulla base di una ricerca condotta in collaborazione con l’organizzazione no profit Dahlia, punta a sensibilizzare trasformando il telefono dell’utente in quello di un rifugiato per circa tre minuti. Si leggono i messaggi che un rifugiato a bordo di un gommone potrebbe aver ricevuto dal padre durante la traversata dalla Turchia alla Grecia.

Ne abbiamo parlato con Alexandra Buccianti, project manager per l’aera Medio Oriente e Africa settentrionale di BBC Media Action, e Tom Hannen, Senior Innovation Producer per BBC Global News.

Cominciamo da Alexandra Buccianti.

Come è nato questo progetto?

È stato commissionato dallo Start Network, una rete di ONG. Volevamo rendere le organizzazioni più consapevoli di come i rifugiati accedono alle informazioni e di cosa fosse possibile fare per fornire informazioni più tempestive.

Il piano inizialmente era quello di seguire e intervistare i migranti lungo il percorso, ma una volta che i confini hanno iniziato ad essere chiusi, la situazione è diventata più statica e quindi abbiamo dovuto cambiare i nostri piani.

Volevamo catturare sia il viaggio sia ciò che i rifugiati provavano al momento in cui li intervistavamo. In Grecia la loro prospettiva era più ampia, mentre in Germania la maggior parte delle persone tendeva a ricordare il proprio viaggio.

Come avete organizzato il lavoro e raccolto le testimonianze?

Abbiamo intervistato circa 100 persone, tra rifugiati e operatori umanitari in Germania e in Grecia.

Abbiamo iniziato con una fase di profilatura in Macedonia e in Grecia, dove io e due dei nostri ricercatori ci siamo recati in alcuni campi in Macedonia e ad Atene.

La situazione è cambiata da allora, ma posso senza dubbio dire che l’aspetto che mi ha colpito maggiormente mentre parlavo con i rifugiati e visitavo i campi sono stati gli elementi che si ripetevano nei disegni dei bambini, che riproducevano i loro viaggi traumatici via mare e le loro case in Siria e in Afghanistan.

La comunicazione è centrale per i rifugiati e il nostro lavoro è stata anche l’occasione per molte persone di raccontare le loro storie; ci siamo seduti con ognuno di loro almeno per un’ora.

Le persone avvertivano il bisogno di parlare. C’è un sentimento diffuso di essere stati dimenticati in un certo senso.

Come mai avete deciso di ricorrere a questo tipo di video?

L’idea è del video ci è venuta per rendere accessibili i risultati a un pubblico più ampio.

Poi abbiamo deciso di disegnarlo per i telefoni cellulari dal momento che questa è una crisi dell’era digitale, ma anche perché i telefoni sono stati centrali nella narrativa fatta dai media e nelle vite dei rifugiati stessi. In aggiunta, il formato verticale del video rendeva possibile raccontare le vicende attraverso i loro occhi.

Tutti i dettagli presenti nel video derivano da storie che abbiamo raccolto sul campo. Abbiamo cercato di unificare le questioni comuni a più storie che avevamo sentito dagli intervistati, presentandole in modo coinvolgente.

D’altro canto, ci siamo anche concentrati sull’aiutare le OGN coinvolte a comprendere di cosa fossero maggiormente preoccupati i rifugiati.

Per esempio, abbiamo notato che uno dei problemi più rilevanti era la fiducia. Anche se potevano trovare una grande quantità di informazioni su internet, non sapevano di chi fidarsi.

Di che tipo di informazione c’è bisogno secondo i rifugiati e secondo gli operatori umanitari?

La maggior parte dei rifugiati ha detto che volevano informazioni tempestive su come arrivare a destinazione, sugli ospedali e le procedure di asilo. Sia i rifugiati sia gli operatori hanno sottolineato la necessità di avere a disposizione traduttori affidabili o ricercatori che parlino arabo.

In aggiunta, molte persone necessitavano di consulenze e supporto psicologico, soprattutto se bloccati in un campo da tempo. Abbiamo notto che le persone che si mantenevano connesse alle famiglie grazie ai loro telefoni cellulari erano in condizioni psicologiche migliori. Perdere la connessione fa sentire le persone perse.

In che modo l’informazione può essere considerata una forma di aiuto?

Meno informazione c’è, più aumenta la distanza, che porta le persone a seguire le dicerie e a cadere nelle mani dei trafficanti.

Ci sono molte informazioni che salvano la vita e possono essere fornite alle persone, e i media sono uno strumento molto potente. Avere accesso a informazioni tempestive, soprattutto quando si è in una situazione di crisi, è fondamentale. Non sollo perché allora si sa dove trovare soccorso, cibo e riparo, ma anche per chiamare le istituzioni a rispondere facendo notare che magari non si sta ricevendo aiuto.

L’idea che l’informazione sia aiuto è bidirezionale: è anche possibile adattare il modo in cui si fornisce aiuto, una volta che si ascoltano le opinioni di chi lo riceve.

E adesso guardiamo al lavoro di produzione del video con Thomas Hannen.

Su quali aspetti del report di BBC Media Action si è concentrato e perché ha scelto di realizzare un video disegnato per i telefoni cellulari?

Alexandra e io stavamo discutendo e all’inizio pensavamo a un qualche tipo di visualizzazione dei dati per accompagnare il rapporto. Volevano davvero che fosse interessante per le persone che lavorano sul campo.

Era ovvio che i telefoni cellulari fossero centrali e il rapporto stesso sottolineava come gli smartphone fossero il principale strumento utilizzato dai rifugiati per ottenere informazioni. Per questo motivo abbiamo voluto renderlo mobile first.

Come lo ha prodotto e che difficoltà ha incontrato?

L’ho prodotto utilizzando una combinazione di istantanee di schermi dei telefoni, video girati su telefoni cellulari, layover di IOS creati con Photoshop e un simulatore.
Una delle principali difficoltà è stata il fatto che ho disegnato il video in modo tale che avesse le dimensioni giuste per un iPhone6, perché ha uno schermo più grande, ma non ne possiedo uno, quindi ho dovuto farmelo prestare.

Pensa che questo tipo di storytelling possa migliorare il racconto giornalistico?

Molti esempi di buon giornalismo mettono i lettori o gli spettatori nei panni delle persone di cui si sta raccontando la storia.

Senza dubbio, un numero crescente di organizzazioni sta utilizzando video verticali e me ne aspetto ancora di più in futuro, dal momento che è il nuovo modo in cui le persone si informano oggigiorno.

Non so è un format utilizzabile per ogni lavoro giornalistico. In questo caso in particolare, il video è stato un modo per aumentare la consapevolezza del fatto che l’informazione è una forma di assistenza. Durante il processo di produzione, ho dovuto passare in rassegna migliaia di immagini strazianti ed è a partire da quelle foto che mi è stato chiaro quanto centrale fosse il ruolo dei telefoni cellulari. Anche persone che sono state sul campo hanno confermato la centralità dell’informazione come forma di assistenza.