L’etica dietro il racconto della crisi dei rifugiati

Informare sui pericolosi viaggi che rifugiati e migranti affrontano, e anche sulle loro speranze e talvolta tragedie, non solo implica molte responsabilità, ma solleva anche importanti domande di etica.

Prix Italia ha parlato con Tom Law dell’Ethical Journalism Network, una campagna globale che promuove buona gestione e condotta etica nei media.

Quale ruolo possono giocare i media nel stimolare l’integrazione e promuovere politiche migliori?

È molto importante riuscire ad avere la miglior copertura degli eventi possibile, accrescendo la coerenza, la tolleranza e contestualizzando le notizie. Uno degli aspetti da sottolineare con più forza è che c’è bisogno di raccontare i fatti, non i pregiudizi.

Come hanno lavorato i mezzi di informazione, soprattutto quelli europei, nel coprire la crisi dei rifugiati?

Una delle cose che ho notato è che, nello sforzo di essere imparziali e garantire un equilibrio delle opinioni, alcune emittenti pubbliche hanno finito con il dare spazio a punti di vista fortemente polarizzati. Per esempio, se c’è un rapporto che evidenzia come un certo livello di migrazione sia positivo per la società, allora per garantire equilibrio i media di servizio pubblico andranno a cercare qualcosa che esprima il punto di vista opposto. La domanda è, questo aiuta il pubblico?

Un altro aspetto che è emerso è il fatto che le voci dei migranti sono risultate spesso assenti. In molti hanno parlato di migranti al posto loro e molte emittenti si sono concentrate più su quanto i politici hanno detto sulla migrazione che su quello che migranti e rifugiati avevano da dire. Il vero pericolo di far affidamento su questo tipo di narrative è che non c’è spazio per far sentire le voci dei protagonisti.

In aggiunta, alcuni dei migliori esempi di giornalismo sono spesso esempi di “slow journalism”, quando i giornalisti evitano di lavorare in velocità e si prendono il tempo necessario per assicurarsi di essere accurati, utilizzando il linguaggio giusto e riportando quanto detto dagli intervistati correttamente.

Quali sono stati i limiti maggiori secondo lei?

Uno dei problemi maggiori è stata la mancanza di conoscenza degli aspetti legali della migrazione, per esempio della differenza tra migrante e rifugiato, o dei diritti legali di queste persone. Questi sono elementi fondamentali se si vuole evitare di dare l’impressione sbagliata al pubblico.

È importante spiegare chi sono le vittime. Inoltre, i giornalisti dovrebbero chiedersi se sono consapevoli delle sovrastrutture in cui rischiano di infilarsi. Per esempio, in Italia per un certo periodo gran parte della copertura mediatica era concentrata su Mare Nostrum. Quei video, immagini, linguaggio hanno avuto un grande effetto sulle modalità con cui i mezzi di informazione italiani guardavano al fenomeno.

Per un breve periodo di tempo il tono della narrazione è cambiato dopo la pubblicazione della foto di Aylan Kurdi, il bambino trovato morto su una spiaggia turca. Allora, anche la stampa di destra cambiò opinione. Un certo tipo di giornalismo può essere molto potente e può portare governi democratici a rivedere le proprie politiche. Tuttavia, al momento ci sono molte altre questioni che distraggono i media.

Quali sono le raccomandazioni dell’EJN?

Mentre le persone si stanno abituando a immagini di corpi trasportati dalla corrente sulle spiagge, i mezzi di informazione devono trovare nuove vie per raccontare quanto sta accadendo. Evitare che il pubblico diventi impermeabile non è sempre facile, come accade nel caso dei conflitti in Siria e Iraq.

La sfida più grande è mantenere viva l’attenzione del pubblico e raccontare la storia da angolazioni diverse, prestando attenzione a non de-umanizzare rifugiati e migranti, allo stesso tempo tenendo presenti le preoccupazioni e bisogni delle comunità ospitanti o di transito in termini di risorse di cui hanno bisogno per occuparsi di queste persone.

Oltre a raccontare i loro viaggi, è altrettanto importante parlare di integrazione, e dare voice alle comunità che accolgono queste persone e ai migranti e rifugiati che arrivati nel proprio paese di destinazione cercano di stabilirvisi.

Inoltre, i mezzi di informazione dovrebbero essere consapevoli della narrativa a cui fanno ricorso i politici populisti e dovrebbero evitare di lasciarsi trascinare da questo tipo di discorsi politicizzati. I media non possono farsi portavoce di falsità e incitazioni all’odio. Allo stesso tempo, i giornalisti dovrebbero riflettere sulle inquadrature che usano per raccontare la realtà ed essere consapevoli degli schemi in cui potrebbero cadere anche inconsciamente.

Il giornalismo deve seguire il proprio sistema di valori, specialmente adesso, nell’epoca in cui il giornalismo deve riuscire a distinguersi dalle semplici opinioni condivise online. C’è un bisogno sempre crescente di tornare ai valori di base.