Quest’anno la giuria della categoria fiction televisive ha conferito all’unanimità una menzione speciale a “
Non mi abbandonate”, diretto da Xavier Durringer e prodotto da France 2. Il film racconta la storia di una ragazza sedotta dal radicalismo religioso e degli sforzi della sua famiglia per aiutarla.
Secondo la giuria, il film è “scritto con precisione, impersonato in maniera molto convincente dal suo cast, il film sviluppa un tema complesso parlando alle emozioni di un pubblico ampio”.
Il regista Xavier Durringer ci spiega quale messaggio voleva mandare con questo film.
Da dove è nata l’idea?
Tre anni fa, nel 2013, una ragazza che viveva vicino Avignone decise di unirsi all’ISIS; era su tutti i giornali. Due scrittori hanno scritto una storia basata su questo avvenimento. Il produttore mi ha dato il copione e io ci ho lavorato.
È la lotta di una madre per salvare sua figlia, ma volevo anche mostrare con chiarezza che questo è qualcosa che non coinvolge solo i musulmani. Volevo cambiare prospettiva ed evitare di mostrare il tipo di famiglia musulmana che ci viene mostrata di solito, quella che vive nelle periferie, profondamente osservante dal punto di vista religioso ecc. Volevo che la madre fosse una dottoressa con un buon lavoro, che fosse divorziata, e bevesse vino. Il padre della protagonista è religioso, ma non un estremista; le amiche della ragazza non indossano l’hijab. Ci sono tante persone così in Francia, ma noi mostriamo sempre un’immagine diversa. Volevo cambiare il modo di raccontare questo tema.
Troppo spesso mostriamo le persone musulmane che vivono qui nel nostro paese come povere, senza speranza, ma invece un’elevata percentuale di quelli che partono per la Siria vengono dalla classe media o alta, e il 40 per cento sono musulmani convertiti da poco. Le donne costituiscono una grande fetta di coloro che decidono di partire.
Molti decidono di andare a causa di ciò che vedono su internet; alcuni giovani si convertono letteralmente nel giro di giorni. Volevo mostrare questa storia esattamente come si rappresentano storie di abuso di droga o storie di sette religiose.
Come si è mosso per affrontare un tema così delicato?
Ho conosciuto molte persone e incontrato fratelli, sorelle e madri di persone che sono partite per la Siria. In aggiunta, conosco bene il Corano e la religione islamica.
Questo è un film comportamentale; cerca di rispondere ad alcune domande: cosa fare quando i propri figli si comportano così? Come si può capire che vogliono partire?
Purtroppo, ho anche incontrato tante persone che non hanno saputo leggere i segnali per tempo.
Qual è stata la risposta del pubblico?
Una volta, ho incontrato una madre che mi ha detto che se avesse visto prima questo film, allora suo figlio non sarebbe morto in Siria.
Più di sei milioni di persone hanno visto questo film in Francia; lo abbiamo anche proiettato in parlamento. Ora, è diventato obbligatorio nelle scuole.
Ho diretto molti film e fiction, ma questa è la prima volta che penso che una fiction possa aiutare le persone, sia i genitori sia i figli. Volevo che questo film mostrasse quello che accade realmente.
Qual è stata la maggiore difficoltà?
La cosa più difficile è stata evitare di sbagliare. Immagini se un ragazzino decide di andare in Siria, vede il film e non ci crede. In quel caso, io commetto un errore.
Quando si è il primo a realizzare un film come questo, si hanno delle grandi responsabilità sociologiche e politiche.
Infine, un commento sulla menzione speciale ricevuta al Prix Italia di quest’anno.
Premi e menzioni speciali sono importanti per accrescere la consapevolezza. La storia che racconto in questa fiction, non è solo un problema della Francia, è un problema mondiale.