Se è vero che la realtà virtuale è sul punto di entrare pienamente nel reame del giornalismo, il Guardian ha fatto un grande passo ad aprile ed ha lanciato una app sul carcere in isolamento, che chiunque può scaricare gratuitamente sul proprio smartphone.
Si chiama 6x9 e permette agli utenti, con o senza visore in cartone, di entrare in una cella di isolamento e di sperimentare come ci si sente. L’esperienza è accompagnata da suoni e storie raccontate da sei persone che hanno trascorso tempo in isolamento.
Abbiamo parlato con Francesca Panetta, direttrice dei progetti speciali per Guardian News & Media.
Come è nata la decisione di creare 6x9?
Il mio lavoro al Guardian è direttrice dei progetti speciali, un ruolo fatto per sperimentare nuove forme di narrazione. Ero interessata alla realtà virtuale come forma narrativa e a lungo avevo riflettuto su cosa si potesse fare. Contemporaneamente in ufficio discutevamo di isolamento. In realtà è un tema che abbiamo trattato molto in passato. Il nostro capo redattore Ed Pilkington aveva coperto la storia di Albert Woodfox, uscito dall’isolamento di recente, dopo 43 anni. In ufficio stavamo parlando di realizzare un progetto sull’isolamento con svariate componenti. Alla fine si è materializzato 6x9.
Quali sono state le maggiori difficoltà?
È stato un progetto molto complicato per molti aspetti – non avevamo mai fatto un pezzo in CGI o in motore di gioco. Abbiamo chiesto a The Mill se volessero lavorare con noi al progetto e loro hanno finito con l’investirci, rendendo il progetto una vera collaborazione. Sono anche stati molto attenti all’integrità necessaria per il lavoro. Si trattava di giornalismo, non di un gioco e dall’inizio ci siamo chiesti cosa questo significasse per il prodotto. Ho inviato le immagini in 2D della cella alle persone che ho intervistato e che erano state in isolamento per verificare che fossero simili alle loro celle. Abbiamo chiesto ad uno psicologo di guardare il pezzo per controllare se i sintomi che rappresentiamo fossero stati presentati in maniera accurata.
Quali sono i pro e i contro di esperienze “di immersione” nel proporre notizie?
Per quanto riguarda i pro, (la realtà virtuale) è incredibilmente viscerale e diretta. Se la narrazione della storia trae beneficio dalla presenza dello spettatore nel luogo in cui accade, può essere un mezzo molto potente.
D’altro canto, attualmente non è un’opzione economica e richiede molto tempo. Ma tutto ciò cambierà rapidamente. Anche per quanto riguarda la distribuzione, al momento non tutti possiedono un casco per realtà virtuale, ma anche questo cambierà man mano che la tecnologia si evolve.
Qual è il valore aggiunto di questo tipo di narrazione?
È un modo molto diverso di raccontare una storia – ha una dimensione spaziale. Colloca lo proprio lì. Non è rilevante per tutte le storie ma quando lo è, è un enorme valore aggiunto.
Lei pensa che la realtà virtuale potrebbe essere la prossima frontiera del giornalismo? Quanto è sostenibile non solo tecnicamente ma anche in termini di costo e di etica?
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, al momento non è facile realizzare prodotti come 6x9, ma sono possibili lavori più semplici. La maggior parte delle testate produce video in 360 gradi, che sono meno complicati da realizzare. E, con il tempo, penso che il processo in generale diventerà meno costoso.
Credo che l’etica rimanga la stessa per ogni tipo di giornalismo. Occorre decidere se si stanno presentando storia e protagonisti correttamente. Tutto il giornalismo in una certa misura è intrinsecamente modificato e costruito. Un articolo scritto viene realizzato con attenzione includendo personaggi e citazioni. Non credo che la realtà virtuale possa avere problemi differenti in termini di etica, semplicemente è una forma nuova e di conseguenza le regole di base e i codici di condotta ancora non sono ancora definiti.
Pensa che la realtà virtuale e le esperienze “di immersione” potrebbero migliorare il modo di raccontare quello che accade nei punti chiave del percorso intrapreso dai migranti?
Sì. Si possono immaginare molti pezzi in realtà virtuale sul tema della migrazione. Sarà certamente una grande storia durante l’anno e sono sicura che vedremo molti pezzi di realtà virtuale sull’argomento.
Quali sono i progetti futuri del Guardian per quanto riguarda la realtà virtuale e il giornalismo “di immersione”?
6x9 è stato un esperimento – una prova di fattibilità. Ha funzionato in termini di giornalismo ed è stato uno strumento efficace per raccontare una storia che ci interessa.
Abbiamo una reputazione per l’essere all’avanguardia in termini di innovazione digitale e sperimentiamo regolarmente con le diverse forme che il nostro giornalismo può assumere – tra cui la realtà virtuale – e non vediamo l’ora di esplorare ancora di più il potenziale di questa tecnologia.