Soli lungo la strada: raccontare le storie dei minori migranti non accompagnati


Foto di Mstyslav Chernov
 
I minori rappresentano una percentuale cospicua del numero di migranti che hanno raggiunto l’Italia dall’inizio del 2016. Secondo Michele Prosperi, responsabile comunicazione di Save The Children Italia, “dall’inizio dell’anno dei 66,000 migranti che sono arrivati in Italia, circa 10,000 sono minori e di questi 9,000 non accompagnati”.

La maggior parte di loro hanno 16 o 17 anni, ma ci sono anche ragazzini di 9 e 10.

I rischi ed i pericoli che affrontano durante il viaggio, ma anche quando arrivano a destinazione, sono diversi rispetto a quelli incontrati da minori che viaggiano con le proprie famiglie.

Secondo Valerio Neri, direttore generale di Save The Children Italia, molto dipende anche dal paese da cui provengono. “Se arrivano dall’Egitto, solitamente il legame con la famiglia rimasta a casa è forte, spesso sono le famiglie stesse che li mandano qui con un mandato preciso: arriva in Italia, trova un lavoro e inviaci i rimandaci i soldi che abbiamo investito per farti arrivare fin lì”, spiega Neri. D’altro canto un minore afgano “arriva da molto lontano e prima di raggiungere l’Italia ha visto molte cose, si è fermato in molti luoghi per racimolare il denaro necessario e il suo progetto migratorio può essersi modificato lungo il percorso”.

Al momento, come sottolinea Prosperi, la maggior parte di questi minori non accompagnati arriva dall’Egitto e dall’Eritrea.

Tuttavia tutti loro, a prescindere dal paese di origine, sono esposti al rischio di violenza e sfruttamento. “Anche qui in Italia, abbiamo casi di minori sfruttati nel settore della pornografia o della prostituzione, nello spaccio di droga o nel lavoro in nero”, spiega Neri.

Cosa succede a questi ragazzi quando arrivano in Italia?

A ogni minore, indipendentemente dal fatto che abbia fatto richiesta di asilo o sia entrato nel paese legalmente, vengono riconosciuti una serie di diritti, come quello all’istruzione o alla copertura sanitaria. Tuttavia, nella pratica la situazione per i minori non accompagnati è spesso più difficile.

Prosperi spiega che quando sbarcano sulle coste dell’Italia meridionale, solitamente vengono portati in centri di prima accoglienza, dove non sempre le condizioni sono adeguate.

Se vengono registrati, entrano in un sistema che non dà loro molte speranze, come racconta Save The Children. Normalmente devono aspettare almeno un mese nel centro di accoglienza prima che gli venga assegnato un tutore legale, a volte i tempi sono anche più lunghi. Questi ragazzi finiscono quindi in un limbo e una volta che ne escono vengono assegnati a case famiglie dislocate sul territorio italiano. Una volta compiuti i 18 anni, però, sono fuori dal sistema e se arrivano in Italia a 17 anni, allora non fanno nemmeno in tempo ad avviare il processo di integrazione.

Tuttavia, molti di loro non hanno intenzione di farsi registrare, dal momento che l’obiettivo è raggiungere le famiglie e le comunità di concittadini in Europa del Nord. Questi sono i ragazzi che scappano dai centri, scivolano tra le maglie e diventano “invisibili”.

Luoghi di speranza
(Guarda il video della nostra visita a Civico Zero a Roma qui)

Per assicurare a questi ragazzi un rifugio, cibo e consigli legali a prescindere dalla decisione da loro presa, centri Civico Zero sono nati a Roma, Torino e Milano. Accolgono minori non accompagnati senza chiedere documenti. In questo modo possono raggiungere non solo minori non accompagnati che si trovano già all’interno del sistema di accoglienza, ma anche quelli che vivono in insediamenti illegali in città o sono in transito.

Quest’ultimi tengono a passare in città solo pochi giorni, spiega Ilaria Olivieri, coordinatrice del centro Civico Zero di Roma, prima di rimettersi in viaggio. Il centro di Roma accoglie circa 1.300 minori ogni anno, con picchi tra giugno e settembre.

Nel 2015 il centro ha accolto un gran numero di minori non accompagnati afgani, che poi  è andato diminuendo una volta che hanno cominciato a seguire la rotta balcanica. Ora ospita soprattutto minori egiziani ed eritrei.

Spazi come Civico Zero sono speciali, perché non forniscono solo dei servizi, ma più di ogni altra cosa danno ai ragazzi al possibilità di riappropriarsi della loro età, assistiti da mediatori che parlano la loro lingua.

Le pareti del Civico Zero di Roma sono coperte da disegni e fotografie, la maggior parte scattate da minori che seguono il corso di fotografia. Ma ci sono anche lezioni di italiano, workshop e laboratori di teatro e scrittura. In questo modo i ragazzi possono lentamente venire a patti con la propria identità, con quello che è loro successo, e anche entrare in contatto e socializzare con altri ragazzi come loro.

“Così possono anche lasciare una traccia del loro passaggio”, dice Olivieri, che fa notare come le storie più raccontate siano quelle dei viaggi; sembra che i ragazzi sentano un bisogno quasi impellente di raccontare come sono riusciti a raggiungere l’Europa.

Questi ragazzi hanno visto così tanto e pensano di avere grandi responsabilità nei confronti delle proprie famiglie rimaste indietro, chiarisce Olivieri. Ma hanno anche dei progetti per loro stessi, per costruirsi un futuro migliore.

“Sarebbero un grande vantaggio acquisito per qualsiasi paese che voglia integrarli come cittadini”, dice Neri.

Raccontare le storie dei minori non accompagnati

Secondo Valerio Neri, un aspetto positivo è l’aumento dell’attenzione data dai media alla migrazione in generale, sia in Italia sia all’estero. Tuttavia, pensa che sarebbe importante approfondire in misura maggiore quando si parla di minori non accompagnati. “È un argomento molto specifico – dice – ed è importante essere chiari e non generalizzare”.

Benedetta Caldarulo è l’autrice di una serie di brevi radio documentari su Civico Zero per RAI Radio 3.

“Ho deciso di parlare di Civico Zero perché lavorando su storie sulla gente che lavora nel quotidiano per sradicare razzismo ho conosciuto Yves.”, racconta Benedetta. “È un artista francese, faceva il burattinaio. E arrivato a Civico ha avviato i laboratori artistici che lo distinguono da tanti altri centri di accoglienza”.

Per produrre i suoi radio doc, Benedetta ha passato molto tempo con Yves ed i ragazzi, accompagnandoli anche nelle loro gite per la città e visite ai musei. “Ho scelto come linea narrativa quella di far raccontare la propria storia a 5 ragazzi passati per Civico ma adesso maggiorenni”, spiega.

Ogni puntata ha un suo filo conduttore, e lascia parlare Mohamed che ha scoperto la fotografia; Morteza, il ragazzo afghano diventato video maker; Loni, arrivato dall’Albania e riscopertosi pittore.

“La radio si presta moltissimo, soprattutto il radio doc”, dice Benedetta. “È una forma di narrazione essenziale, che avvicina alla storia delle persone in maniera diversa dal video. C’è una maggiore intensità; e anche i ragazzi si sentono più tranquilli e parlano con maggior apertura”.

In quanto autrice, Benedetta si sentita libera di concentrare la propria attenzione sulle storie, mentre un giornalista, a suo avviso, per informare correttamente dovrebbe spiegare che tipo di processo è la migrazione, e tutto ciò che gli sta intorno.

“Siamo sempre preoccupati per ragazzini di quelle età, sia scuole sia genitori,” spiega, “ma questi ragazzi hanno avuto una vita così dura che non li consideriamo più persone in formazione, ma un problema da risolvere. Invece attenzione nei confronti di adolescenti è tutto”.