Nel nostro viaggio alla scoperta della realtà virtuale e del suo impatto sul giornalismo, abbiamo parlato con una pioniera della realtà virtuale, Nonny de la Peña. È conosciuta in tutto il mondo per il suo lavoro nel giornalismo “di immersione”, che le è valso il soprannome di “madrina della realtà virtuale”. È anche a capo dell’Emblematic Group, una compagnia di realtà virtuale di base a Los Angeles, che crea contenuti per l’Oculus Rift e altri sistemi di visualizzazione.
La realtà virtuale è la prossima frontiera del giornalismo?
È sicuramente una nuova frontiera, ed è sicuramente più “di immersione” rispetto ad altri media. Cattura completamente l’attenzione, come nessun altro schermo può fare. Non si può distogliere lo sguardo per controllare i propri messaggi e non lo si vuole fare comunque; la mente gioca inganna il corpo facendogli credere di essere in qualche altro luogo; è un qualcosa di ipnotico. Non è il modo migliore per raccontare qualsiasi tipo di storia; ma per alcuni tipi di narrazione, in cui collocare lo spettatore all’interno di una scena genera una risposta emotiva più potente, non conosce confronto.
Quanto è fattibile tecnicamente, ma anche in termini di costi e di etica?
Ci sono sicuramente modi per fare realizzare un pezzo a costi contenuti dal momento che la tecnologia è in continua evoluzione. Io ho creato il mio primo progetto,
La fame a Los Angeles, che per altro è stato il primo pezzo in realtà virtuale ad essere ammesso al Sundance Film Festival, per 700 dollari. Ma per farlo ho dovuto contare su molti favori, alcune persone per esempio hanno “donato” personaggi animati che ho collocato nell’ambiente in CG che avevo costruito. All’estremo opposto, abbiamo creato pezzi che costavano centinaia di migliaia di dollari, dove il denaro veniva speso per dettagli come un corpo di qualità molto alta e scansioni facciali e animazione per i personaggi, così come per le troupe cinematografiche che riprendevano sul posto, con tutti i costi e le caratteristiche di una ripresa tradizionale. Si possono realizzare grandi cose ad entrambi gli estremi dello spettro, ma ciò dipende dalle specificità della scena che si sta creando. È più economico ricreare una notte piovosa di quanto lo sia una folla di gente in un ambiente iper-dettagliato in cui si può passeggiare.
Quali sono i pro ed i contro di esperienze “di immersione” quando si tratta di notizie?
I pro sono che lo spettatore ha molta più esperienza “di immersione” rispetto a quando guarda qualcosa su uno schermo in 2D. Nella realtà virtuale, l’utente può esplorare lo scenario, muoversi al suo interno, vedere dettagli diversi da differenti angolazioni. Ma soprattutto, lei o lui sente una risposta emotiva forte grazie alla sensazione di “essere presente” all’interno della storia.
Per quanto riguarda le insidie, gli aspiranti registi di realtà virtuale si trovano di fronte ad una sconcertante serie di attrezzature per la ripresa, piattaforme e hardware per visualizzazione, con nuovi prodotti lanciati ogni giorno. Dunque è complicato, ed è anche costoso. Ma tutto ciò cambierà molto rapidamente nel prossimo futuro.
Quando la realtà virtuale diventa troppo?
Come ogni altra forma di media, la realtà virtuale potrebbe naturalmente essere utilizzata in modo sbagliato. Qualcuno, potrebbe, per esempio, deliberatamente ricreare una falsa versione degli eventi; dal momento che l’esperienza è così “di immersione”, potrebbe essere abbastanza convincente. Come lo si può prevenire? Essendo il più scrupolosi possibile nei nostri standard e nelle nostre tecniche. In alcuni dei nostri pezzi, per esempio, abbiamo utilizzato registrazioni reali di chiamate al 911 come traccia audio, nonché reali prospetti architettonici di edifici in cui si sono svolti gli eventi. Stiamo cercando di esplorare le modalità migliori per utilizzare la realtà virtuale in ambito giornalistico, per stabilire degli standard che rendano più difficile far passare la disinformazione.
Cosa pensa che possa significare giornalismo “di immersione” quando si tratta di raccontare storie come la cosiddetta crisi di migrazione?
Sto cercando di dar vita ad un nuovo tipo di giornalismo: ci sono alcune storie che vengono raccontate meglio con questo mezzo piuttosto che con qualunque altro, e voglio raccontare tutte quelle che posso.
Project Syria, in particolare, parla della crisi dei rifugiati siriani. Riesce a generare un incredibile senso di empatia con i personaggi e le situazioni, a causa di quella sensazione di “presenza”, di essere veramente lì sulla scena. Project Syria è stato commissionato dal World Economic Forum per essere mostrato a Davos nel 2014, da lì poi siamo stati invitati a configurarlo al Museo V&A per tre giorni. Senza alcuna attività di marketing o promozione – c’erano letteralmente solo persone capitate per caso al museo che avevano visto questo strano aggeggio nella stanza degli arazzi e si erano avvicinate per curiosità – ha generato cinquantaquattro pagine di commenti nel libro degli ospiti. Erano tutti estremamente positivi e molti rimarcavano lo stesso punto: vedere qualcosa così è molto più coinvolgente che vederlo al telegionale.
Alcuni dicono che la realtà virtuale non è ancora diventata la svolta dell’anno e che nessuno ha creato una “killer app” e c’è da considerare il costo dei caschi. Quali saranno i passi successivi?
Il Gartner Group stima che ci saranno 25 milioni caschi sul mercato entro il 2018, per cui la realtà virtuale diventerà senza dubbio una componente fondamentale di notizie ed intrattenimento. Per quanto riguarda le notizie, per esempio, si vedranno le scene di grandi storie sottoposte a scansione, ed il pubblico sarà in grado di andarci “dentro” piuttosto che guardarle su uno schermo. Il movimento sarà un parte ancora più grande dell’esperienza rispetto a quello che già è, dal momento che i caschi più recenti permettono di spostarsi all’interno dello spazio, piuttosto che restare seduti o in piedi nello stesso punto. Sarà una bella sfida per i video in 360 gradi; sebbene oggi sia uno dei temi centrali del dibattito, per il grado di realismo che fornisce, non permette all’utente di camminare all’interno di un’esperienza “di immersione”. Entro il 2018 avremo una soluzione ibrida, che combini il realismo dei video a 360 gradi con le possibilità volumetriche e di “immersione” di CG e di piattaforme di gioco come Unity e Unreal.