Una prospettiva "senza cornici" per superare i confini


Screenshot di No Borders, per gentile concessione di Haider Rashid

No Borders, del regista italo-iracheno Haider Rashid e narrato dall’attore Elio Germano, è il primo film italiano girato in realtà virtuale a 360 gradi, filmato tra il Centro Baobab di Roma e il centro No Borders di Ventimiglia. Di recente ha vinto il Premio MigrArti come Miglior Documentario alla Mostra del Cinema di Venezia.

Abbiamo parlato con il regista, Haider Rashid, della prospettiva che ha scelto di utilizzare e delle sfide del girare un documentario a 360 gradi.

Si tratta di un tema affrontato, giustamente, da molti. Che tipo di approccio hai scelto?

Sicuramente c’è un elemento di interesse personale; essendo mio padre fuggito dall’Iraq nel 1978, ho una sorta di “ossessione” rispetto a questo tema, quasi sentissi che è un mio dovere. Già in passato mi sono occupato di questioni di identità, fa parte del mio percorso.

In questo caso, avevo notato che c’era molta attenzione, giustamente, sulla storia dei migranti, ma spesso non veniva preso in considerazione il lavoro dei volontari e degli attivisti.

L’anno scorso ho iniziato a frequentare il Centro Baobab, a Roma, e ho scoperto un mondo incredibile di volontariato che non conoscevo. Mi ha affascinato molto, perché mi ha dato fiducia nella cittadinanza e nel paese.

Occorre dare spazio a queste azioni spontanee, allo stesso tempo interrogandosi sul senso delle frontiere. Perché gli esseri umani dovrebbero essere rinchiusi dentro dei confini? Le frontiere hanno un senso politico ed economico perché così è stato deciso, ma non c’è alcun motivo sociale e biologico per cui una persona non possa spostarsi per avere una sua dignità.

Come mai hai scelto di girarlo a 360 gradi?

Sono due anni che lavoro con questa tecnologia, nel tentativo di unire documentario e realtà virtuale.

Credo possa fornire una chiave di lettura importante e possa anche far capire al pubblico quanto sia semplice includere o escludere alcune verità all’interno di un frame. Farlo con un “non frame” a 360 gradi è più difficile.

Quali sono le maggiori differenze rispetto a delle riprese “ordinarie”?

La differenza dal punto di vista artistico è disarmante. È un’altra arte, non valgono le regole del cinema, la scrittura e la costruzione del lavoro sono diverse.
Venendo dal cinema classico avevo quel tipo di struttura, ma ho tentato di abbracciare il nuovo mezzo. Alcune scelte di montaggio derivano dal tipo di materiale, ma allo stesso tempo mentre si gira un documentario c’è molto poco che si possa controllare.

Quali aspetti delle storie con cui sei entrato in contatto ti hanno colpito di più?

Ho parlato con molti migranti e volontari, ma a restare con me è più l’impressione di movimento in generale che le singole persone in particolare. Dalla necessità di aiutare le persone si creano gruppi che nascono solo sulla base di fiducia e aiuto reciproco; i volontari stessi vengono aiutati.

Ho visto molti ragazzini di 13 o 14 anni, che allo stesso tempo mi hanno riempito di felicità e mi hanno spezzato il cuore. Viaggiare da soli a quell’età è atroce. A un ragazzino al centro Baobab a Roma abbiamo dato una macchina fotografica, ha fatto foto meravigliose. Il 90 per cento delle persone che arrivano potrebbero contribuire enormemente, basterebbe accoglierli e dare loro i mezzi giusti per farlo.

Cosa possiamo aspettarci dal futuro secondo te? Continuerai a occuparti di questo tema?

La mia impressione è che non ci sia una svolta positiva. Vorrei poter pensare che verrà fatto il possibile per non continuare a trattare le persone come bestie ma non vedo volontà di farlo. Non è tollerabile per una società moderna; se smettessero i volontari sarebbe una tragedia.

Sento che è un mio dovere parlarne, non riesco e non voglio sfuggire da questi temi. Ho altri progetti di film e lungometraggi sul tema dell’immigrazione e dell’identità e poi cercheremo di portare No Borders in giro il più possibile.

La migrazione è il tema del momento, ma non deve essere trattato come una moda, avrà un impatto sui nostri paesi da qui ai prossimi venti anni. Sono temi che vanno gestiti ora o sarà troppo tardi.