Uno sguardo dietro le quinte: I documentari della BBC


La radio è entrata nella sua età dell’oro, parola di Robert Ketteridge, a capo della Arts, Documentaries and Drama Production della BBC.

Ketteridge supervisiona un dipartimento che è uno dei principali fornitori di contenuti all’interno dell’azienda. La squadra che si occupa dei documentari radiofonici include circa 12 giornalisti che lavorano a documentari per BBC radio 2, 3, 4 e il World Service.
Al loro fianco, c’è anche un ampio team di produttori di radio drammi, che lavorano per BBC Radio 4 e 3, e il team di Birmingham, che produce programmi come “The Archers” e “Home Front”.

Abbiamo chiesto a Ketteridge di parlarci dei momenti salienti di questi ultimi anni in cui l’innovazione sta dando un nuovo volto alla radio.

Come lavora il team di documentaristi di cui si occupa? Quali temi affronta?

I giornalisti del team sono tutti di base a Londra e producono centinaia di documentari radiofonici ogni anno. Per quanto riguarda gli argomenti che affrontano, lo spettro è molto ampio e di stampo generalista, anche se ogni singolo producer può essere specializzato in un determinato campo.

Gran parte del lavoro che facciamo si concentra su documentari “di interesse umano”, poi ci sono quelli su arte e cultura e questioni sociali. Sono questi i nostri punti di forza.

Può farci qualche esempio?

L’anno scorso abbiamo lanciato una nuova serie innovativa, “The Untold”, presentata da Grace Dent. Qui le storie vengono raccontate in prima persona, documentando i drammi dimenticati dell’Inghilterra del ventunesimo secolo. È davvero un ottimo esempio di come si possano sperimentare soluzioni sempre nuove per trattare l’audio e per trovare stili narrativi innovativi.

Passando a un argomento completamente diverso, abbiamo anche prodotto “History of the world in 100 objects” (La storia del mondo in 100 oggetti), in partnership con il British Museum, una serie in 100 puntate narrate da Neil MacGregor, il direttore del famoso museo.

Per l’anno prossimo, stiamo lavorando a una serie in 30 puntate su “Fede e società”, sempre utilizzando come punto di partenza alcuni oggetti conservati al British Museum.

Come è cambiato il mondo dei radio documentari nel corso degli ultimi anni?

È senza dubbio cambiato molto da quando ho iniziato a rivestire questo ruolo. Credo che l’ascesa dei podcast sia stato il cambiamento di maggiori; è un fenomeno nato negli Stati Uniti e poi ha visto un interesse crescente anche nel Regno Unito e in altri paesi europei.

Uno degli aspetti più interessanti è stato l’aumento della competizione, soprattutto per catturare l’attenzione degli ascoltatori più giovani, che sono ormai abituati ad ascoltare podcast.

Produzioni come “Serial” o “Welcome to Night Vale negli Stati Uniti portano avanti l’innovazione nello stile, nei formati, nel modo in cui si rapportano al pubblico. Il fatto di non essere limitati dai palinsesti della radio lineare permette una maggior libertà e lascia più spazio all’innovazione. È qualcosa che non possiamo ignorare. Ha dato vita a nuovi modi di concepire sia i documentari sia i drammi radiofonici.

Come avete lavorato con i podcast nel suo dipartimento e qual è stato il feedback del pubblico?

Alcuni dei nostri documentari hanno grande successo in podcast, per “History of the World in 100 objects” abbiamo avuto milioni di download, e la stessa cosa vale per il radio dramma “The Archers”.

Stiamo sperimentando e andando per tentativi. Ci facciamo costantemente una domanda: possiamo produrre qualcosa che possa funzionare in maniera brillante in uno spazio digitale oltre che sulla radio tradizionale?

Ci sono molti programmi che vanno in questa direzione, per esempio, “Seriously…”  su BBC Radio 4, che cerca di presentare documentari su temi inusuali e più adatti a un pubblico giovane. Cerchiamo sempre di andare oltre e sperimentare nuove forme di storytelling.

Alcune persone stanno addirittura provando modo di presentare audio documentari in modo teatrale. Sono prodotti piuttosto di nicchia, ma è qualcosa di nuovo, che 15 anni fa non si vedeva al di fuori di eventi come il Prix Italia per esempio.

A che punto è la radio rispetto ad altri media e cosa possiamo aspettarci per il futuro?

Secondo me, l’audio è all’avanguardia. Direi che l’entusiasmo nato intorno ai podcast ha inaugurato un’età dell’oro per i documentari radiofonici.

L’offerta da parte di emittenti affermate in tutta Europa non è mai stata più forte ed è uno spettacolo davvero rincuorante. I produttori giovani e appassionati sono numerosi.
La radio è in testa rispetto ad altri media per quanto riguarda l’esplorazione delle potenzialità del digitale. Stiamo iniziando a trovare nuove forme e linguaggi per produzioni creative in digitale e tutto quello che facciamo viene riassorbito come feedback in altri lavori innovativi.

Ovviamente, abbiamo davanti alcune sfide e dobbiamo davvero concentrarci su un pubblico più giovane, ma sono molto positivo.