Oggi si chiama fiction, una volta si chiamavano sceneggiati televisivi.
Raccontavano storie che, il più delle volte, erano tratte da romanzi molto famosi, non necessariamente italiani.
La RAI ha un passato e un presente assai gloriosi in questo campo, perché ne ha prodotti e coprodotti a centinaia.
Molti di questi hanno lasciato il segno.
Per esempio, chi non ricorda quel capolavoro assoluto che fu il "Pinocchio" diretto da Luigi Comencini e che vedeva il grandissimo e ineguagliato Nino Manfredi nelle vesti di Geppetto?
Correva il lontano 1972.
Era il 19 Settembre.
Quel giorno andò in onda la prima puntata e milioni e milioni d'italiani amarono quella storia raccontata con tanta umanità e commozione.
Cinque puntate nelle quali lo sguardo furbo di Andrea Balestri (Pinocchio) ipnotizzò noi telespettatori e dove la bravura e la misura di Nino Manfredi resero "Pinocchio" lo sceneggiato per eccellenza della televisione italiana.
Il "direttore d'orchestra" che creò con tanta sapienza questa pietra miliare della produzione televisiva era il maestro Luigi Comencini.
E non è la nostalgia a farci parlare così, perché la nostra televisione ha prodotto moltissimi altri sceneggiati di grande valore professionale e di forte impatto emotivo.
Infatti, "Pinocchio", realizzato nel 1971 e andato in onda l'anno successivo, è solo uno dei tanti prodotti eccellenti della nostra TV.
Con la nascita della televisione si può dire che siano nati anche gli sceneggiati.
Il primo cosiddetto originale televisivo prodotto e trasmesso dalla RAI, andò in onda il 26 Gennaio del 1954.
S'intitolava "La domenica di un fidanzato" ed era interpretato da Bianca Toccafondi e da Giorgio De Lullo.
Da quel momento in poi, la produzione RAI non si arrestò più.
Ma ciò di cui ci occuperemo noi sono gli sceneggiati degli anni '70, probabilmente quelli che hanno il carattere sperimentale più marcato e che nel nostro paese hanno avuto un fortissimo impatto culturale.
"Il cappello del prete", con Luigi Vannucchi come protagonista, va in onda il primo giorno di Febbraio del 1970.
Il nuovo decennio è appena cominciato e la televisione, tutto sommato, è un mezzo di comunicazione relativamente giovane.
Forse è proprio per questo che le storie che si raccontano con gli sceneggiati hanno il sapore della sperimentazione, come per esempio "Il segno del comando", del 1971, oppure "A come Andromeda", del 1972.
Proprio in "A come Andromeda" troviamo nuovamente Luigi Vannucchi come protagonista nel ruolo del dottor Fleming, mentre al suo fianco nel ruolo di Judy Adamson c'è una giovane Paola Pitagora (già vista nel celeberrimo "I promessi sposi" del 1967 per la regia di Sandro Bolchi).
E'interessante che la scelta del soggetto sia caduta su un romanzo di fantascienza (A come Andromeda di Fred Hoyle e John Elliot), tratto da un testo fantascientifico scritto per il piccolo schermo dagli stessi Hoyle ed Elliot alcuni anni prima.
I due autori crearono la serie "A for Andromeda", realizzata nel 1961 dalla BBC inglese in sette puntate, che in Italia non arrivò mai.
Ma quando il romanzo tratto dal soggetto di Hoyle ed Elliot uscì anche da noi, Inisero Cremaschi, scrittore, ne fece l'adattamento per la TV di Stato.
E la RAI realizzò questo sceneggiato esplorando una realtà nuova, non ovvia né conosciuta, come fino ad allora era capitato.
Infatti, il più delle volte, i romanzi sceneggiati erano tratti da famosissimi romanzi che erano veri e propri punti di riferimento letterario e culturale.
Questa scelta ardita e originale verrà premiata, perché "A come Andromeda" verrà seguito da oltre sedici milioni di telespettatori.
Il regista era Vittorio Cottafavi e gli attori, oltre ai due protagonisti già citati, provenivano dal teatro e dal cinema, come per esempio il famosissimo Tino Carraro, Giampiero Albertini e Gabriella Giacobbe.
Il ruolo di Andromeda, interpretato da Nicoletta Rizzi, fu sulle prime affidato a Patty Pravo, che girò per un mese circa, ma poi lasciò il set.
Non se ne seppero mai i motivi.
Fatto sta che tutte le scene girate dalla cantante dovettero essere girate nuovamente dalla nuova interprete.
"Il segno del comando", sceneggiato in cinque puntate che andò in onda nel 1971, è una storia a metà fra il giallo e il fantastico, con una spruzzata di soprannaturale.
Ugo Pagliai e Carla Gravina ne erano i protagonisti, la regia era di Daniele D'Anza.
Grande ispiratore de "Il segno del comando" è stato sicuramente lo sceneggiato francese "Belfagor", andato in onda nel nostro paese a metà degli anni '60.
Lo script de "Il segno del comando" fu preso in considerazione nel 1970, ma era stato concepito l'anno prima da un team di sceneggiatori.
Quando la RAI decise di realizzarlo, puntò moltissimo sulla componente magica e un po' horror che, infatti, inchiodò davanti al teleschermo circa quindici milioni di telespettatori per ogni puntata, decretando
così un grande successo di pubblico e ottenendo un altissimo indice di gradimento.
"Il segno del comando" aprì le porte al soprannaturale che ritroveremo, per esempio, in "Ritratto di donna velata", del 1974, e ne "La baronessa di Carini", del 1975.
La sigla finale de "Il segno del comando" era la bellissima canzone "Cento campane", entrata a pieno diritto fra i motivi intramontabili della tradizione romanesca.
L'autore, Fiorenzo Fiorentini, la compose nel 1952.
Un importante sceneggiato del 1971 fu "La vita di Leonardo Da Vinci" con la regia di Renato Castellani.
Il protagonista, Philippe Leroy, ricevette la nomination al premio Emmy del 1973 per la sua ottima interpretazione del genio toscano.
Record di ascolti, come diremmo oggi, l'ebbe il famosissimo "E le stelle stanno a guardare", sempre del 1971, diretto da Anton Giulio Majano, tratto dal romanzo di Cronin, che inchiodò davanti al video una media di diciotto milioni di telespettatori.
Anna Maria Guarnieri, Giancarlo Giannini, Orso Maria Guerrini, Anna Miserocchi, Adalberto Maria Merli sono solo alcuni degli attori che presero parte a questa grande operazione produttiva della RAI.
Raccontava la vita dei minatori nell'Inghilterra degli anni '20 e quasi tutte le location furono ricostruite in studio, persino la miniera stessa.
Bellissime le musiche del grande compositore Riz Ortolani.
Un discorso a parte meritano le varie serie (quattro per l'esattezza) dedicate al commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi (già notissimo per la saga cinematografica che lo vedeva nel ruolo di Peppone al fianco del francese Fernandel che vestiva i panni di Don Camillo).
Le serie di Maigret andarono in onda dal 1964 al 1972 e furono viste da circa diciotto milioni di persone.
Ovviamente Maigret godeva dell'immensa fama dei romanzi di Simenon, ma sicuramente ebbe in Gino Cervi un interprete perfetto.
Le prime due serie, realizzate negli anni sessanta, furono girate quasi esclusivamente in interni, ricostruendo gli esterni nei teatri di posa, a parte la sigla iniziale girata a Parigi.
Le due serie successive, fra il 1968 e il 1972, godranno di una maggiore verità , comprendendo più sequenze girate in esterno.
Nel ruolo della signora Maigret c'era Andreina Pagnani e, nei vari episodi fecero la loro comparsa attori come Arnoldo Foà, Leopoldo Trieste, Cesco Baseggio, Gian Maria Volonté, Anna Mazzamauro, Marisa Merlini e molti altri.
Simenon affermò che il Maigret di Gino Cervi era quello che più si avvicinava alla sua idea del personaggio, vincendo il difficilissimo confronto con Jean Gabin.
Un altro futuro scrittore straordinario partecipò come responsabile della produzione alla realizzazione di alcuni episodi: Andrea Camilleri.
"Il commissario De Vincenzi" con Paolo Stoppa protagonista, raccontava tutt'altro tipo di commissario.
La storia era ambientata negli anni trenta, sotto il fascismo, e le sceneggiature di Manlio Scarpelli, Paolo Barberio ed altri autori, erano tratte dai romanzi di Augusto De Angelis, creatore del personaggio.
De Angelis, tacciato di antifascismo, morì nel 1944 in seguito alle percosse ricevute proprio nel corso di un'aggressione fascista.
Il commissario De Vincenzi, il personaggio che aveva creato, fu protagonista di ben quindici romanzi scritti dal 1935 al 1942.
Lo sceneggiato andò in onda in due stagioni, nel 1974 e nel 1977, per la regia di Mario Ferrero.
Ma torniamo alla fantascienza!
Un altro sceneggiato molto importante seguì la scia fantascientifica aperta dal fortunatissimo "A come Andromeda".
Il suo titolo era "Gamma" e il protagonista era Giulio Brogi.
"Gamma" è il nome del cervello che viene trapiantato nella testa di Jean Delafoy (il protagonista interpretato da Brogi) che, in seguito a un incidente automobilistico, perde la vita.
il professor Duval, interpretato da Sergio Rossi, effettua il trapianto di Gamma, cervello 'vergine' privo di memoria e di dati di qualunque tipo.
La sfida sarà quella di ricostruire la personalità di Jean Delafoy.
Ad occuparsene sarà la dottoressa Mayer, interpretata da Nicoletta Rizzi (già Andromeda nello sceneggiato del 1972).
Com'è comprensibile, il tema trattato fu considerato piuttosto sconvolgente e una regia sapiente seppe creare la suspense necessaria pervadendo d'angoscia il racconto che si dipanava in quattro episodi.
Il regista era Salvatore Nocita che, nel 1977 firmerà un altro bellissimo sceneggiato televisivo: "Ligabue" con Flavio Bucci.
"Gamma" fu girato perlopiù negli studi RAI di Torino e in Francia.
Ed ora, un paio di parole in più sul bellissimo "Pinocchio" di Luigi Comencini.
E' importante dire che alla sceneggiatura lavorò, insieme allo stesso Comencini, una grande scrittrice di cinema: Suso Cecchi D'Amico.
Andrea Balestri (Pinocchio) e gli altri bambini del cast erano tutti non professionisti, mentre gli altri attori, a cominciare dal grande Nino Manfredi di cui abbiamo già parlato, erano tutti pezzi da novanta del cinema e della televisione.
Basti pensare a Gina Lollobrigida nel ruolo della Fata Turchina, o a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nel ruolo del Gatto e la Volpe e dell'ineguagliabile Vittorio De Sica nel ruolo del giudice.
La curiosità intorno a questa grande produzione della RAI riguarda i rapporti non proprio idilliaci tra Andrea Balestri e Gina Lollobrigida.
L'attrice chiese persino, a metà lavorazione, che il ragazzino fosse sostituito, mentre il provino in base al quale Balestri fu scelto pare sia consistito nel tirare una martellata al ritratto dell'attrice.
Cose che, sembra, lui fece con gran vigore!
E quando il piccolo Pinocchio doveva versare calde lacrime sulla tomba della Fata Turchina, pare che avesse un blocco totale senza riuscire a dispiacersi nemmeno per finta.
Le lacrime sgorgarono quando il padre gli mollò un ceffone in piena faccia, o almeno così narra la leggenda che noi, francamente, speriamo che sia, appunto, solo leggenda.
Assolutamente meravigliose le musiche di Fiorenzo Carpi, fra le più note ed amate della TV.
"Pinocchio" rimane ancora oggi una delle più belle e importanti produzioni della RAI.
Cinque puntate da un'ora l'una (a differenza delle puntate di oggi che durano ben 100 minuti!) che cambiarono la storia dello sceneggiato televisivo nel nostro paese.
Abbiamo citato prima "Ligabue" che, pur essendo di sole tre puntate, lasciò potentemente il segno, soprattutto grazie alla strepitosa interpretazione di Flavio Bucci (allora trentenne) che diede del pittore un'immagine forte e allo stesso tempo indifesa e visionaria.
Nei titoli di testa si legge: "Ispirato dal racconto in versi di Cesare Zavattini", che ne firmò anche la sceneggiatura alla quale collaborò Arnaldo Bagnasco.
"Ligabue" è del 1977 e Salvatore Nocita, come abbiamo detto, ne firma la regia.
Le musiche sono di Armando Trovaioli.
Tornando indietro di qualche anno, e precisamente al 1973, vale la pena citare le sei puntate di "Eleonora" sceneggiato che vede protagonista Giulietta Masina nel ruolo di una donna dell'alta borghesia milanese nella metà del diciannovesimo secolo.
Insieme alla Masina (che sarà protagonista anche di un altro sceneggiato di buon successo dal titolo "Camilla" nel 1976), nel ruolo del pittore scapestrato per cui Eleonora perderà la testa c'era Giulio Brogi, mentre la regia era affidata a Silverio Blasi.
Rimaniamo a Milano ma facciamo un salto nel XIV secolo con un grandissimo sceneggiato: "Marco Visconti".
Anton Giulio Majano firmò la regia di questa splendida storia tratta dall'omonimo romanzo storico di Tommaso Grossi che vantava un cast eccezionale con Raf Vallone e due giovani attori che avrebbero segnato la storia del teatro italiano: Gabriele Lavia e Pamela Villoresi.
Il ruolo di Tremacoldo fu interpretato da Herbert Pagani, cantante, attore, poeta, scrittore e pittore, famoso per aver adattato in italiano la canzone "Les amants d'un jour" (Albergo a ore), che qui firmò anche la colonna sonora.
"Qui squadra mobile", del 1973, era uno sceneggiato poliziesco il cui protagonista, Giancarlo Sbragia, interpretava il ruolo del commissario Antonio Carraro ed era affiancato da Orazio Orlando, nel ruolo di Fernando Solmi, responsabile della omicidi.
La regia era ancora di Majano e le storie si ispiravano a veri fatti di cronaca nera accaduti nei primi anni settanta.
Visto il successo della serie (6 puntate), fu fatto un sequel che però non ebbe più come protagonista Sbragia, che era impegnato in teatro, ma Luigi Vannucchi.
Sempre del 1973 è "E.S.P." con Paolo Stoppa, Marzia Ubaldi e Omero Antonutti, ispirato alla vita di Gerard Croiset, un veggente olandese.
Evidentemente "Il segno del comando" di cui abbiamo parlato prima aveva lasciato il segno e il paranormale era argomento assai stuzzicante per i telespettatori!
"E.S.P.", che significa Extra Sensorial Perceptions, fu diretto da Daniele D'Anza ed andò in onda per quattro puntate a partire dal 27 Maggio del 1973, anno assai prolifico per gli sceneggiati della RAI.
Il già citato "Ritratto di donna velata", girato nel 1974 in Toscana, invece, non fu mandato subito in onda.
Rimase per più di un anno nei magazzini RAI... non se ne sa il motivo.
Anche qui il paranormale la fa da padrone, e gli spettatori che seguirono questa storia che vedeva protagonisti Daria Nicolodi e Nino Castelnuovo, furono più di venti milioni!
Ci furono però svariate critiche che ritennero la Nicolodi poco espressiva ed eccessivamente catatonica, mentre a Nino Castelnuovo, ottimo Renzo Tramaglino nei "Promessi sposi" di Bolchi, fu rimproverata una eccessiva solarità e troppa spensieratezza visto il tema trattato.
A molti fu chiaro il tentativo di ricalcare il successo de "Il segno del comando" affrontando ancora una volta il tema del mistero e del noir, ciononostante "Ritratto di donna velata" risultò essere uno dei programmi più visti dell'anno, forse anche per la grande notorietà all'epoca di Daria Nicolodi, reduce dal successo al cinema del film "Profondo rosso" di cui era protagonista insieme a Gabriele Lavia.
Facendo un altro salto indietro, è impossibile non ricordare un'importante produzione del 1971 in sette puntate con la regia di Edmo Fenoglio: "I Buddenbrook".
Paolo Stoppa, Evi Maltagliati, Nando Gazzolo, Rina Morelli, Glauco Mauri ne erano i protagonisti, insieme a tanti altri attori.
E, a proposito di Rina Morelli, grandissima attrice di teatro, cinema, televisione (e strepitosa doppiatrice!) è giusto citare anche "Le sorelle Materassi", tratto dall'omonimo romanzo di Aldo Palazzeschi che vede la Morelli vicino a Sarah Ferrati e Nora Ricci.
La regia era di Mario Ferrero, le musiche di Piero Piccioni ed i costumi di due grandi del cinema e del teatro: Piero Tosi e Vera Marzot, entrambi stretti collaboratori di Luchino Visconti.
"Joe Petrosino", del 1972, era uno sceneggiato in cinque puntate con Adolfo Celi protagonista.
Bellissima la sigla di chiusura cantata da Fred Bongusto intitolata "Quattro colpi per Petrosino".
A Vittorio Cottafavi, invece, dobbiamo la regia di uno sceneggiato popolarissimo che ebbe un grande successo: "I racconti di Padre Brown", con Renato Rascel ed Arnoldo Foà.
Rascel cantava anche la sigla di questo programma che arrivò addirittura a totalizzare in una puntata, ben ventuno milioni di telespettatori.
Le cinque puntate de "I giovedì della signora Giulia" si devono datare nel 1970, in apertura di questo importantissimo decennio di televisione.
Questo sceneggiato era tratto dall'omonimo romanzo di Piero chiara ed era interpretato da Claudio Gora, Hélène Rémy e Martine Brochard.
Una vera curiosità è la partecipazione come attore di Tom Ponzi, il famosissimo investigatore privato che ebbe così il suo momento di gloria nel mondo dello spettacolo interpretando il ruolo del commissario Sciancalepre.
Nel 1975, Daniele D'Anza scrive e dirige un'altra pietra miliare fra gli sceneggiati televisivi: "L'amaro caso della baronessa di Carini", con Ugo Pagliai, Adolfo Celi e Janet Agren.
Gigi Proietti cantava la canzone della sigla e la fotografia era di Blasco Giurato.
La storia della baronessa di Carini nasce come poemetto che, grazie ai cantastorie, arriva fino a noi di racconto in racconto, e D'Anza, insieme a Lucio Mandarà, realizza quattro puntate proprio partendo da questa ballata popolare.
I nomi dei registi di questo decennio televisivo sono sempre gli stessi: Anton Giulio Majano, Daniele D'Anza, Edmo Fenoglio, Vittorio Cottafavi, Salvatore Nocita, Mario Ferrero, Sandro Bolchi...tutti padri di quella televisione pioniera che ha divertito ma che ha anche educato il pubblico italiano.
Dagli albori dello sceneggiato televisivo, la TV è stata strumento d'evasione e distributrice di cultura, facendo conoscere delle grandissime storie che, forse, solo grazie alla letteratura non sarebbero arrivate nelle case degli italiani.
Ora la produzione è ricchissima e molto prolifica, ce n'è per tutti i gusti e per tutti i tipi di pubblico.
Ma ci auguriamo che la TV non scordi mai l'importante ruolo di veicolo culturale che ha avuto e che ha tutt'ora, e continuiamo a credere all'importanza ed al valore che ha raccontare belle storie con professionalità, amore e passione per questo bellissimo mestiere che è lo spettacolo.
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