La tv italiana compie 60 anni, la radio 90
CULTURA - Mike Bongiorno nella prima trasmissione della televisione. E c'era già la Domenica Sportiva
”La Rai, Radio televisione italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. E' il 3 gennaio del 1954, una domenica. Siamo a Milano, in diretta dagli studi nuovi di zecca del Centro di Produzione di Corso Sempione. Ed è con questa frase, affidata al sorriso rassicurante di Fulvia Colombo, che nasce ufficialmente la televisione italiana. O almeno è da questa data che la tv, alla quale in Italia in un modo o nell'altro si lavorava dal lontano 1929, comincia le sue trasmissioni regolari.
E’una rivoluzione per il Paese che ancora si lecca le ferite della guerra. Una rivoluzione, subito fotografata dalla Domenica del Corriere, che all'arrivo dell'apparecchio tv nei tinelli della borghesia più agiata dedica una storica copertina firmata da Walter Molino. Si trasmetteva in bianco e nero, la qualità del segnale non era entusiasmante. Ma quell'immagine della Domenica del Corriere, con il papà ben vestito che tiene sulle ginocchia il figlio bambino e si appassiona con lui ad una partita di pallone, si rivelerà lungimirante.
Dopo un periodo sperimentale, già nei primi mesi dell'anno gli abbonati erano 24 mila, diventati poi 88.118 a dicembre del '54, quando i ripetitori erano 9 e gli studi televisivi 8 (5 a Milano, 2 a Roma, 1 a Torino). Nel giro di quattro anni si superò ampiamente il milione. E in dieci anni i milioni di abbonati erano cinque. Certamente non pochi, tanto più se si pensa che la particolare conformazione orografica italiana costringeva la rete non efficientissima di trasmettitori a lasciare in ombra parecchie zone del territorio.
Già nel '58, comunque, la quasi totalità della popolazione era potenzialmente in grado di sintonizzarsi sulle frequenze del Programma Nazionale. Tant'è. Il primo programma annunciato dalla Colombo in quel 3 gennaio fu una breve rubrica settimanale di interviste a ‘note personalità’ in arrivo o in partenza dall'aeroporto di Ciampino. Si intitolava per l'appunto 'Arrivi e Partenze' e andò in onda alle 14.30: a fare gli onori di casa c'erano Armando Pizzo e un giovane Mike Bongiorno, perfettamente a suo agio nel ruolo di intervistatore e intrattenitore. La regia era di Antonello Falqui.
In serata, dopo una rubrica dedicata all'arte, il Tg seguito da Teleclub primo talk show della televisione italiana infine la recita 'in diretta' di una commedia di Goldoni. In chiusura, nemmeno a dirlo, la gloriosa La Domenica Sportiva, il programma in assoluto più longevo della tv italiana. Da lì un diluvio di palinsesti e di programmi che hanno accompagnato e fatto la storia del Paese, dal mitico Lascia o Raddoppia? sempre con Mike Bongiorno che dal novembre 1955 unificherà l'Italia, catalizzando l'attenzione di tantissimi ogni giovedì sera, fino al teatro d'autore. Il 30 dicembre del 1954 esordisce in tv Eduardo De Filippo con Miseria e Nobiltà di cui firma anche la regia a Il Musichiere di Mario Riva.
Senza contare gli sceneggiati, lo sport, il programma Non è mai troppo tardi con l'indimenticabile maestro Manzi per combattere l'analfabetismo e quelli per bambini come 'Zurlì, mago del giovedì', con Cino Tortorella e lo Zecchino d'Oro. Carosello, con il suo teatrino di 'reclame' in onda tutte le sere dopo il telegiornale, arriva il 3 febbraio del 1957, lo stesso anno di esordio di Rin Tin Tin. Il '58 è l'anno di Canzonissima e del Festival di Sanremo - vince Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu, entrambi già collaudati dalla radio.
Nel giro di pochissimo, insomma, la “spaventosa macchina”, della tv, come la definisce nei giorni dell'esordio il giornalista de La Stampa Luigi Barzini, dimostra tutto il suo fascino e il suo potere sugli italiani. Le sue, sono parole profetiche: “Tra breve, senza dubbio, l'apparecchio sarà letteralmente ovunque, dove ora sono radio - riceventi , in parrocchia, nello stabilimento di bagni, nelle trattorie, nelle case più modeste. La capacità di istruire e commuovere con l'immagine unita alla parola e al suono è enorme. Le possibilità di fare del bene o del male altrettanto vaste. L'Italia sarà in un certo senso, ridotta ad un paese solo, una immensa piazza, il foro, dove saremo tutti e ci guarderemo tutti in faccia. Praticamente la vita culturale sarà nelle mani di pochi uomini”.