Uzbekistan blues
STAMPA ESTERA - Medici e infermieri nei campi a raccogliere il cotone al posto dei bambini
Di Ibrat Sato e William Kremer per BBC World Service, 16 ottobre
Da quando alcune grandi aziende di abbigliamento come H&M, Adidas e Marks and Spencer hanno boicottato il cotone proveniente dall'Uzbekistan, in segno di protesta contro lo sfruttamento del lavoro minorile, i bambini uzbeki sono potuti rimanere tra i banchi di scuola. Era ora. Ma il cotone qualcuno doveva pur raccoglierlo. E' così che impiegati, infermieri e chirurghi sono finiti nei campi; ma non si tratta esattamente di “volontari”.
Malvina, infermiera in una clinica di Tashkent, è arrabbiata. "Ho quasi 50 anni e soffro d'asma. Mi hanno fatto raccogliere il cotone, a mano, senza ricevere un soldo in cambio". E' appena tornata da 15 giorni a cogliere cotone nelle campagne uzbeke, insieme a molti colleghi del settore sanitario; lavoro durissimo per tutti, indipendentemente da professione abituale e livello di anzianità. "Uno dei nostri chirurghi, anche lui impegnato nei campi, non faceva che ricevere chiamate tipo 'dottore, lei mi ha operato la settimana scorsa. Ora ho la febbre, che devo fare?', ma..."
L'Uzbekistan è uno dei maggiori produttori di cotone al mondo e il cotone rappresenta una delle basi della sua economia. Il governo ne controlla la produzione e obbliga a raccolti in stile sovietico, che vanno portati via dai campi nel minor tempo possibile. Ma la tendenza allo sfruttamento del lavoro minorile forzato in tempo di raccolto ha indotto molti rivenditori - tra i quali H&M, Marks and Spencer e Tesco - a utilizzare cotone proveniente da altri paesi. Per correre ai ripari il primo ministro uzbeko Shavkat Mirziyayev ha firmato in fretta e furia un decreto che vieta ai bambini di lavorare nei campi, con il risultato che molti adulti, normalmente impiegati in altri settori da quello agricolo, sono stati costretti a raccogliere il cotone tra ottobre e novembre. Quest'anno, come l'anno scorso del resto, è stato imposto anche al personale medico. Per questo motivo molti pazienti si sono sentiti rispondere che ‘il dottore non può riceverli, perché impegnato col cotone’.
La BBC non dispone di autorizzazioni per poter fare inchieste in Uzbekistan, ma Malvina - nome di fantasia - ha fatto sapere ai giornalisti britannici che le autorità di Tashkent hanno preteso che 330 operatori della sanità andassero a lavorare nei campi di cotone. Nella clinica dove lavora Malvina, alla richiesta ufficiale è seguita una riunione piuttosto animata, per decidere chi dovesse andare e chi no. Purtroppo per lei, ha scoperto che l'asma non è ragione sufficiente a tenere qualcuno lontano dai campi. "All'improvviso tutti avevano qualcosa, chi mal di schiena, chi la pressione alta...Quando il primario ha preso atto di questa lista di malanni, se ne è uscita con: ‘E basta! Non vi ascolto più. Partirete tutti, tranne le donne incinte e quelle con i bambini da allattare’ ". Non partire avrebbe comportato il licenziamento.
Una volta giunti a destinazione, i neo braccianti forzati hanno preso a svegliarsi alle 4:00 di mattina, perché tra il dormitorio e i campi c'era più di un'ora di cammino. Poi lavoro duro fino alle 18:00. "Ognuno doveva raccogliere 60 kg di cotone e se uno non ce la faceva a raggiungere quella quota, doveva comprare quello che gli mancava dai contadini locali" prosegue la donna. Era previsto che Malvina e colleghi della stessa clinica fossero ospitati in una scuola, che però si è rivelata troppo piccola per tutti quanti, al punto che alcuni hanno dovuto prendere in affitto una stanza altrove. Per lavarsi dovevano rivolgersi ai bagni pubblici locali, anche quelli a pagamento.
Per molti uzbeki la stagione della raccolta del cotone è particolarmente gravosa. Un docente universitario di Samarcanda, che ha preferito rimanere anonimo, racconta che quest'anno aveva problemi di salute che non gli consentivano il lavoro nei campi. "Ho dovuto pertanto trovare un bracciante, che per 100 dollari ha raccolto il cotone che avrei dovuto raccogliere io. A un certo punto il rettore ha trattenuto il mio stipendio, dicendomi che sarebbe servito per coprire le spese di vitto e alloggio di altri braccianti: ho perso così altri 200 dollari". Ma il fatto che quell’enorme fatica quest'anno sia risparmiata ai bambini in età scolare lo rende comunque contento.
Il decreto che vieta il lavoro minorile avrebbe quindi prodotto qualche effetto. Yelena Uralyeva, un'attivista che ogni anno viaggia in tutto il paese per denunciare gli abusi, ha denunciato vari incidenti in luoghi dove venivano arruolati bambini per coprire la mancanza di manodopera; un sito filogovernativo, comunque sia, nega la presenza di minori quest'anno sui campi di cotone di tutto il paese. Secondo quanto previsto dal decreto, è un "bambino" chiunque al di sotto dell'età della fine della scuola dell'obbligo, ovvero 15 anni. Resta il fatto che gli studenti più grandi vengono ancora ingaggiati per dare una mano durante il raccolto; anche quest'anno scuole e università hanno chiuso i battenti per far andare i ragazzi a lavorare nei campi di cotone. La Urlayeva ritiene però che siano ancora troppo giovani e aggiunge che "alcuni si ammalano, perché le condizioni di lavoro sono troppo dure: fa molto freddo e il vitto non è dei migliori”. Sa di genitori minacciati di espulsione dei figli dal college, qualora avessero tentato di portare via i ragazzi in cattive condizioni di salute.
Secondo una delle associazioni che hanno organizzato il boicottaggio, la Responsible Sourcing Network, il governo uzbeko non ha ancora fatto abbastanza. "Avremmo voluto che il governo invitasse degli osservatori internazionali per monitorare la situazione nelle aree agricole" ci dice Valentina Gurney, responsabile del programma sul cotone, "ma nonostante la nostre insistenze, non è ancora successo". Secondo la Gurney, il lavoro minorile è riscontrabile in molti paesi, ma solo in Uzbekistan veniva orchestrato dal governo.
Per l'International Cotton Advisory Committee l'Uzbekistan produce il 4% del totale del cotone e il 10% di tutta l'esportazione mondiale. Allo stesso tempo il cotone rappresenta il 45% delle esportazioni totali uzbeke.
Da sempre l'"oro bianco" è molto importante, anche a livello culturale. Sin da bambini gli uzbeki imparano ad attendere con trepidazione il periodo dell'anno che chiamano appunto pahta, cotone. Il raccolto è visto come un'opportunità per tutti di contribuire alla prosperità del paese intero. Quella stessa "opportunità" che Malvina oramai sa per certo dovrà "cogliere" anche in futuro.