Facciamo festa
[Racconto di Massimo Pedroni]
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[ascolta l'audioracconto] durata 29 minuti
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Gasparone, come sempre puntualissimo, mi attendeva al ritiro bagagli per darmi una mano a riprendere il mio.
Un bentornato e un abbraccio sincero mi gratificarono non appena misi i piedi a terra.
Il volo era andato per il meglio, senza scossoni particolari, attraversando un cielo terso e sereno.
Tutta l'atmosfera sul velivolo, a dire il vero, si era mantenuta gradevole.
Qualche scoppio di risate, talvolta più pronunciate ma sempre contenute nell'alveo della buona educazione, aveva allietato il percorso.
Durante il viaggio erano state servite bevande e qualcosa da sgranocchiare, anche questo elemento aveva contribuito a rendere apprezzabile il ritorno.
Perché è di questo che si trattava... con tutte le implicazioni che comportava.
Come in tutti i viaggi di ritorno ognuno, nel suo intimo, cominciava a riorganizzare le sensazioni e le idee su quanto vissuto nei giorni precedenti.
E, magari, formulare considerazioni e riflessioni con alcuni compagni di volo.
Dietro l'angolo, gli ordinari impegni della vita di tutti i giorni, che a breve avrebbero ripreso il loro corso.
I dialoghi che prendevano corpo tra i passeggeri costituivano un piatto potenzialmente molto ricco per le mie competenze professionali.
Dotato, devo ammettere, di ottimo udito e di altrettanta consueta attitudine a curiosare - tipica d'altronde di qualsiasi giornalista - cominciai a spigolare frasi e riflessioni tra le conversazioni dei reduci dal pellegrinaggio.
Tutto materiale preziosissimo da raccogliere con l'intento di inserirlo e valorizzarlo al meglio nel servizio per «L'Altra Campana».
Gli aspetti più privati e le considerazioni personali dei protagonisti dell'esperienza costituivano una bella distesa di caccia.
Ghiotta, veramente ghiotta, per un reporter!
Un giornalista non deve accontentarsi mai.
Non può limitarsi a descrivere solamente, o a riportare pedissequamente fatti o situazioni.
Questo non può bastare, non è sufficiente!
Bisogna scavare dentro la notizia, andare più a fondo.
In special modo affrontando argomenti di questa consistenza, così densi di materia viva.
Cogliere emozioni, stati d'animo, ragioni profonde.
Forte di queste motivazioni, con estrema nonchalance, mi misi all'ascolto... attentissimo ascolto!
Era tutto un fiorire di considerazioni su quella grande esperienza.
Non si poteva prescindere dal fare qualche riferimento alle disgrazie personali.
Ognuno degli assistiti diceva, anzi direi confidava, al suo interlocutore del momento i perché e i per come era piombato, a causa di un incidente o per l'improvviso insorgere di una nefasta malattia, nell'universo degli Andy.
Erano narrazioni fatte in alcuni casi con grande leggerezza, talvolta addirittura con grande senso dell'ironia.
Comunque le parole a corredo del racconto, a un ascolto attento, risultavano essere delle piastrelle sconnesse e scricchiolanti su una pavimentazione fatta inevitabilmente di dolore.
Dall'ascolto emergeva la sofferta confidenza di quale sforzo era stato necessario per riuscire a individuare risorse interiori che si era stati costretti a mettere in campo.
Meccanismi, ma anche soluzioni pratiche quotidiane, che ognuno aveva dovuto inventare.
Tentativi di riuscire ad affrontare al meglio l'inattesa e delicata situazione, nella quale, per i motivi più svariati, si era venuto a trovare qualsiasi Andy.
Frasi, argomenti e considerazioni che, per quanto facessi il disinvolto, al netto della freddezza necessaria al mio lavoro non potevo negare mi lasciassero scosso.
Scantonai da quel velo di tristezza, a onor del vero magistralmente dissimulata, facendomi offrire un cracker da una sorridente Claudia, anche in quella circostanza seduta accanto a me.
Ognuno in qualche modo aveva dovuto attrezzarsi psicologicamente.
Aspetto prioritario questo, pensavo ascoltando, da curare con estrema attenzione.
Quando si sente di non farcela da soli, non bisogna esitare un solo istante prima di rivolgersi a uno specialista del settore.
Non ritenni opportuno, tuttavia, entrare nella conversazione esternando questi pensieri.
Come giornalista, l'importante era cogliere e testimoniare cosa dicevano loro.
Solo dalla conquista, seppure parziale, di una consistente serenità d'animo, si può cominciare a risalire la china.
Questo era un dato assodato e condiviso da tutti.
Alcuni integravano l'impegno trovando alleggerimento della propria condizione anche nella Fede, che li aiutava in qualche modo ad affrontare le proprie sventure quotidiane.
E in quei giorni a Lourdes, al cospetto della Madonna, un afflato di Fede, magari solo per un istante, aveva coinvolto anche i più scettici.
Tutti, credenti o meno, erano concordi nel dire che il pellegrinaggio li aveva toccati profondamente.
Nelle opinioni captate qua e là, coglievo la difficoltà di chi provava a trovare le giuste parole, i giusti termini, per tentare di esporre e trasmettere il livello di coinvolgimento che l'esperienza gli aveva suscitato.
La maggioranza dei commenti era volta a esprimere la grande sensazione di pace e serenità che si era provata.
Più di uno concordò con Artemio, uno degli assistiti, che affermò di sentire di essere diventato una persona migliore rispetto a quando era partito.
Migliore, nel senso che la convivenza di quei giorni con vicende umane tanto critiche, pari o peggiori delle sue, l'aveva portato a uscire dal proprio guscio.
In alcune occasioni, era rimasto particolarmente fiero e soddisfatto di essere riuscito a dare un seppur piccolo aiuto a qualcuno dei suoi compagni di avventura.
Un grande riequilibrio emotivo.
Un grande rifornimento dell'anima, diciamo pure il pieno, che galvanizzava nell'andare avanti.
Pieno fatto praticamente a costo zero, a meno che non si volesse considerare come costo qualche preghiera che tutti avevano recitato.
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Tra uno smistamento di valigie e l'altro, il momento del commiato si stava avvicinando, in mezzo a quel po' di confusione fisiologica in simili occasioni.
Tutti cominciarono a tentare d'individuare il più sollecitamente possibile il proprio bagaglio.
Fase, questa, coronata da un certo affanno e preoccupazione complessiva, che si sarebbero definitivamente dissipati al momento della consegna a ciascuno della propria valigia.
I bagagli giravano sul nastro trasportatore.
Più d'uno ebbe necessità di farsi aiutare nel riprenderli.
Al ritiro della mia valigia pensò disinvoltamente Claudia.
Divertenti e curiosi siparietti si vennero a creare su errate identificazioni di bagagli.
"E' mio... No, non è mio."
"Ci somiglia molto, ma quello tuo è un poco più grande, con un graffio abbastanza evidente."
"Ah sì, lo fecero inavvertitamente al pellegrinaggio della Madonna di Loreto."
"Ma che fai, giri solo per pellegrinaggi tu?", disse uno degli assistiti con tono bonariamente ironico.
Augusto, l'interloquito, accomodato nella sua carrozzina, dopo approfondita riflessione disse: "Penso proprio tu abbia ragione.
Non faccio più un viaggio normale da una vita fa.
Insomma, da prima dell'incidente per intenderci."
Un attimo di imbarazzata sospensione fu provocata da quel riferimento drammatico fatto da Augusto.
Un brutto incidente con il parapendio, durante un volo in una stupenda giornata di sole.
Accadde così, come avevamo avuto modo di sapere dalle conversazioni durante il soggiorno.
In quelle circostanze apprendemmo che Augusto era un amante dello sport a tutto tondo, ne aveva praticati più di uno.
Ed era anche amante della vita all'aria aperta.
Per un appassionato praticante di discipline sportive, la condizione nella quale si era venuto a trovare risultava essere particolarmente gravosa.
Ma Augusto, per quanto le condizioni consentivano, non mollava di un centimetro.
Come d'altronde, per quanto possibile, cerca di fare ognuno di noi.
"Ma insomma, di chi è questa valigia verde?"
Valigia che aveva già compiuto tre giri sul nastro trasportatore.
"Se è un trolley con le rifiniture nere, è mio", disse Arturo, uno dei miei due compagni di stanza.
La prese, restando aggrappato a dovere al suo bastone, senza dare il tempo di farsi aiutare.
Questi piccoli contrattempi erano dovuti al fatto che molte valigie erano simili, se non addirittura uguali tra loro.
In un clima festoso e gioviale, la fase del ritiro bagagli era quasi terminata.
Ma il tono della comitiva stava cominciando ad abbassarsi, complice anche un poco di stanchezza.
Iniziava il rito del non perdiamoci di vista.
Dame, Cavalieri e assistiti avevano cominciato a effettuare un reciproco fitto scambio di recapiti telefonici.
Non me lo auguravo, ma per esperienze pregresse temevo che tutti quegli scambi sarebbero rimasti lettera morta o quasi.
Non per cattiveria o altro malanimo di carattere generale, ma perché la vita di ognuno è strutturata con tempi, impegni e soprattutto distanze nella maggior parte dei casi non facilmente compatibili con quelli degli altri.
Non volevo far morire così la cosa, a partire dal rapporto casualmente recuperato con Claudia.
Con tutto il gruppo di volontari dell'Ordine mi ero trovato non bene – questa definizione la trovavo riduttiva – bensì perfettamente a mio agio.
Desideravo, quindi, avere occasione di rivederli per una molteplicità di ragioni.
Fra le tante spiccava quella di poter meglio approfondire i percorsi interiori o le vicende di vita che spingevano tutte queste persone a prodigarsi così fattivamente nei confronti di chi si trova in oggettive condizioni di difficoltà.
Dai discorsi intrapresi, seppur fugacemente, a Lourdes, ero rimasto particolarmente colpito dal fatto che loro ci consideravano una risorsa e non un peso.
Concetto che, soprattutto nelle convulsioni del ritmo serrato delle grandi città, non trova ancora molto spazio; ma per noi Andy è davvero galvanizzante, capace di ridonare quella dignità e autostima di cui c'è costante bisogno.
Mi incuriosiva sapere se, come e in quale misura i nostri benefattori, anche nelle loro attività quotidiane, riuscivano a mantenere spazi e attenzioni di accoglienza e solidarietà.
Un argomento senza dubbio stimolante.
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Noi Andy siamo persone assolutamente in controtendenza rispetto ai modelli sociali proposti attualmente.
Siamo gli umili vincitori della porta accanto.
La forza d'animo e la tenacia ci consentono di raggiungere traguardi che a molti possono apparire impensabili.
Ma ogni minimo spostamento è frutto di complesse valutazioni e ponderazioni.
Già il solo cimentarsi, ad esempio, nel farsi un caffè comporta un attento coordinamento delle azioni con le cose.
Insomma, come si dice, dobbiamo sempre stare in campana.
Ora che ci penso, non sarà un caso che collaboro con «L'altra Campana»...
Sempre di campana si tratta!
Il fatto è che noi dobbiamo cercare di scantonare il più possibile dai contesti ordinari.
La vita di tutti i giorni è dominata da ansie sovrastanti e sempre presenti.
Frette, affanni, rincorse continue.
Dimensioni per noi difficilmente controllabili.
Accettandosi, nell'ostica condizione sopravvenuta, e rispecchiandosi in contesti ispirati all'elogio della lentezza possiamo dare il meglio.
Apporto in termini di sensibilità e comprensione umana che non considererei, poi, elemento così trascurabile.
Mentre sviluppavo tra me e me queste considerazioni, avevo avuto modo di scambiare recapiti telefonici con quelli dell'Ordine con cui avevo familiarizzato maggiormente durante quelle belle giornate.
Primi, quindi, Venanzio, Luca, Agostino e il giovane Raimondo.
Con i compagni di stanza Gianni e Arturo già c'eravamo scambiati tutti i riferimenti.
In quell'occasione appresi che Arturo risiedeva in un paesino della Toscana.
Pensai che rincontrarsi con lui sarebbe stato francamente un po' complesso, ma non si poteva mai dire!
Claudia, con classe e discrezione, salutava gli assistiti e i loro accompagnatori e, ovviamente, i suoi colleghi di quella bella esperienza.
Per tutti aveva un sorriso e una parola gentile.
Tutto questo mentre si alternava con il Capitano La Guardia a spingere la carrozzina da me occupata, dirigendoci verso l'uscita dell'aeroporto.
E' un rapporto complesso quello che si viene a determinare con la carrozzina.
Complesso, e per certi versi misterioso, il legame che nasce e si instaura tra chi trasporta e chi viene trasportato.
Già le posizioni dalle quali si trovano a comunicare i soggetti non possono che considerarsi inusuali.
Chi guida sta dritto in piedi dietro al trasportato.
Questa asimmetria di posizioni genera sentimenti particolari.
Rispetto a chi ha bisogno di quell'aiuto, la figura del portatore diventa sicuramente dominante.
Perché ciò possa accadere, deve essere scattato tra i due, come minimo, un meccanismo di fiducia ed empatia.
Spesso, per parlare con il trasportato, il dominante deve piegarsi fin quasi a parlargli all'orecchio.
Nel trasportato, di fatto, si viene a determinare una piccola sorta di dipendenza fanciullesca.
Il poter uscire, vedere cose banali come la vetrina di un negozio o il fluire delle persone per le piazze e le vie della città, danno una grande energia di dinamico ottimismo.
Con la consapevolezza che è grazie ad animi sagomati sul sentimento della solidarietà che anche noi possiamo uscire, incontrare, dire e ascoltare, o rimanere affascinati e incantati da qualche incontro imprevisto.
Mentre Gasparone e Claudia si alternavano con ritmi perfettamente oliati, quasi non avessero fatto altro nella vita che trasportarmi, dentro di me non facevo altro che ringraziarli.
Ritenendomi veramente fortunato ad avere vicino persone di quello stampo.
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"Mio caro amico...", quando Gasparone cominciava a intercalare così, voleva dire che era sull'orlo di perdere la pazienza.
Non era, la mia, una sensazione così bislacca.
Decenni d'amicizia suffragavano questa impressione.
Ammetto che anche in questo caso, come in tanti altri del resto, non ne avrebbe avuto tutti i torti.
Il fatto di punzecchiarlo aveva sempre rappresentato per me una tentazione irresistibile.
Dopo esserci salutati e congedati da tutti, non avevo fatto altro che subissare il mio amico di richieste d'aiuto e consiglio finalizzate a escogitare un meccanismo per riuscire a rivedermi presto con tutti.
Compresa ovviamente Claudia che, anche se non da me ufficialmente dichiarato, restava l'obiettivo relazionale principale.
Elemento chiaramente colto dal Capitano, sul quale al momento non ritenne opportuno fare commenti.
Nel trovare il meccanismo da operare a tal fine, desideravo lasciare celati, o comunque in seconda battuta, i miei intendimenti ulteriori.
Piccole futili strategie, ne sono tristemente consapevole.
Avevo parlato poco delle scosse interiori che il pellegrinaggio mi aveva provocato, che comunque c'erano indubbiamente state, pressato com'ero da questa sensazione di separazione che dovevo scongiurare in qualsiasi modo.
Avevo ben bene rimbambito l'amico su queste tematiche anche mentre guidava per riportarmi a casa.
"Sei atterrato stamane alle dieci.
Tra un saluto e l'altro siamo arrivati a casa tua poco prima di mezzogiorno.
E già mi avevi fatto una testa così!", si lamentò Gasparone più tardi.
"Siamo stati degnamente accolti dai coniugi Meniconi.
Abbiamo anche gustato un buon pranzetto preparato da Venanzia... e ti confesso che ne avevo proprio bisogno!
L'atmosfera a Lourdes aveva qualcosa di magico, fantastico, con una immersione totale in un clima di palpabile spiritualità.
Ma sulla cucina è meglio sorvolare...
Non solo si mangiava male, ma soprattutto sciapo!
I miei compagni di stanza, non per niente tuoi colleghi Carabinieri, dopo un primo pasto francamente desolante, avevano individuato una pista sul dove e come rintracciare quel prezioso oro bianco che è il sale.
Per fortuna!"
"D'accordo, questo me lo hai già detto in macchina venendo verso casa.
Ma il punto non è questo."
Con tono quasi sussurrato, da comunicazione di una confidenza d'importanza capitale, continuai:
"Sai, persone dell'Ordine mi avevano detto che le cucine erano tenute saldamente in mano dal personale francese.
Da quello che ne veniva fuori, certo non dovevano essere figure professionali tra le migliori.
E' lì, in quel contesto, che finalmente capii.
Me ne resi perfettamente conto..."
Il mio amico cominciava visibilmente a dare segni di nervosismo.
Da parte mia, mi stavo divertendo come un matto.
Questo era l'inizio di uno dei tipici siparietti che da decenni erano parte integrante dell'inossidabile amicizia tra noi.
Seduti sul divano, con Cleofe che, dopo qualche minuto di legittima indignazione per la mia assenza di quei giorni, mi era saltata sulle ginocchia, Gasparone, con un superstite filo di pazienza, chiese: "Ma di cosa ti sei reso finalmente conto?"
"Che avevano perfettamente ragione gli antichi Romani!"
A fronte di ciò, il generale disorientamento del Capitano fu sottolineato dal suo alzarsi in piedi, cominciando a, non direi girare, ma proprio a piroettare per la stanza.
"Non so perché non te l'ho chiesto... perché giustamente sono cose troppo private.
Ma se a Lourdes ti hanno concesso il miracolo, te ne hanno concesso uno sbagliato!"
"Perché?", risposi con tono candido, mentre più si animava La Guardia e più me la divertivo.
"Sei arrivato di punto in bianco a farneticare di antichi Romani!"
"Non c'è mica bisogno di scaldarsi tanto.
Avevano ragione."
"Ma su cosa?", ripeteva stizzito il mio amico.
"Sul dargli il giusto valore, niente di più che il giusto valore, intitolandogli una strada."
Il Capitano, sempre più sbigottito: "Ma a chi?"
"Come a chi?
Ma al sale, no?
Via Salaria, per l'appunto."
A questo punto avevo fatto dama: ero riuscito a farlo uscire dai gangheri, cosa che ancora oggi mi diverte un mondo.
"Ma il viaggio ti ha dato alla testa?!", disse con veemenza.
Oramai stava per esplodere.
"Come fai ancora, dopo tanti anni di amicizia, a cadere in queste mie trappole?
Portarti sul limite di una crisi di nervi è una cosa che ho sempre trovato divertentissima", me la ridevo.
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In parte rasserenato e in parte offeso per la presa in giro, Gasparone provò a farmi rientrare nei ranghi: "Oltre le tue bizzarrie, torniamo a bomba.
Vorresti nel breve rivedere alcune delle persone con le quali hai fatto il pellegrinaggio; per fare ciò vuoi escogitare un sistema che possa interessare e coinvolgere tutti, senza che possa apparire pretestuoso.
Giusto?"
"Compresa Claudia."
"Ovviamente, compresa Claudia!"
"Complimenti, bravo, ma veramente bravo!
Dopo circa sei-sette ore hai colto il cuore del problema", continuai a celiare.
"Tornelli, ora basta!
Se vogliamo ragionare sulla cosa è un conto, se vogliamo continuare a giocare è un altro.
Io non voglio giocare.
Anzi, sai cosa ti dico?
Mi alzo e me ne vado, sbrigatela da solo!"
"Guarda che sei già in piedi."
"Sì, lo so perfettamente", rispose con una punta di velenosità.
"Alla fine del tuo brillante riassunto della questione, hai qualcosa da proporre?"
"Beh, ci vorrebbe un'idea."
"Mi pare evidente, ma ora non siamo stati in grado di elaborarne una che sia una", sottolineai.
"Non agitiamoci adesso, mica sta bruciando Roma."
"No infatti, gli stanno portando solo il sale da spargere sulla nostra evidente e maestosa incapacità."
"Ma ti hanno proprio traumatizzato a Lourdes con questa storia del sale, non fai che parlare di quello!"
"E' ovviamente uno schermo, anche e soprattutto con me stesso, perché ancora devo far sedimentare tutte le bellezze del soggiorno.
Sarà un lavoro articolato."
E questa era la cosa più seria che avevo detto da quando ero tornato a casa.
Gratificato dall'essere depositario di questa ennesima confidenza, Gasparone, con un guizzo di genio, elemento che quando ci si metteva non gli era estraneo, la buttò lì:
"Ma tu non devi fare un servizio sul pellegrinaggio per il giornale?"
"Sì certo, gli devo dare gli ultimi ritocchi stasera.
Domani sarà in redazione tra le mani di Mezzacapa.
E allora?"
"Mi sembra che possa essere un elemento di partenza per cominciare a costruire un'opportunità d'incontro."
"In che senso?", chiesi interessato.
"Penso che in un servizio del genere, in qualche misura, dovrai parlare un poco anche di loro: Dame, Cavalieri e assistiti.
Coinvolgerli, quindi, per sapere la loro diretta opinione sull'esperienza.
Può essere una traccia sulla quale lavorare...
Certo non può essere questo il punto di sintesi, però può essere qualcosa."
"Ma caro mio, quello che hai detto è geniale!
Semplicemente geniale.
L'ho sempre detto, io, che sotto la scorza del Capitano c'era ben di più.
Senza offesa, ovviamente!"
"Cosa c'è di tanto geniale, è solo un'idea, molto grezza tra l'altro."
"Ecco cosa c'è, c'è che faremo una festa!"
"Una festa?"
"Una bellissima festa."
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Con la suoneria di una canzone napoletana, per dare allegria all'eventuale chiamata di un potenziale scocciatore, squillò il telefono di casa.
Dalle prime battute Gasparone comprese che all'altro capo del filo c'era Mezzacapa.
"Direttore, è un piacere sentirla, mi ha preceduto di qualche istante.
Il servizio è quasi pronto.
Non per vantarmi, un fior fiore di servizio!"
"Leggeremo", blandamente rispose il pingue.
"Ma non finirà con la pubblicazione, faremo una grande e bellissima festa", annunciai carico di entusiasmo.
"Una Festa?
Dove, quando e perché?"
"Al Bar dei Sognatori, accompagnati da tutto il repertorio musicale anni '70 contenuto in quello scrigno magico che è il juke box del proprietario dell'esercizio."
"Ma cosa ti viene in mente!
Noi come giornale che c'entriamo?"
"Poniamo le basi per fare una rubrica fissa su aspetti di solidarietà quotidiana nella nostra città, grazie all'aiuto delle informazioni che possono darci Dame e Cavalieri.
Forte, no?"
Dopo un istante di silenzio, Mezzacapa sentenziò: "L'idea non mi sembra malvagia.
Devo rifletterci meglio."
"Ottimo.
Intanto che lei riflette, chiamo Cavezzoni e prendo gli accordi del caso", dissi senza esitare.
Guglielmo Cavezzoni si mostrò più che disponibile.
Direi entusiasta, e lusingato dal fatto che le sue raccolte musicali di dischi rigorosamente in vinile avrebbero costituito le colonne portanti della serata.
Nel giro d'inviti che feci ad assistiti e membri dell'Ordine, ricevetti adesioni ed entusiastici consensi nonché lodi per l'iniziativa in sé.
Arrivò il momento della grande serata.
Cavezzoni, dalla lunga capigliatura sale e pepe, aveva valorizzato al massimo il locale.
Aveva anche montato qualche discreto festone.
Il juke-box già lavorava a pieno regime.
L'atmosfera, grazie anche alla sapienza musicale del titolare del Bar dei Sognatori, era di una vellutata accoglienza.
Erano arrivati tutti.
Ridevano, parlavano, scherzavano tra loro.
Consumavano tartine e altre prelibatezze, disposte dal personale del Bar dei Sognatori.
La cosa paradossale in tutto questo era che avevo visto e salutato tutti, tranne Claudia.
Questo destava in me un filo d'apprensione.
Mezzacapa, da parte sua, stava stravaccato, abbuffandosi senza il minimo ritegno, a un tavolino nell'angolo, in fondo sala.
D'un tratto, alle mie spalle mi fu sussurrato: "Balliamo?"
Rimasi sbigottito dalla proposta.
Mi resi conto che già si erano formate altre coppie.
L'invito era partito da una Claudia in forma smagliante, con un leggero velo di trucco e un tubino nero che le donava particolarmente.
"Sei veramente carina a farmi la proposta, una deliziosa proposta, che però rimarrà nell'alveo dei buoni propositi."
"E perché?"
"Non penso ci sia bisogno ti illustri la situazione..."
"Certo che no.
Ma non vedo quale sia il problema.
Accetti l'invito a ballare?"
"E' una delle ultime cose che mi sarei potuto aspettare.
Certo che accetto, è per me una cosa fantastica."
"Alzati, molla le stampelle e abbracciati a me... ti sostengo io!"
Eseguii come un automa.
Ebbi qualche attimo d'incertezza per il timore di cadere, ma lei mi dava sicurezza.
Una sicurezza antica, profonda, completamente dimenticata.
"E ora?", chiesi titubante.
"Beh, facciamo quello che possiamo fare, il ballo della mattonella.
Che ne dici?"
Il cuore andava a mille, non dissi nulla.
Non riuscivo a capacitarmi di ciò che stava accadendo.
Stavo ballando, abbracciato a una donna, la quale per di più era Claudia.
Dal juke-box partirono le note di una canzone di Gino Paoli, cominciava così...
"Quando sei qui con me..."
E iniziammo a dirci cose, tante cose, del passato... scrutando un futuro possibile.
Per un momento pensai che il verso della canzone di Lucio Battisti "In un mondo che non ci vuole più..." certo non poteva riguardare gente come noi.
Chissà, forse sono solo suggestioni da Bar dei Sognatori.
Ma sono convinto di no.
Parola di Andy.
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