Viaggiare non è cosa del tutto rara per me, nonostante la mia particolare situazione possa far pensare il contrario.
Che sia un viaggio di lavoro, come quello a Rio in occasione delle Paralimpiadi 2016, o un periodo di vacanza trascorso, per esempio, alle Canarie, il cui clima sempre mite e temperato rende meno gravosi alcuni sintomi legati alla mia condizione di salute, posso essere certo dell'accoglienza che riceverò al mio rientro.
Constatare che certe piccole cose non cambiano mai è ciò che ti fa sussurrare ogni volta: "Casa, dolce casa!"
Anche al ritorno dal mio ultimo viaggio a Tenerife, in compagnia di un'allegra comitiva di amici Andy, dove il soggiorno marino a Playa de las Vistas si era coniugato alle escursioni naturalistiche al Loro Parque e al Parco Nazionale del Teide, si ripeté la consueta routine.
La gatta Cleofe, come mi vide sulla soglia di casa, cominciò a strusciarsi sulle mie gambe cercando un contatto fisico.
Il comportamento era impreziosito da una generosa quantità di fusa.
Mi voleva dimostrare la sua gioia per il mio rientro alla base.
Al mio arrivo, davanti al palazzo di casa, la portiera Venanzia mi aveva aiutato, come sempre, a raggiungere la porta del mio appartamento al pianterreno.
Per amor di precisione, quello dell'interno tre.
Oltre al manifestarmi un sentito bentornato, la donna mi aveva detto che tutto era andato per il meglio, senza alcun tipo di problema.
Entrati in casa e accomodatomi sul divano, Cleofe mi saltò subito sulle ginocchia miagolando e fuseggiando.
La ricambiai accarezzandola e sussurrandole affettuosità varie.
"Nun gli ho fatto manca' niente, ma proprio niente", disse Venanzia indicando la gatta.
"I croccantini du' volte al giorno, cambiavo l'acqua 'na volta al giorno e la sabbietta pure 'na volta al giorno. Come me dite sempre de fa'."
Nel mentre, s'udì arrivare una richiesta di poter entrare in casa.
Era Quinto Meniconi, il portiere titolare del fabbricato e coniuge di Venanzia Speraindio, che stava portando dentro i miei bagagli.
L'uomo, come sempre, portava con sé un sorriso ampio e franco, di quelli che fanno sentire, con la loro carica di sana vitalità, una contagiosa energia positiva.
Quelli dei Meniconi non erano saluti solo formali.
C'era qualcosa di più: dell'affetto comprovato dai comportamenti premurosi, tenuti da loro nei miei confronti anche nei momenti più ostici che ho passato.
E non sono stati poi così pochi.
Per loro, e di questo ne sono certo, ero qualcosa di più del condomino Alessandro Tornelli.
"Vabbè", concluse Venanzia dandosi un'occhiata intorno, "è tutto a posto?
La vedo stanco stanco, eh?
Me sbajo?
Comunque pe' la cena nun se preoccupi.
Ce penso io.
'nnamo Quinto, che il dottore se deve riposa'.
Qualsiasi cosa, noi stamo de là."
Si dileguarono in quel modo un pochino pittoresco, al quale ero oramai abituato.
Ero veramente tornato a casa, della quale ovviamente Cleofe e la Premiata coppia Meniconi costituivano parte integrante.
Il viaggio, sebbene i ritmi fossero stati ben diversi da quelli serrati dell'esperienza brasiliana di qualche tempo prima, mi aveva comunque stancato, devo ammetterlo. Non mi ero risparmiato lunghe passeggiate in spiaggia, grazie anche alle sedie a rotelle per acqua facilmente reperibili a Las Vistas, e sui costoni del vulcano Teide, con gli ausili forniti dalle guide.
Il risultato era che, sebbene fossero circa le tre di pomeriggio, per me era come se fossero le tre di notte.
Mi si abbassavano le palpebre.
Provavo una sonnolenza irresistibile.
Passai così un paio di giorni un po' intontito.
La micia non si staccava mai da me, facendomi pressoché permanentemente le fusa.
Ero riuscito evidentemente a farmi perdonare anche questa volta per l'assenza.
La mia alimentazione, dopo qualche comportamento licenzioso tenuto in vacanza, si stava rimettendo in carreggiata.
Venanzia, che sovente si occupava di prepararmi i pasti, sapeva oramai che dovevano essere a base di pane, pasta e riso integrale, tanta frutta e verdura.
Carne poca e solo bianca, niente carne rossa, insaccati e alcolici.
Zuccheri neanche a parlarne.
Stesso dicasi per il latte e i suoi derivati.
Una volta avevo casualmente ascoltato un commento della coniugata Meniconi con il marito: "Il dottore è veramente 'na gran' brava persona, ma dimme te, magna proprio strano.
Carne solo del pollastro e il resto pasta integrale, pane integrale, riso integrale.
Ma che sarà mai st'integrale?
Oppure aspetta... quell'altra cosa strana, la pasta di... di kaputt."
A quel punto scoppiai a ridere fragorosamente.
"Kamut, Venanzia, pasta fatta con farina di kamut", dissi con un volume della voce un poco più alto del normale, sapendo che la donna aveva l'udito debole.
Imbarazzatissima svicolò via dicendo: "Me scusi tanto, ma devo anda' a spolvera' la guardiola."
E si dileguò.
L'alimentazione che cercavo di seguire nel modo più rigoroso possibile non era frutto di una mia bizzarria, bensì dettata dalla necessità di cercare di attenuare i sintomi della mia malattia, come consigliatomi dai medici che mi tenevano in cura.
Puntualizzavano che quello indicatomi era uno schema nutritivo che poteva fare bene a chiunque, ma a me, per la malattia che avevo, in modo particolare.
|
Già, la mia malattia.
Nonostante il tanto tempo passato dall'inizio del suo manifestarsi, provo, ogni volta che ne parlo, come la sensazione di dover superare un altro ostacolo, un ennesimo gradino.
Piccoli inconvenienti che oramai riesco agevolmente a superare, da tempo mi sono accettato come Andy.
In simili riflessioni ero perso quando fui interrotto bruscamente dalla suoneria del telefono.
Risposi al terzo squillo.
Era Gaspare La Guardia: Capitano dei Carabinieri per tutti, carissimo amico nonché compagno di avventura carioca per me.
Attaccò a parlare di getto, senza neanche un preliminare cenno di saluto.
"Basta con questa storia che sei stanco quando rientri da un viaggio, non se ne può veramente più!
E' da due giorni che ti sei rintanato in casa con la gatta, e chi si è visto si è visto!
Ti ricordo quello che è successo al ritorno dalle Paralimpiadi: tu stavi per conquistare la Medaglia d'oro nella categoria pigroni intontiti e io, invece, dopo due giorni avevo già ripreso servizio!"
"Capitano, scatto sull'attenti, uno degli scatti miei per intenderci...
Smettila però di farmi la morale da caporale di giornata.
Prima che lo proponi tu, lo propongo io.
Pizza, stasera, al Ristorante Pizzeria di Viale Trastevere."
"Per me può pure andare bene", rispose un riflessivo Gasparone, "ma perché non cambiamo un po', andiamo sempre a quello.
Ci andavamo pure da ragazzi."
"Io sarò ancora frastornato dal viaggio, ma tu non puoi non ricordare perché anche adesso andiamo molto spesso lì!"
"Perché si mangia bene?"
"No."
"Perché c'è un buon rapporto qualità-prezzo?", riprovò il Capitano.
"Possibile che non ci hai fatto caso?!
Stai sempre attento a tutto, pure a quanti peli di Cleofe mi sono rimasti sugli indumenti, e non ti è chiaro il vero motivo del perché continuiamo ad andare lì così spesso!"
"Ah Andy, non lo so, non ci ho fatto caso, non mi ricordo.
Devo farci un'indagine sopra per saperlo?
No, dimmi?"
"Non l'ho detto, l'ho pensato però...
Comunque non mi stupirei se tu la facessi...
Quanti uomini e mezzi sofisticati hai a disposizione?", mi divertivo a stuzzicarlo.
"Dai, non ho tempo e voglia di continuare a giocare, devo terminare un interrogatorio."
"Ti salvi sempre per il rotto della cuffia."
"E adesso, mica puoi lasciarmi così, senza dirmi perché andiamo lì così spesso!", reclamò Gaspare.
"Hai ragione, quel che è giusto, è giusto.
Non posso mica avere sulla coscienza che magari ti confondi e domandi all'indagato quand'è stata l'ultima volta che ha mangiato una pizza capricciosa..."
"Dai, che ho fretta.
Allora?"
"Quello di Viale Trastevere è uno dei pochi locali che abbia la toilette a livello strada.
Come sai, non ce ne sono molti."
"E' una cosa importante questa, mi rendo conto", ammise un po' imbarazzato il mio amico.
"Andare in quella Pizzeria mi alleggerisce dall'angoscia, in caso di necessità, di dover scendere impervie e interminabili trombe delle scale.
Per poi dover per forza risalire, come niente fosse.
Mi rende più sereno."
"Hai ragione, hai ragione, non avevo fatto bene mente locale.
Scusami."
"Ah Gasparo', la verità è che tu pensi ancora che andiamo in quella pizzeria liberi e spensierati, come quando ci andavamo da ragazzi.
Ti capisco.
Ma ora torna dall'indagato, se no quello se la squaglia e passa da indagato a ricercato.
T'aspetto di fronte a casa alle venti e trenta."
"Perfetto."
I telefoni tacquero.
Cleofe no, continuava a farmi le fusa.
Anticipai la scampanellata al citofono del Capitano.
Uscii dall'appartamento alle venti e venticinque.
In casa e per brevi percorsi, quale quello per raggiungere la strada, non usavo né carrozzina, né altro supporto.
Conoscevo quei percorsi a menadito e sapevo perfettamente dove appoggiarmi, questo mi era sufficiente.
I Meniconi stavano sicuramente cenando di fronte alla televisione.
Era una serata di festa per loro.
Trasmettevano una puntata di Don Matteo, fiction che abitualmente seguivo anch'io.
Dovevo comunque sbrigarmela da solo, senza poter contare sul loro aiuto.
Con la consueta attenzione e individuando bene il punto di appoggio, passo dopo passo, accompagnato dall'alternarsi di profondi respiri per aiutare la coordinazione del movimento delle gambe, giunsi fuori del portone, ove trovai ad aspettarmi il come sempre puntualissimo Capitano La Guardia.
|
Con la sua macchina raggiungemmo rapidamente la nostra destinazione.
Abito poco distante da Viale Trastevere.
Dopo avermi aiutato a entrare e accomodarmi in Pizzeria, il caro amico andò a cercare parcheggio.
Aveva dovuto, come sempre, lasciare la macchina in doppia fila davanti al locale.
Tutto questo lo faceva per rendermi il percorso da effettuare meno lungo, quindi meno faticoso.
Inutile dirlo, ma Gasparone aveva proprio un cuore d'oro.
Una grande città, generalmente, con la sua alta densità di veicoli, porta problemi supplementari, sia a noi Andy che a quegli intemerati che ci frequentano.
Entrambi, chi per un verso chi per un altro, per reggere la situazione, ci facciamo delle vere e proprie scorpacciate di quella virtù che è la pazienza.
Non per nulla definita comunemente Santa pazienza.
Il cuore d'oro fu presto di ritorno.
Avevo già ordinato al cameriere Spartaco, che conoscevamo entrambi dagli albori delle nostre prime uscite serali giovanili, supplì e filetti di baccalà per me e Gaspare, cosa che gli comunicai al suo ritorno.
"Non esagerare", mi redarguì subito, "mi hai sempre detto che queste cose, compresa la pizza, non ti fanno bene."
"E' vero, ma una scappatella ogni tanto consolida il rapporto con certi comportamenti rigorosi... che intendo mantenere, bada bene.
Non penserai mica anche tu che la mia vita è fatta solo di malattia.
Per la precisione non è fatta solo di Sclerosi multipla."
"Già, poi forse non è neanche così fondamentale, per la tua patologia, seguire un'alimentazione così rigorosa."
"Errore, non bastano i medicinali. Mai.
Il primo medico di noi stessi siamo proprio noi, con l'atteggiamento complessivo che teniamo nei confronti dello schema terapeutico proposto, con la nostra attiva partecipazione e collaborazione, per estirpare, se possibile, la patologia che ci ha colpiti.
Inutile girarci intorno, dandosi degli alibi.
Le medicine non bastano se non sono affiancate da un idoneo stile di vita.
Sana alimentazione e, nel caso mio, fisioterapia.
Parlando di certi argomenti, mi hai fatto tornare in mente quando cominciai ad accusare i primi sintomi incontrovertibili della patologia.
Lo ricordo chiaramente.
Avvenne una bella serata di fine settembre."
"Ne è passato di tempo.
Anzi, sono passati anni", chiosò Gasparone, "quasi una ventina oramai."
"Andavamo a giocare a calcetto. Ricordi?
Il giovedì sera, nelle partitelle organizzate da Nico."
"Ah sì, il tuo simpaticissimo cugino."
"Quella sera, rimasta indimenticabile per me, con mia grande sorpresa, dopo pochi minuti che avevamo cominciato a giocare, mi ritrovai con l'essere costretto a trascinarmi la gamba destra per il campo.
Non mi rispondeva più.
Il mio contributo di gioco alla squadra, di conseguenza, si inabissava."
"Allora ti rifugiasti a giocare in porta.
Il ruolo che fin da ragazzi ti era sempre stato congeniale", ricordò bene La Guardia.
"Quello mi sembrava essere l'unico modo per non essere di peso e provare meno imbarazzo", confidai.
"Certo, in più tu eri anche l'unico fra noi che si sapeva buttare tra i pali.
Facevi parate che destavano lo stupore e l'ammirazione di tutti, avversari compresi."
"Questo ripiego mi costava una certa inquietudine.
La gamba era come se fosse addormentata, inspiegabilmente addormentata.
In altri momenti, nell'arto avvertivo un inconsueto formicolare.
Interrogativi si sommavano a interrogativi."
"Da quello che mi confidavi, in quei primi momenti di profondo disorientamento tutto risultava essere completamente anomalo."
"E lo era."
Accompagnato da una battuta di cordialità, espressa in rigoroso dialetto romanesco, Spartaco posò sul tavolo quanto avevo ordinato.
Per la fame, come due vecchi briganti, assalimmo il cibo.
Nonostante questo, agli occhi degli altri avventori, riuscimmo a mantenere un contegno tutto sommato accettabile.
Terminato di mangiare il secondo supplì, ripresi il discorso:
"Giocando in porta non dovevo più trascinare la gamba, certo, ma un'altra seccatura, e non di poco conto, era in agguato."
Il Capitano, con manifesta intenzione di cambiare discorso, fece:
"Ottimi questi supplì, direi speciali, e cosa dire dei filetti..."
"Al momento direi niente.
Scusami, ma stasera è una di quelle serate strane, nelle quali sorge spontaneo il bisogno di ricapitolare, diciamo così..."
Il Capitano, imbarazzato e addolorato, annuì comprensivo abbassando lo sguardo...
"La seccatura ulteriore consisteva nel fatto di cominciare a vederci doppio.
Cosa che in seguito fu dottamente catalogata da alcuni dei medici che mi visitarono come fenomeni di diplopia."
"Uno dei tipici sintomi della patologia", intercalò Gaspare, con una voce velata di tristezza.
"Non sai quanto mi è stato utile in certe occasioni il fatto di aver giocato in porta", dissi cercando di dare una sterzata di leggerezza alla conversazione che stava cominciando ad essere appesantita da quelle memorie.
"Tutto quello che si è imparato, prima o poi, può tornare utile", confermò il mio amico.
"Infatti, sapermi buttare penso mi abbia salvato dal procurarmi molte brutte fratture.
Sette-otto almeno.
Con tutte le cadute che ho fatto in questi anni, finora, l'ho passata sempre liscia."
"Oh, va bene che ancora non ti sei ripreso pienamente dal viaggio, ma non possiamo mica passare il resto della serata a rimestare sulle alterne vicende della vita.
Dobbiamo forse omaggiare il fortunello Andy, che ancora non s'è fratturato nemmeno una volta?"
Indirizzai allora la conversazione su un altro binario.
"Hai mai riflettuto, anche solo per un istante, sul valore dei nomi, anzi nel caso nostro dei cognomi, sul destino delle persone?"
"No, Andy, veramente no.
Devo essere fucilato per questo?
Non cominciare, ti prego, a concionare sulle tue interessantissime, nonché lunari teorie.
Penso, invece, che sia giunto il momento di scegliere e ordinare le pizze."
"Tu come ti chiami?"
"Gaspare La Guardia e faccio il Capitano dei Carabinieri.
Sì, nel mio caso questa affinità è lampante. Contento?"
"E nel mio? Ti sfido a trovare un nesso con la mia vita."
"Ma dai, cos'è questo nuovo giochetto?"
"Prova", lo esortai.
"Alessandro Tornelli... ci penso un attimo."
"Fai pure con comodo, abbiamo tempo.
Dobbiamo ancora ordinare le pizze."
"Senti non lo so... Tornelli.
Sarà una cosa che gira.
Ma non trovo nessun nesso con te."
"Non trovi nessun nesso...?
Sono sbalordito.
Hai proprio la testa foderata di prosciutto.
Non riesco a capire come nell'Arma ti tengano ancora in servizio."
"Perché ho la forza di sopportare l'amicizia con un rompiscatole come te.
Che ne dici?", disse con tono amichevole.
"E' la mia vita che, come in un tornello, si è rigirata.
Completamente.
D'improvviso, inaspettatamente."
"Hai ragione, non avevo mai pensato al tuo cognome anche in questo senso."
"Ha fatto tutto da sola la sclerosi multipla, che da tempo oramai chiamo confidenzialmente SM."
|
Spezzando l'atmosfera che si stava facendo nuovamente un poco pesante, incrociando lo sguardo di Spartaco, ordinai: "Due pizze con funghi e salsicce."
"Ariveno subito, capo."
"Ma... che hai scelto anche la pizza che dovrei mangiare io?"
"Non preoccuparti, ti ho tolto un problema.
Mi puoi anche ringraziare se vuoi."
"Questo mi sembrerebbe il colmo..."
"Cominciai a cadere, a inciampare sempre più spesso, a vergognarmi di farmi trovare a terra...
In quelle occasioni ho imparato, giocoforza, ad apprezzare il modo di cadere che avevo praticato facendo il portiere di calcio."
"Cadevi spesso all'inizio della vicenda.
Più che cadere, la sensazione che si aveva era quella che crollassi.
Improvvisamente.
Senza un lamento.
Magari con qualche imprecazione detta a denti stretti."
"I primi tempi, nonostante la rabbiosità della SM, avevo ancora la forza di rialzarmi completamente da solo.
Appoggiandomi sempre a un muro o a una macchina."
"Dai, che ti sei sempre rialzato, il più delle volte senza bisogno dell'aiuto di nessuno", mi incoraggiò Gasparone.
"Oh sì, oramai non sono più un pivellino.
Ho migliorato la soglia d'attenzione e sono riuscito a stabilizzare gli effetti della patologia. In pochi ci credevano."
"Ma tu sì.
Questo è stato fondamentale.
Anzi, direi essenziale."
Spartaco, cameriere del locale da anni, servendo le due pizze ordinate, a mezza bocca mi sussurrò: "Ah dotto', anvedi chi c'è?"
"Non lo so, è pieno di tanta gente."
"Guardi, guardi quelle du' signorine che so' appena 'ntrate."
"Chi?
Mi devo girare, da qui non vedo niente."
"Fermo, fermo, fermo non ti girare, ci penso io.
Spartaco, ma a chi stai alludendo, a quelle due appena entrate?", chiese La Guardia.
"Ah Capita', sì, a quelle tutte acchittate e coi vestiti firmati."
"Tu Andy non muoverti di un centimetro.
Al massimo ti consento di poter respirare.
Certo, Spartaco hai un'ottima memoria!"
"Ah Capita', e chi se la po' scorda 'na s... sciocchina così."
Andy, rigido, di spalle quasi fosse imbalsamato: "Spero, auspico che le mie supposizioni sull'identità della donna di cui state parlando siano errate.
Completamente errate.
Lo spero vivamente."
"D'altronde, quello che è Carabiniere tra noi sono io."
"Nun ve volevo mica rovina' la serata.
M'è sembrato giusto dirvelo.
Scusateme."
"Grazie non preoccuparti, ci consoleremo mangiando queste due ottime pizze fughi e salsicce.
Dall'aspetto, non possono che essere straordinarie."
Dicendo così, Gaspare pensava di aver alleggerito un poco la tensione crescente.
Almeno in piccola parte.
Non mi ero voltato neanche un po'.
Ero rimasto immobile.
Pensieri, ricordi, caustiche atmosfere e tanto altro di non meglio definibile mi volteggiavano nella testa.
Prima di rivolgere a Gaspare la domanda delle domande, addentai un pezzo di pizza, scelto con attenzione tra quelli che avessero almeno un pezzo di salsiccia sopra.
Dopo averlo lentamente masticato dissi: "E' lei?"
"Mi sembra proprio di sì."
"Con chi sta?"
"Credo con un'amica."
"Sei proprio certo che sia lei?"
"E' Eleonora, senza ombra di dubbio.
Gesticola nervosamente come ai tempi."
"Vivevamo insieme all'epoca dell'inizio della mia sciagura.
Nello stesso palazzo dove vivo ora.
Avevo acquistato la casa qualche anno prima."
La Guardia annui.
"Ci volle del tempo per capire cosa realmente avessi.
I sintomi della SM cominciavano a intensificarsi.
A stare in piedi mi stancavo sempre più facilmente.
La zoppia manifestatasi durante le partite di calcetto stava diventando sempre più presente ed evidente.
Dalla girandola delle visite mediche non si era capito niente."
"Sono tutte cose che già so.
Non continuare a girare il coltello nella piaga."
"Un passaggio credo tu non lo sappia, mi era troppo faticoso confessarlo anche a te.
Ho sempre detto, dando una versione falsa, che con Eleonora era finita perché si era dovuta trasferire in un'altra città per motivi di lavoro.
Non era così.
Quando, dopo essermi sottoposto alla risonanza magnetica, si capì il problema che avevo, la diagnosi fu automatica.
Comunicare la cosa a Eleonora e vederla fare le valigie fu un tutt'uno."
"Pensavi che non lo avessi capito.
L'aveva capito anche Spartaco.
In tutti i casi, non mi pare che una così sia stata una grande perdita", mi consolò Gasparone.
"Assolutamente no.
Però non mi piace incontrare dei fantasmi... che magari avrebbero anche la sfacciataggine di fare qualche domanda, del tipo: Come va?"
"Tiramisù?"
"Pensi di fare un ultimo strappo?", chiesi.
La mia domanda rimase sospesa, senza risposta.
Nel locale irruppe, armato di chitarra, un cantante che intonava stornelli romani.
Non poteva che partire con "Ma che ce frega, ma che c'importa".
Ridemmo all'unisono per il tempismo.
L'ordinazione per i tiramisù era partita.
Spartaco li portò rapidamente.
Nel tornare alle richieste di altri clienti, mi diede un'esauriente pacca sulle spalle.
Eleonora si era rovesciata maldestramente il piatto addosso, inzaccherandosi tutto il vestito.
Uscendo e dovendo necessariamente passarle vicino, ci fu solo un casuale incrocio di sguardi senza alcuna sorta di sviluppo.
Era troppo intenta a cercare di ripulirsi.
Usciti e arrivati su Viale Trastevere, Gaspare ebbe a dire:
"Ma lo sai che appoggiandoti al braccio non pesavi quasi niente."
"Dai andiamo, domani devo svegliarmi presto.
Devo andare dal direttore del mio giornale, Mezzacapa."
Saliti in macchina, sulle note di Caro amico ti scrivo ci destreggiammo in quella notte di luna crescente.
|