Il mio regno per un parcheggio

[Racconto di Massimo Pedroni]

 



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durata 24 minuti




Arrivai sotto il portone della redazione del giornale verso le nove e trenta.
Il messaggino che avevo ricevuto la sera precedente, quando ero in procinto di addormentarmi, era del Direttore, come avevo ipotizzato.
Mi comunicava che, dalla mattina presto e per tutto il giorno, sarebbe stato in redazione.
In sostanza mi chiedeva se avessi potuto contattarlo per accennargli il contenuto delle proposte per il prossimo servizio.
Sceso dal taxi, entrai nel Bar dei Sognatori, pubblico esercizio adiacente al portone della sede di «L'Altra Campana».
Nel corso del tempo avevo stretto amicizia con il proprietario Guglielmo Cavezzoni.
Avevo anche trascorso qualche serata nel suo locale.
Attutivo così delle folate di malinconia che, seppur raramente, prendono anche a me.
Persona amabile, il Cavezzoni, gioviale, appassionato dei cantautori italiani.
Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Bruno Lauzi, fino ad arrivare a Lucio Battisti, suo cantautore preferito.
Cavezzoni era di origini lombarde.
Longilineo, molto garbato e disponibile, sempre vestito con abiti di gusto e di ottima fattura.
Nell'immagine che dava di sé, la nota volutamente dissonante stava nella sua capigliatura.
Portava, infatti, i capelli lunghi fino alle spalle.
Erano di un color sale e pepe brillante.
Questo elemento, che da più d'uno poteva essere considerato stonato, ottimamente si armonizzava con il nome che aveva scelto di dare al suo esercizio.
Appena entrai nel bar fui accolto da un suo cordiale "Buongiorno, ben levato, ben svegliato!"
"Buongiorno. Stamane, devo dire, ho notato con un certo disappunto che l'orchestrina non è stata impeccabile nell'esecuzione del musicato buongiorno abituale.
I violini, soprattutto i violini, li ho trovato carenti", dissi con tono trasparentemente ironico, cosa che provocò, come desiderato, un bella ghignata del mio interlocutore.
"Passando a parlare di cose serie, vorrei fare una sorpresa a Mezzacapa, ma ho bisogno del tuo aiuto."
"Come sai, sono a tua disposizione."
"Hai dei cornetti integrali?"
"Certamente, e ottimi!"
"Me ne prepari un piccolo vassoio e mi aiuti a portarlo?"
"Tutto qui? Ma certo, con piacere!"
Cominciò a dare le disposizioni del caso ai collaboratori.
Nel frattempo, accennava a motivetti del repertorio del suo cantautore preferito tipo "I giardini di Marzo..." o "Che giorno è, che anno è...".
Ma il vertice espressivo, Guglielmo lo raggiungeva quando con voce soffusa accennava "Che ne sai tu di un campo di grano? Poesia di un amore profano..."
Per l'intensità e il tono con i quali mormorava, faceva assumere al quesito sul "Che ne sai tu di un campo di grano?" venature metafisiche.
Ulteriore nota di colore, era data dal fatto che, credo di poter dire "unico in tutta Italia", al Bar dei Sognatori era ancora in funzione un juke-box.
I dischi, scelti personalmente dal gestore del locale, ricalcavano i suoi gusti: musica dagli anni settanta in poi.
Il vassoio era pronto.
Uscendo dal locale, accompagnato dall'elegante amante di musica d'autore che cortesemente portava i cornetti, prima di entrare in redazione volli sincerarmi di un'ultima cosa.
Oramai mi ero talmente abituato che pareva anche a me naturale che il posto auto riservato ai portatori di handicap fosse occupato dall'abusivo di turno.
La macchina, una Fiat credo di nuova generazione, non era munita del contrassegno per disabili necessario per poter parcheggiare in quel posto.
Avevo, per l'ennesima volta, vinto la triste scommessa con me stesso.
Quella per la quale, forte delle mie esperienze, avevo puntato sul fatto che il parcheggio fosse stato occupato da chi non ne aveva diritto.
I parcheggi per disabili disseminati per la città, quelli senza Concessione ad personam, per intenderci, dovrebbero aiutare tutti gli Andy a condurre una vita integrata e meno faticosa quando si tratta di andare a lavorare, a fare la spesa, andare al cinema o dal medico.
Quel posto, collocato proprio di fronte all'ingresso del portone della redazione, per le mie esigenze era potenzialmente fantastico.
Per l'ennesima volta, però, il parcheggio era occupato da qualche benestante.
Definizione da prendere non in senso economico, ma nel suo significato letterale di persona che sta bene.
A causa di questo fatto ero costretto a usare il taxi per andare al giornale.
Verificata la cosa, ci scambiammo con Guglielmo, senza profferire parola, sguardi di significativo sdegno.
Entrando nella stanza del Direttore, seguito dal gestore del Bar dei Sognatori, esordii con uno squillante "Sorpresa!"
Cavezzoni, assecondando un mio gesto, posò sulla scrivania del Mezzacapa il vassoio di cornetti integrali scartandolo.
Il destinatario del dono rimase visibilmente sorpreso.
Ancora un poco interdetto ci salutò e diede il benvenuto a entrambi.
Compiuto il compito, Cavezzoni si congedò celermente da noi.
Era l'orario nel quale il bar sarebbe entrato in piena attività.
Uscendo, sentimmo distintamente che il generoso accompagnatore rinnovava a se stesso, canticchiandolo, il pregevole quesito: "Che ne sai tu di un campo di grano?"

 

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Rimasti soli, precedetti il Direttore, che già aveva aperto la bocca per dire qualcosa.
"Caro Direttore, non posso più vederla affogare tra pastarelle e maritozzi alla panna."
"Ma Tornelli..."
Lo interruppi immediatamente: "Dottor Ascanio, non ci sono né se, né ma.
Ha un diabete galoppante, deve fare assolutamente una rieducazione alimentare complessiva.
Cominciamo dalla mattina, mangiando almeno dei cornetti integrali."
Il mio dire, sicuro e determinato, lo spiazzò completamente.
Roteava lo sguardo per la stanza cercando qualche appiglio.
Non ne trovò alcuno.
Aveva l'espressione di un bovino condannato a morte.
"Quello che lei segue è uno stile di vita che non può più permettersi."
Nonostante fossi con le sole stampelle, senza carrozzina, i miei pronunciamenti suonavano alle orecchie del Mezzacapa particolarmente autorevoli.
Ciò risultava evidente dalla rotondità della pancia, solcata da sbalzi di nervosismo.
Disse solo con un filo di voce: "Mi piacciono da morire i dolci."
"Caro Direttore, nel suo caso proprio da morire, se continua così..."
"E' più forte di me."
"Deve passare alla stevia come dolcificante.
Comunque non mi permetto di entrare in valutazioni di diete che vanno prescritte da medici specializzati.
Nel mio piccolo, cerco di lavorare sulla diminuzione del danno."
Prima di ingurgitare il primo cornetto, il Direttore, con una punta di commozione, mi ringraziò.
Dopodiché, ognuno rientrò nei ranghi.
"Allora Tornelli, di quale argomento dovrebbe trattare questo servizio-bomba?"
"Quale mobilità per Andy."
Alzandosi baldanzosamente in piedi, come faceva abitualmente quando la conversazione cominciava a interessarlo, di rimando chiese: "Sarebbe a dire?"
"Una grande città come la nostra è piena di tensioni, le quali spesso degenerano in piccole cattive prepotenze quotidiane.
Cattiverie, che spesso vanno al di là dell'intenzione e della consapevolezza di chi le mette in atto."
"Non colgo appieno quello che vuoi dire.
Fammi un esempio."
"Direttore, lei sa che guido la macchina.
Cosa possibile grazie al fatto che ogni anno, dopo un corposo adempimento di pratiche burocratiche e spese, tutte a mio carico, per bolli, visite e quanto altro, rinnovo la patente."
"Caro Tornelli, è una cosa lodevole."
"Grazie.
Certo, se me la rendessero un poco meno complicata, non sarebbe poi tanto male.
Se non avessi un amico come Gaspare, da solo, penso proprio che non ce la farei a fare tutti i giri richiesti.
Come tutti sanno, non è certo la burocrazia la migliore amica del cittadino, anzi!
Quando, poi, riguarda degli Andy, diventa particolarmente spinosa.
Tra prenotazioni del giorno della visita, documenti da portare, bollettini da pagare, con tutte le file connesse da dover fare, è una cosa veramente estenuante."
"Mi dispiace per tutti questi disagi, ma non vedo il nesso."
Il Mezzacapa stava diventando impaziente.
Agguantando il terzo cornetto, si alzò, cominciando a girare per la stanza.
"Dopo tutto quello che le ho detto sinteticamente, risulta evidente che farsi rinnovare ogni anno la Patente Speciale è una cosa impegnativa."
"Va bene e allora?"
"Come lei sa, vengo in Redazione con il Taxi.
Secondo lei perché faccio questo?
Per mia volontà o perché ci sono costretto?
Ci ha mai pensato?"
Il Direttore arrestò il suo pellegrinare per il vano.
Era rimasto spiazzato dalla domanda.
"No, non me lo sono mai chiesto.
Ne ho semplicemente preso atto."
"Non è una mia scelta, non ho altro modo.
Il parcheggio per disabili lo trovo sempre occupato, ovviamente, da chi non ne ha diritto. Vorrei fare un servizio su questo.
"Quale mobilità per Andy", per l'appunto".
Il Direttore, stando rispetto a me di profilo, rendeva ancora più evidente la sua pancia a punta.
Il suo pronunciato ventre non era sferico, bensì a siluro.
"Sì, si può fare", disse con laconica incisività.
"Girerò per la città a cogliere le situazioni più eclatanti.
Mi farò aiutare dal mio amico Gasparone... volevo dire Gaspare La Guardia."
"Il Capitano che è venuto con lei alle Paralimpiadi."
"Esatto, è il mio amico di sempre.
Cominceremo domani.
Può andare bene?"
"Perfetto.
Un reportage asciutto, sintetico, incisivo."
"Sarà così, non si preoccupi.
A questo punto, un cornetto lo prendo anch'io.
Permette?"

 

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Uscendo, ebbi modo di verificare che la vettura dell'intruso era ancora parcheggiata dove non doveva.
Si era quasi fatta l'ora di pranzo.
Sapevo che, quando poteva, il mio amico uno spuntino al Bar dei Sognatori non se lo negava, specialmente per la ricca offerta di pizzette e panini.
Per quanto mi riguardava, gli apprezzamenti si rivolgevano all'assortimento delle verdure cotte e crude.
Entrai quindi nel Bar, con la nutrita speranza di incontrare La Guardia.
Entrando, incrociai lo sguardo di Guglielmo il quale, senza bisogno di alcuna mia domanda, mi fece un cenno per indicarmi l'uomo seduto di spalle a uno dei suoi tavolini.
Era Gasparone che, contrariamente alle sue abitudini, si stava facendo una bella scorpacciata di pasta e fagioli.
Posso dire che quella del Cavezzoni era sempre stata degna di nota.
In piedi e rimanendogli dietro le spalle, gli sibilai un "Capitano at-tenti!".
Il pover'uomo, con ancora il cucchiaio in mano, stava per scattare.
Interruppe il gesto di alzarsi dicendo: "Guarda che già mi ci hai fatto cadere una volta, ma ora non ci casco più.
Anche perché ti ho visto benissimo riflesso nello specchio."
"Bravo, complimenti, hai superato il test di "Sentinella allerta, allerta sto".
Non farmi quelle domande oziose del genere com'è da queste parti?
Sai benissimo che la redazione è qui."
"Sei venuto in taxi suppongo."
"Hai già verificato anche tu che il posto invalidi è indisponibile?"
"No, è che ti vedo con la sola stampella senza sedia a rotelle."
"Certo, prendere il taxi con la sedia è una ulteriore complicazione.
Comunque torniamo noi.
Era buona la pasta e fagioli?"
Chiesi questo accomodandomi nel posto di fronte a lui.
"Ottima.
Specialmente con una piccola aggiunta di un filo d'olio e un pizzico di peperoncino.
Sono piccoli dettagli ai quali una persona che viene dal nord, come Cavezzoni, non fa tanto caso."
"Mi avevi detto che domani sei libero dal servizio, giusto?"
"Giusto. In cosa mi vuoi intrappolare?"
"Eh, eh che parole grosse.
Cerco di elevarti dal tuo misero stato, coinvolgendoti in un servizio giornalistico che farà epoca e mi vaneggi di intrappolamenti?"
"Domani alle nove, davanti a casa tua.
Va bene?"
"Perfetto.
Ma non hai da chiedermi altro, di che si tratta, dove, perché?"
"Sarà o non sarà un servizio che farà epoca?
Mi fido di quello che dici, e ovviamente dell'autorevolezza della testata..."
"Fai, fai lo spiritoso, te ne accorgerai mio Capitano.
A domani, ora devo proprio andare.
Ricordati di portare la macchina fotografica."
"Le danzatrici hawaiane no?
Hai bisogno di altro?"
"No, grazie.
Domani ti spiego tutto meglio."
Tra un saluto e l'altro, mi dileguai con la celerità consentitami.
Incredibilmente, come accade solo nei film americani, riuscii a prendere un taxi al volo.

 

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L'indomani cominciammo a girare per la città.
Gaspare era arrivato come sempre puntualissimo.
Mentre guidava, lo misi al corrente dell'oggetto del servizio che avremmo dovuto fare.
Dicevo, spiegavo, rispondevo alle sue domande.
Guardavo la strada.
A un certo punto urlai, in modo perentorio, al mio autista d'occasione: "Ferma!
Arresta la macchina."
Cosa che immediatamente fece.
Comprese agevolmente che dicendo "Arresta la macchina" non volevo dire portarla in guardina.
"Prendi la macchina fotografica, questa è enorme, pazzesca, non ce la possiamo lasciare scappare."
Eravamo arrivati in una zona bene semicentrale della città.
Collocati in bella vista, anzi direi proprio offensivamente ostentati, nell'area riservata a due parcheggi per disabili, di quelli di sosta temporanea per intenderci, erano stati collocati... cassonetti della spazzatura!
Dai recipienti, colmi all'inverosimile, spuntava di tutto.
Sacchetti chiusi maldestramente stavano in terra, a dare al quadretto quel tocco in più di desolazione.
Senza che neanche dicessi qualcosa, Gaspare aveva già cominciato a fotografare a oltranza, con un espressione di disgusto sul volto.
"Ti infastidisce la spazzatura?"
"No, è il linguaggio drammaticamente simbolico che trasmette questa oscenità."
"Ossia?"
"Ma come, non te ne rendi conto?
Vi equiparano a rifiuti.
Nel posto riservato agli Andy, secondo questi ignoti mentecatti, può trovare omogenea collocazione la spazzatura.
E' disgustoso!"
Continuava a fotografare sempre più indignato.
"Caro amico, è solo l'inizio, ne vedremo delle belle.
Ora andiamo a colpo sicuro da un'altra parte."
Gasparone, sempre alla guida, seguiva le mie indicazioni.
Arrivammo in una piazza.
Dei camerieri stavano collocando dei tavoli all'esterno del locale.
Altri stavano apparecchiandoli.
Passanti, alcuni frettolosi, facevano quello che dovevano fare... ossia passare.
A una prima occhiata, sembrava tutto normale.
Il Capitano mi guardava con aria interlocutoria e interrogativa.
"Non noti niente di strano?", gli chiesi.
Osservò meglio.
Il suo sguardo si fissò sul frenetico lavorio dei camerieri del ristorante.
Lo vidi trasalire.
Stentava a credere a quello che vedeva.
I lavoranti, sotto le implacabili direttive di colui il quale doveva essere il gestore del locale, collocavano i tavolini sulla strada, in quanto la zona era pedonale.
Il piccolo dettaglio consisteva nel fatto che facevano ciò sulla evidentissima segnaletica orizzontale che delimitava due parcheggi riservati agli Andy.
Tovaglie, piatti, bicchieri e quanto altro volteggiavano sui posti così usurpati.
Il gestore, con scontrosa arroganza, sbraitava ordini ai suoi sottoposti.
"Non è possibile, questo è veramente troppo.
Semplicemente incredibile."
"Fotografa, vedrai che bel servizio facciamo!"
"Sì, sì, fotografo, poi vado da quel signore a fargli la gigantografia."
Il mio amico cominciava a essere visibilmente alterato.
Fotografò, poi senza alcun preavviso si diresse verso l'indisponente ristoratore.
Lo raggiunse, ma data la mia distanza da loro non sentii cosa si dissero.
Compresi, dalla mutata espressione del viso del gestore, diventato terreo, che il Capitano s'era qualificato.
Colti da improvvisa frenesia, come in una pellicola del cinema muto, i camerieri, sparecchiandoli, stavano riportando di gran carriera tutti i tavoli dentro.
Udibile chiaramente mi fu solo l'ultima frase che Gasparone rivolse allo spregevole individuo: "Se pensa che sia finita qui si sbaglia di grosso.
I colleghi dei Nas verranno presto a farle una visitina."
Rientrando in macchina chiuse lo sportello, sbattendolo energicamente.
Si era molto incupito.
Vagammo un poco senza una meta precisa.
Fin quando dovemmo rallentare, fino a doverci fermare.

 

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Una signora dall'aspetto gradevole stava aiutando ad attraversare la strada un uomo anziano, che doveva essere uno dei nostri.
Colsi immediatamente due cose.
La prima è che, non so perché, ma la signora mi sembrava un volto familiare; la seconda era più importante.
Il parcheggio con Concessione, dirimpetto al marciapiede che i due con molta attenzione stavano attraversando, era occupato da una vettura.
Dietro di essa, una macchina parcheggiata in modo da bloccare deliberatamente la prima.
Mi fu subito tutto chiaro.
L'avente diritto al parcheggio doveva essere l'anziano.
Sceso dalla macchina, armato di tutte le mie stampelle, mi rivolsi alla signora: "Ha trovato il posto occupato, vero?"
"Si, quello di papà.
Non hanno lasciato nemmeno un biglietto.
Da più di mezz'ora ho chiamato i vigili, ma ancora non è arrivato nessuno.
Devo accompagnare papà a casa, perché con i problemi che ha si è strapazzato anche troppo."
Anche il Capitano era sceso dalla macchina.
Diventò subito operativo, chiamando con il telefonino chi di dovere per far rimuovere rapidamente la macchina abusiva.
"Accompagni pure il papà a casa.
Non si preoccupi, per liberare il suo posto se ne sta già occupando il mio amico.
E' in borghese, ma è un ufficiale dell'Arma."
Nello scambio di battute con la donna, ci guardavamo con un interesse superiore ai motivi contingenti.
Era palpabile una sensazione di già visto, di già conosciuto.
L'accompagnatrice dell'uomo anziano disse solo, squadrandomi attentamente per l'ennesima volta: "Grazie, accompagno papà a casa e riscendo subito."
Gasparone fotografava.
Un forte rumore di clacson ci fece sobbalzare.
Era l'usurpatore che era tornato e reclamava la sua libertà di movimento.
Con arroganza apostrofò Gaspare: "Mi sposti la sua macchina, ho fretta."
Il soggetto aveva appena buttato la ventiquattrore sul sedile del passeggero.
La Guardia, visibilmente ombrato, asserì: "La macchina non è mia, ma è ottimamente posizionata per farla rimanere sul posto fino all'arrivo dei miei colleghi che le faranno la multa e le toglieranno due punti dalla patente."
L'uomo rimase esterrefatto.
"Perché?"
"Non è un posto con Concessione per disabili quello?", chiese con ironia rabbiosa Gasparone.
Il tizio guardò con attenzione, per dire soltanto: "Allora?"
Fortunatamente arrivarono i colleghi del mio amico, giusto in tempo...
A fronte di quella risposta, stavo per tirare in testa allo screanzato – per non dire peggio – una delle stampelle.
"Mi scusi, forse mi sbaglio, ma ho l'impressione che ci siamo già conosciuti...", sentii dire nella mia direzione.
Era la signora di prima, scesa da casa come promesso.
"Anch'io ho avuto questa netta sensazione...", ribattei, mentre cercavo qualche appiglio concreto fra i ricordi.
Alla fine la ricerca ebbe buon esito ed esclamai: "Corso di recitazione 1980 o 1981.
Claudia Saporini!"
"Alessandro Tornelli", ricordò anche lei.
Ci scappò un abbraccio carico di entusiasmo... e qualche vibrazione di quello che fu.
Si balbettò di... saranno almeno venti anni o forse più che non ci si vede... e altre sintetiche amenità, tipiche di queste occasioni.
Ad un tratto Claudia mi chiese a bruciapelo: "Frequenti ancora il teatro?"
"Certo che sì."
"Allora ci scambiamo i telefoni per concordare l'appuntamento di domani."
Nel mentre, i colleghi di Gaspare stavano bastonando a dovere lo smargiasso.
"Quale appuntamento?"
Ero rimasto preso completamente in contropiede.
"Domani sono stata invitata da un amico a vedere il suo spettacolo.
Se vuoi e puoi, potresti venire con me.
Abbiamo tante cose da raccontarci."
Risposi di getto: "Sì, posso, mi farebbe molto piacere."
Mi rilesse rapidamente i reciproci recapiti telefonici.
Erano giusti.
Spostò la macchina, dopo che all'usurpatore erano state comminate tutte le sanzioni possibili.
"Ora devo proprio scappare da papà.
E' il giorno di libera uscita del badante, non può rimanere a lungo da solo."
"Capisco!"
Scambiarsi un ciao frettolosamente e vederla scomparire nel portone fu un tutt'uno.
Saliti in macchina, Gaspare disse: "Il servizio verrà molto bene, ne sono certo.
Non pensavo, però, che fosse una cosa dall'acchiappo facile."
Feci un grugnito dall'indecifrabile significato, anche per me stesso.
Mi stavano sommergendo le atmosfere, i ricordi e gli aromi del tempo che fu.
Cose che possono succedere anche a un giocherellone come me.

 

 

 

 
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