All'appuntamento

[Racconto di Massimo Pedroni]

 



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durata 28 minuti




Da tempo non avevo un impegno serale da solo con una donna, dopo la catastrofica vicenda passata con Eleonora.
Sì, qualche situazione galante nel corso del tempo si era venuta a creare...
Niente di che, vicende insipide, affrontate solo, forse, per potersi dire di essere ancora in pista.
Certo, il trauma da abbandono patito grazie alla determinata spietatezza della mia ex aveva sviluppato in me una coltre di diffidenza di una certa rilevanza.
Generalmente – e io non faccio eccezione – situazioni simili lasciano strascichi di ferite dolorose.
Dare spazio a nuovi incontri e percorsi affettivi non è certo cosa semplice, come è comprensibile che sia.
Rientra solo nel novero delle possibilità.
Dalla situazione con Eleonora ne ero uscito malmesso, con un senso di amarezza e delusione complessiva.
In aggiunta a ciò, per onestà intellettuale, mettiamoci pure che, a causa dell'evoluzione delle mie condizioni fisiche, qualsiasi iniziativa avessi avuto intenzione di intraprendere con una donna sarebbe nata sotto l'insegna di un oggettivo iniziale imbarazzo... sia per me che per la nuova ipotetica interlocutrice.
Presentarsi a un primo appuntamento bardato di stampelle non può considerarsi tra le cose più invitanti.
Devo confessare che in contesti simili mi sentivo inadeguato e, diciamolo pure, provavo un filo di vergogna.
Sensazioni incontrollabili, che comunque talvolta ancora vivo.
A dispetto di tutto questo, non nutrivo, e non nutro tutt'ora, la minima intenzione di ammainare la bandiera.
Entrare in relazione con il pianeta donna rientra sempre nei progetti di vita.

Certo, sembrerà banale dirlo, ma un grosso, ma proprio grosso problema nel cercare di intraprendere una nuova esperienza di intrigo sentimentale è costituito – per chi è nelle mie condizioni – dai problemi connessi alla libertà di movimento.
Tranne che a casa propria, il solo darsi un appuntamento altrove comporta un insieme di valutazioni da fare di una certa rilevanza.
In città, sotto questo aspetto, la cosa è molto complessa.
Facendo mente locale, non sono poi tanti i luoghi che si possono facilmente frequentare.
Posso fare forza solo su quei tre o quattro ristoranti con il parcheggio interno e con le toilette al piano e quel paio di cinema che complessivamente possono risultare accessibili.
Una scelta francamente limitata per poter effettuare inviti adeguati.
Questa obbligata limitazione di possibilità di scelta risulta particolarmente gravosa se, come naturale che sia, si concretizza la possibilità di un periodo di corteggiamento.

L'invito di Claudia Saporini era nato così spontaneo che mi aveva messo subito a mio agio.
Nonostante mi avesse visto con le stampelle, la mia ex-compagna al corso di recitazione aveva reagito alla cosa con una naturalezza che disarmava riserbi e pudori.
Ma non montiamoci la testa.
Rimaniamo, per quanto possibile, con i piedi ben piantati a terra.
In tutti i sensi.
Per ora si tratta solo di aver accettato l'invito per andare a teatro.
Niente di più.
Non montiamoci la testa...
Era quello che sembrava ribadirmi Cleofe, con l'ultimo sguardo di congedo.

 

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Mi aveva fatto piacere, nel corso della giornata, ricevere una telefonata da Claudia.
La comunicazione che intercorse fra noi fu stringata, essenziale: andava di fretta, non me ne disse il motivo.
Pensai per problematiche da risolvere rispetto alle esigenze del padre.
Avemmo, comunque, modo di definire i termini dell'appuntamento.
Sarebbe venuta a prendermi lei, alle 20,15.
Cercai di offrirmi di passare a prenderla io.
Un minimo di gentilezza e galanteria li sentivo come minimo doverosi.
Lei fu irremovibile nella scelta e aveva ragione da vendere.
Sarei stato sicuramente in grado di passare da lei, ma quale situazioni di parcheggio ci saremmo trovati di fronte, una volta arrivati a destinazione?
Per di più, il teatro dove dovevamo andare aveva l'ingresso ubicato su una parte di strada a corsia preferenziale, riservata alla circolazione degli autobus e dei taxi.
Non è che tutti questi aspetti non li avessi ponderati, ma mi ero sentito in dovere di fare come minimo il gesto.
Dovevo assolutamente ricordarmi di portare con me il contrassegno da disabile.
Nel caso Claudia fosse stata costretta a parcheggiare in maniera non completamente ortodossa, la macchina con esposto il contrassegno non sarebbe stata rimossa, ma sarebbe stata solo passibile di una multa.

Per cercare di riuscire a mantenere un minimo di riservatezza su alcuni aspetti della mia vita, uscii dall'appartamento cercando di fare il minimo di rumore, specialmente nel richiudere la porta alle mie spalle.
Evitai persino di girare le mandate della serratura.
Attraversavo il corridoio condominiale che mi avrebbe condotto all'uscita del portone con atteggiamento circospetto e furtivo.
Il che, se fatto con il carico di un bel paio di canadesi (intese non come due fanciulle straniere, ma semplicemente come due stampelle!), è una situazione che può offrire degli aspetti sicuramente comici.
Sarei dovuto, obbligatoriamente, passare di fronte all'appartamento dei Meniconi.
Il rumore provocato dall'alternato appoggiare a terra degli ausili, a orecchie fini e attente, denunciavano la mia presenza e il mio fare.
Arrivai all'altezza del portone.
Azionato il pulsante di apertura, nel mio inguaribile ottimismo pensavo di averla fatta franca. Dalla vetrata trasparente del portone ebbi modo di vedere Claudia che, quasi rispondendo a una magica sincronia, era appena sopraggiunta.

"Sta a usci' Dotto'?
'n attimo che vengo a daje subito 'na mano."
Come sospettavo, le orecchie di Venanzia erano sempre fini e attente.
Provai la netta sensazione di essere un novello Fantozzi.
"No, grazie, non c'è bisogno", mormorai al colmo dell'imbarazzo.
"E che ce vo' pe' accompagnalla da quella signora che la sta 'spettando 'n machina?
So' du' passi.
Perché è co' la signora che deve usci', no?'"
Di fronte al manifesto fallimento delle mie furtive strategie, non ebbi neanche la forza di rispondere.
Tra me e me, rivolsi pensieri non molto gentili alle canadesi, responsabili, a mio modo di vedere, dell'avermi fatto scoprire.
Non mi rimase altro da fare che presentarmi a Claudia con un sorriso smagliante stampato sulla faccia, più falso di una moneta falsa.
Armato di stampelle e sottobraccio a Venanzia.
Bel quadretto no?

Presentai le due con il garbo dovuto.
Si salutarono stringendosi la mano.
Claudia si mostrò molto disponibile, cordiale.
Altrettanto fece a modo suo la mia accompagnatrice del momento, la quale non riuscì a privare il suo sguardo di un'espressione di palpabile stupore e scetticismo complessivo.
Accelerai le ritualità di congedo al massimo.
Venanzia scrutava.
Non vedevo l'ora di andare, sciogliendo così quel velo d'imbarazzo che si stava infeltrendo su di noi.
L'appassionata di teatro aveva già acceso il motore.
Accomodatomi accanto a lei, stampelle comprese, un cenno con la mano fu sufficiente per svignarcela.
Dallo specchietto retrovisore mi accorsi che Venanzia ci seguì con lo sguardo fino alla curva.

 

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Claudia guidava con piglio sicuro, determinato, senza fronzoli e senza azzardi.
Sotto un soprabito adeguato, indossava un tubino nero che le donava.
Abbinato a quel leggero quanto ottimamente modulato schema di trucco, le donava.
Eccome se le donava!
Il profumo doveva essere il classico Chanel numero 5.
Lei era responsabilmente concentrata nella guida.
Io ero ancora un poco appannato dalle reazioni a tutte le sollecitazioni che avevo ricevuto nel giro di così breve tempo.
In virtù di tutto questo, per un paio di minuti rimanemmo in silenzio.
Con una domanda, banale quanto prevedibile, interruppi lo stato di cose.
"Ho accettato entusiasticamente il tuo invito, ma tra l'euforia di esserci rincontrati e la rapidità con la quale mi hai rivolto la gradevolissima proposta, non ti ho neanche chiesto che spettacolo stiamo andando a vedere."
"Ma come, non te l'ho detto?"
"Veramente no."
"Ma neanche nel corso della telefonata?"
"Stavo per chiedertelo io.
Ci ho rinunciato, perché avvertivo il senso di premura che avevi."
"Scusami.
Sai, quando sono a casa di papà è sempre così.
Questi giorni sono ancora peggiori, perché il badante che aveva se ne è andato.
Domani fortunatamente dovrebbe arrivare Oscar, quello nuovo.
Speriamo che gli vada bene almeno questo...
Ne ha già cambiati cinque in tre mesi!"
"Capisco", intercalai, prefigurando i foschi scenari domestici che erano impliciti a quella informazione.
"Comunque lo spettacolo che andiamo a vedere è Qualcuno volò sul nido del cuculo"
"Ottimo.
La trasposizione cinematografica del romanzo di Ken Kesey segnò in maniera indelebile la mia prima giovinezza.
L'interpretazione che fece Jack Nicholson del protagonista è rimasta incorniciata negli annali della storia del cinema.
La scena finale, poi, dell'indiano che spacca la vetrata e fugge correndo nella notte, è indimenticabile."
"Se poi si abbina il tutto a quella fantastica colonna sonora, ancora oggi c'è da rimanere a bocca aperta."
"E con qualche lacrimone, diciamocelo", confessai, senza preoccuparmi di nascondere la mia sensibilità.
"Kesey, l'autore, per scrivere la storia prese spunto da esperienze che aveva maturato durante il periodo in cui prestò la sua opera in un ospedale psichiatrico."
"Se ben ricordo proprio da un allestimento teatrale a New York nacque lo spunto per farne un film."
"Ricordi bene.
In questo caso Alessandro Gassmann firma la regia dell'allestimento che stiamo andando a vedere", puntualizzò Claudia.
"Ti ringrazio vivamente di questo invito.
Mi incuriosisce molto."
"Da quello che ho letto, l'azione è stata spostata nel manicomio di Aversa."
"I personaggi, quindi, saranno napoletani o campani, comunque meridionali...", ipotizzai.
"Dovrebbe essere così."
"Questa idea mi sembra suggestiva.
Offre molte possibilità di arricchimento per la rappresentazione.
Fermo restando che tutta la tematica affrontata investe dolenti realtà.
Approcci terapeutici di un tempo non ancora completamente tramontati."
"Approcci che risultavano essere molto severi...", alluse Claudia, con il tono di chi sapeva più di qualcosa sul tema.
"Rifletteva, e purtroppo riflette, un aspetto di metodologia terapeutica che, fatte le debite proporzioni, ho avuto modo di verificare su me stesso per le mie problematiche.
Molti medici sono ormai abituati a vedere solo la malattia, quando ci riescono, non il malato.
E posso garantirti che non è faccenda di poco conto.
L'ammalato, prima di essere un paziente, è e rimane principalmente un essere umano."
Claudia annuì e aggiunse: "Certo, decidere di fare uno spettacolo su temi del genere è una scelta molto impegnativa.
Di innegabile valore civile."
"Il mondo delle case di cura per pazienti psichiatrici, all'epoca, doveva essere infernale."
"La lobotomia, l'elettroshock, è molto difficile oggi farsene una ragione...
Scusami se posso sembrare un poco brusca nell'interrompere la conversazione, ma siamo arrivati a destinazione.
Dobbiamo necessariamente rinviare a dopo ulteriori riflessioni."
"Hai ragione, intanto scendo."
"Nell'attesa del mio ritorno, appoggiati al palo segnaletico qui di fronte, può esserti d'aiuto", mi disse premurosamente.
"Grazie ottimo suggerimento."

 

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Scesi nel modo più rapido che mi fosse consentito.
Anche in considerazione del fatto che, come ben ricordavo, ci trovavamo su una corsia preferenziale per mezzi pubblici.
Fortunatamente era sera, con una pressione del traffico molto più leggera.
Anche di autobus e di taxi quindi.
Dopo aver verificato il mio raggiungimento del palo senza inciampi e cadute, Claudia ripartì alla ricerca del parcheggio.
Teneva ben esposto sul cruscotto del parabrezza, come le avevo suggerito di fare, il mio contrassegno per disabili.
Ora ero solo: invece che attaccato al tram, attaccato al palo.
Ero sceso, come d'abitudine in occasioni simili, ossia quelle nelle quali avrei potuto contare sull'appoggio di una persona, con una sola canadese.
Con la mano libera potevo trovare altri sostegni, come in questo caso il palo.
Sapevo che il tempo di autonomia che avevo nel restare in piedi poteva ammontare a una decina di minuti.
Il mio semplice appoggiarmi si sarebbe trasformato, nel giro di breve, in un aggrappamento sempre più serrato.
Il pubblico cominciava ad affluire numeroso.
Cosa, questa, che destava in me una certa apprensione.
La possibilità che qualcuno, involontariamente, potesse urtarmi, provocandomi magari una caduta a terra, mi costringeva a stare molto in campana.
Tra coloro che si stavano recando a vedere lo spettacolo, qualcuno mi gettava occhiate di disorientamento, tra il sorpreso e l'incuriosito.
Non risultava loro chiaro perché quel longilineo signore distinto stava palesemente abbrancato al palo.
La sensazione che provavo, come ben si può immaginare, era sgradevolissima.
Imbarazzo, vergogna, inadeguatezza...
Le gambe sarebbero riuscite a sorreggermi per altri due o tre minuti al massimo.
Nel mentre, guardavo la minacciosa rampa di scale accanto al botteghino che avrei dovuto affrontare per entrare in sala.

La mia mente era affollata da considerazioni nefaste.
Pensavo che sarei capitolato a breve.
"Eccomi, ho trovato posto neanche troppo lontano da qui.
Ho visto le luci bianche di una macchina che stava facendo retromarcia per uscire dal parcheggio e mi ci sono infilata con la rapidità e la lucidità di un avvoltoio."
Terminato di dire ciò, Claudia emise una risata di cristallina spensieratezza.
Fui molto rincuorato dal suo sopraggiungere.
Nel vederla, finalmente in piedi, a figura intera, mi colpì ulteriormente.
Tanto da farmi dimenticare per un istante i problemi alle gambe.
Non ci eravamo detti praticamente nulla dei rispettivi precedenti venticinque-trent'anni.
Non ne avevamo avuto ancora modo.
Mi prese sottobraccio ed entrammo nel foyer.
Mi fece accomodare su un divano.
Dopo che, con garbata premura, si era sincerata del mio stato di comodità, andò a fare la fila al botteghino.
Tranne per la stanchezza che avvertivo ancora un poco alle gambe, l'insieme mi sembrava francamente fantastico.
Tornata dopo breve con i biglietti, rivolgendosi a me cordialmente mi chiese: "Ti senti pronto per effettuare la scalata", alludendo alle scale, "o preferisci attendere un altro po'?"
"Ma che scherziamo?
Certo che sono pronto."
Ero stato toccato sul vivo del mio orgoglio.
"Ne ho superate ben altre di scalinate!", dicevo tra me con convinzione, ombrata – ad onor del vero – da un velo di scetticismo.
Ma se si deve fare, si farà!
Serrando bene con la mano destra il mancorrente, con la sinistra la canadese, cominciai a inerpicarmi.
La prima rampa, sotto lo sguardo pieno di ammirazione della Saporini, riuscii a superarla con una certa celerità.
Durante la seconda rampa feci tesoro degli incoraggiamenti che mi rivolgeva la mia ex-compagna di corso.
Il fiato stava diventando grosso.
Arrivai alle poltrone per noi riservate completamente stremato.
Stato di fatto che cercai di tenere celato, ma non mi riuscì.
"Magari aspetto due minuti, il tempo che si spengano le luci in sala, e ti do dei fazzoletti per asciugarti il sudore dalla fronte."
Ebbi modo di constatare che, oltre a essere organizzatissima, Claudia mostrava di conoscere molto bene certe dinamiche.
Come se avesse avuto già modo di stare in contatto con esse.
Questa competenza forse l'aveva acquisita per le condizioni paterne...
Doveva essere così.
Però avvertivo qualcosa di ulteriore...
"Ti ringrazio.
Posso anche farlo adesso.
Non ho mica nulla di cui vergognarmi."
"Questo è sicuro.
Pensavo di farti trovare più a tuo agio."
Disse questo esternando un dolce sorriso.
Avevo cominciato ad asciugarmi la fronte con un fare discreto, quando calò il buio in sala.

Terminato il meritatamente applauditissimo spettacolo, con un invidiabile coordinamento di intenzioni e azioni, ci ritrovammo in macchina.
Scendere tutte quelle scale fu sicuramente impegnativo, ma certamente meno faticoso che salirle. Aveva cominciato a cadere una pioggerellina fina fina.
Non avevamo ancora avuto modo di dirci nulla.
Tranne qualche battuta di servizio, per usare il gergo di palcoscenico, scambiata durante l'intervallo.
Tra primo e secondo tempo mi accompagnò alla toilette di sua iniziativa.
L'insieme di tutti questi atteggiamenti non mi convincevano fino in fondo.
La Saporini doveva saperla lunga.
Sotto il ticchettare della pioggia, udibile perfettamente nell'abitacolo, scheggiai l'atmosfera con una proposta: "Pizza come ai vecchi tempi?"
"Nella pizzeria dove andavamo ai tempi di scuola di recitazione?"
"Dicevo in senso generico, ma anche quella andrebbe benissimo."
"Ha anche il bagno al piano.
Se la gestione è sempre la stessa, facevano dei supplì superlativi...", ricordò la Saporini.
"Per me va bene, andata!"
"Andata anche per me."

 

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In un battibaleno arrivammo in zona Flaminio.
Incredibilmente, proprio di fronte all'ingresso della pizzeria Gagliardone e figli c'era un parcheggio libero.
Nonostante l'ora tarda, la pizzeria era ancora in piena attività.
La clientela era costituita prevalentemente da ragazzi e ragazze dall'aspetto bohemienne, come dovevamo apparire anche noi all'epoca.
Trovammo subito un tavolo libero.
Claudia mi aiutò ad accomodarmi.
L'ordinazione per un paio di boccali di birra chiara e qualche supplì misto ad altri fritti partì senza neanche bisogno di consultare la lista.
Facendo quella ordinazione, ero ben consapevole di fare una bella marachella alimentare.
Il contesto complessivo non avrebbe consentito di comportarmi altrimenti.
Partì, da me sollecitata, la chiacchiera sul come eravamo.
"Non so se ricordi, ma alla fine del primo anno, dopo aver fatto la scena obbligatoria, quella delle Tre sorelle di Cechov, venimmo a festeggiare qui il buon esito del nostro lavoro."
"E' vero, ora che ci penso.
Venimmo proprio qui con altri allievi, forti dell'ottimo apprezzamento che il Maestro aveva espresso su di noi.
Per quanto tempo, poi, hai fatto l'attore?"
"Non molto.
Fondai una Compagnia, ottenni qualche scrittura, qualche anno di vita di tournée.
Poi difficoltà, problemi di salute...
Dovetti interrompere."
Non mi ero completamente emancipato dalle mie problematiche, le affrontavo sempre più serenamente, ma parlarne dall'origine mi creava ancora qualche piccola difficoltà.
Per questo rilanciai dicendole: "Lessi, all'epoca, più di un articolo di recensione favorevolissima nei tuoi confronti.
Ho presente quella su Nora in Casa di bambola."
"Acqua passata."
"Da molto tempo hai smesso di fare teatro?"
"Sì, ma preferirei parlarne in un'altra occasione."
Era, intanto, arrivato il piatto di fritti e supplì.
Fu quindi più facile per me scantonare dall'argomento sfiorato che mi ero reso conto essere un campo minato.
Claudia aveva mantenuto un atteggiamento gradevole.
L'assaggio dei supplì rafforzò questo modo di essere.
Addentandone uno, cambiai discorso: "Per essere al telefono, sono al telefono, guarda come filano!"
"E' vero, è proprio quello che stavo per dire."
"Certo, tornando a parlare dello spettacolo che abbiamo visto, l'offerta di proposte terapeutiche per i pazienti psichiatrici era molto ridotta."
"Sono perfettamente d'accordo, l'uso di tecniche integrative e di supporto alle ordinarie, all'epoca, erano ancora agli albori."
"Penso che tu stia alludendo all'Arteterapia in generale, e alla Teatroterapia in particolare", riflettei.
"E' proprio così, specialmente la Teatroterapia, che è quella che conosco meglio."
"Scusami, ma io ne ho sentito dire qualcosa vagamente.
Me ne potresti parlare un poco?"
Su questo tema la disponibilità della Saporini ebbe una visibile impennata.
"Non è che ne sappia più di tanto, però qualcosa posso dirtela."
"Sono tutt'orecchi."
"La Teatroterapia nasce dall'integrazione, a fini preventivi o in fase di patologie accertate, tra metodologia terapeutica per così dire classica e metodologia teatrale.
Ricorderai sicuramente il metodo e le tecniche delle improvvisazioni o delle immedesimazioni ereditate da grandi Maestri quali Stanislavskij."
Annuii.
"Il soggetto, quindi, all'interno di un gruppo, pubblicamente riordina la tessitura, se così possiamo dire, del proprio vissuto.
Questo avviene ricreando alcune situazioni che sono state per lui particolarmente significative e dolorose.
Si assegnano dei ruoli, che verranno ricoperti da componenti del gruppo di Teatroterapia, in un'improvvisazione condotta con la guida di un responsabile."
"Penso che, sotto un profilo terapeutico, sia utilissimo per stabilizzare fasi emotive, sciogliere nodi profondi, recuperare autostima e capacità relazionale", non potei che condividere.
"Sicuramente quello che hai detto e anche altro.
Ma ci sono anche altre discipline, non sostitutive ma integrative delle terapie tradizionali.
Penso, ad esempio, alla Musicoterapia per le persone anziane e per i malati di Alzheimer.
In queste metodologie, l'individuo torna a essere centrale.
Ma avrei da parlarne per ore..."
"Mi rendo conto", dissi, affascinato dal suo parlare appassionato.

 

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"Qual è il problema che ti affligge?", mi chiese Claudia a bruciapelo.
Mi andò quasi di traverso il filetto di baccalà che stavo gustando, dovetti bere una sorsata di birra per riprendermi.
Facendomi una domanda così diretta, senza alcun tipo di preambolo, ero rimasto completamente spiazzato.
Ora che ci ripenso, anche al tempo del corso la Saporini si distingueva per la capacità di prendere gli altri in contropiede.
Sempre con un bel sorriso, ovviamente!
Ricapitolai, cercando di sintetizzarla al massimo, la mia vicenda sanitaria.
I primi disturbi, l'attesa snervante prima di giungere alla diagnosi.
Le medicine da assumere, il periodo del temibile Interferone, la fisioterapia ecc.
Nell'alveo di questa, per quanto sintetica, fitta narrazione, erano arrivate anche, ed erano state prontamente mangiate, le pizze ordinate poco prima.
"Da quello che mi dici, hai dovuto reinventarti completamente la vita."
"Sì, è stato proprio così, a cominciare dal lavoro.
Non potevo certo continuare a fare l'attore.
In special modo quello di teatro, poi."
"Mi rendo conto.
Di cosa ti occupi adesso?"
"Ho delle collaborazioni giornalistiche.
Poco dopo aver ricevuto la diagnosi, mi sono creato le condizioni per diventare giornalista pubblicista.
La collaborazione più importante che ho è quella con il giornale online «L'Altra Campana»."
"Mi sembra fantastico."
"Cerco di fare del mio meglio."

"Quindi hai ampia possibilità di gestire il tuo lavoro e il tuo tempo."
"Sì, in linea di massima."
"Potresti pure assentarti qualche giorno..."
"Si, certo, organizzandomi.
Ma non capisco..."
"Mi è venuta un'idea fantastica."
Pagato il conto, avviandoci alla macchina, sempre più incuriosito chiesi: "Quale?"
"Come sai, sono attiva nel mondo del volontariato."
"Qualcosa ho intuito, ma tu ancora non mi hai detto praticamente nulla.
Non c'è n'è stato modo."
"E' vero, hai ragione.
Da anni mi occupo di assistenza e volontariato.
Le motivazioni che mi hanno indotto a seguire questo percorso sono varie.
Avrò occasione, se desideri conoscerle, di raccontartele.
Non mi pare sia questo il momento.
Vorrei farti una proposta che offre più angolazioni di lettura.
Non direi prima, ma sicuramente di più immediato riscontro, quella professionale."
"Scusami, sei così criptica che se non mi dai altri elementi non riesco a capire."
"Presto detto.
Stiamo organizzando il Pellegrinaggio annuale a Lourdes.
Un posto è ancora libero.
Andata e ritorno in aereo, soggiorno quattro giorni e tre notti ospite degli organizzatori, il Sovrano Militare Ordine di Malta.
Ti garantisco che, comunque tu la possa pensare, Lourdes è una esperienza indimenticabile.
Da un soggiorno simile mi sembra naturale che le sollecitazioni per fare un articolo siano più d'una.
A voler parlare solo di questo aspetto..."
"Quando si dovrebbe partire?"
"Fra tre giorni."
"Tu sarai dei nostri?", mi volli accertare.
"Certo che si, ci mancherebbe pure."
La proposta era più che allettante.
Dovevo solo convincere Mezzacapa sulla bontà dell'iniziativa e affidare Cleofe alle cure dei Meniconi.
Non indugiai più di qualche secondo: "Ora è un po' tardi, ma domani mi darai tutti i dettagli.
Per me, comunque, anche questa è andata.
Grazie."
Il mio assenso entusiasmò Claudia.
Trascinata dall'eccitazione, mi stampò due baci sulle guance.
L'asfalto riluceva... sarà stato solo l'effetto della pioggia?

 

 

 

 
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