Ai piedi della montagna




[Racconto di Giovanna Gra]


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durata 15 minuti



Il mercato era all'aperto e il freddo aveva congelato le ruote dei carri dov'era affastellata la mercanzia.
Gli odori delle spezie muschiate si confondevano con quelli degli animali selvatici, tenuti in cattività, che emanavano un tanfo acre e pungente.
L'odore della paura.
La gente urlava.
Irlandese arcaico e altri idiomi sconosciuti, tipici dei Welsh provenienti dal mare.
Etnie che si riconoscevano facilmente perché la loro pelle era più dura e ambrata e, a causa del freddo, si ricoprivano di pelli e pellicce.
Tutti avevano qualcosa da vendere e da comprare.
C'erano carri pieni di miele d'acacia, di erica, di castagno e di eucalipto, specifico per le tossi del diavolo.
E c'erano carri pieni di armi.
Fionde, lance e paramenti in cuoio da marchiare a fuoco con gli stemmi dei cavalieri erranti.
"Stai lontano dai carri delle bestie feroci, o Guado non resisterà e vorrà attaccarle", gli aveva detto la grande Nimue, signora del lago.
E questo era l'imperativo che un ragazzo dai capelli rossi continuava a ripetere a se stesso canticchiando la frase come un'antica nenia gaelica.
Guado era un lupo della stirpe dei lupi bianchi, ma con sfumature grigie madreperla.
E Guado era anche i suoi occhi.

 

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Immagine di un drago (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Il drago di colore verde con il corpo squamoso ondulatoParticolare della testa del drago.Particolare della criniera.
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I suoi occhi e la vista che aveva perduto o che, forse, non lo ricordava bene, non aveva mai avuto.
Ad ogni modo, erano tutti ricordi che risalivano alla notte dei tempi.
Sì, perché Artorius, o semplicemente Art, come lo chiamavano da bambino, era cieco.
Forse dalla nascita.
Sicuramente da quando la mamma lo aveva abbandonato.
A questa mancanza, però, Art aveva supplito con un altro tipo di vista.
I suoi sguardi, infatti, si posavano sulle cose che accadevano nel futuro.
Dunque, egli poteva leggere una parte dell'avvenire.
Per il resto, poteva prevedere con un buon grado di approssimazione le cose che sarebbero accadute alle persone che aveva intorno.
Un potere che egli conobbe e comprese al compimento del suo settimo anno di età.
Tutto accadde in modo naturale ma inaspettato.

Era un dicembre semplice e gelido.
Suo padre, aria stanca e mani intirizzite dal freddo, prese il sacco con cui, di lì a poco, avrebbe foraggiato le pecore.
Ma appena Artorius udì cigolare la vecchia porta tarlata dell'ovile, ebbe una visione orribile.
Vide un lato del tetto del magazzino crollare e suo padre che giaceva sotto.
Una nausea improvvisa gli chiuse la bocca dello stomaco, ma si contenne.
Ebbe l'impulso di urlare, ma si controllò.
"Padre...Padre!", disse, raggiungendolo ansimante.
"Aspettate padre, lasciate fare a me, ve ne prego."
Il padre, sfinito, si arrese volentieri alla richiesta del figlio.
Aveva ceduto il sacco ed era rimasto a guardare i gesti esageratamente lenti del ragazzo, che cercava di perdere tempo in attesa di verificare l'esattezza della sua previsione.
Poi, all'improvviso, un tonfo.
Il crollo del tetto seguito dai belati striduli delle pecore spaventate e dagli ultimi rantoli delle bestie colpite a morte.
Poi, il fischio letale del vento che spolverava l'ovile con fredde folate.
Ci misero tutto il giorno per rifare una sorta di copertura che potesse sopravvivere all'inverno e che proteggesse il bestiame.
La sera, poi, quando tutti erano finalmente sotto le coltri, udì le parole di suo padre che chiacchierava con la mamma.
Parlava di lui ed erano parole di timore e di sconcerto.
Dicevano che il ragazzo, quel ragazzo, non era come tutti gli altri.
E anche se quel figlio tante volte lo aveva avvertito, salvato, consigliato, proprio come per il crollo dell'ovile, Artorius aveva qualcosa di eccezionale che faceva loro paura.
Era troppo piccolo per conoscere certe cose, era troppo strano per sembrare normale.
Questo aveva sentenziato suo padre.
Diceva anche che se le altre famiglie lo avessero scoperto, loro avrebbero avuto molti guai.
La mamma lo ascoltava e singhiozzava sommessamente.
Dunque, il babbo si era accorto dei suoi poteri.
E, in effetti, solo quando li sentì raccontare dalla voce roca e ansiosa del suo vecchio ne prese piena coscienza anche lui.
Ma perché suo padre non la considerava una cosa buona?
Art si mise di nuovo in ascolto e sentì sua madre piangere ancor più disperata.
Perché?
Si chiese.


 

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Immagine di un elfo tra gli alberi (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). La creatura del bosco con un copricapo vegetale e le orecchie a punta.Particolare del volto.Particolare del copricapo vegetale.
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Sentì che, dopo qualche istante di silenzio, la donna cercava di ammansire il marito e lo pregava di non dire quelle cose, perché certi fatti, detti ad alta voce, secondo lei, portavano male.
Amava quel figlio, anche se non era sangue del suo sangue.
E Caitlin come avrebbe reagito?
Aveva allora rincarato il babbo.
Questo non la fece pensare, ma solo piangere ancora più amaramente.
Caitlin era il fratellastro di Artorius, il vero figlio della coppia.
Era un giovanotto superbo, arrogante e, qualche volta, inutilmente crudele.
Non aveva mai amato il fratello più piccolo, lo sopportava a fatica perché Artorius era più intelligente e più in gamba di lui.
Oltre la parete di legno, tuttavia, la mamma non rinunciò a dire la sua e riprese a elencare le ragioni del cuore.
E poi, in fondo, il padre lo sapeva meglio di chiunque altro:
non avrebbero mai potuto rifiutare un favore al druido.
E non era colpa loro se il druido non era più tornato e loro si erano trovati con una bocca in più da sfamare.
Il druido?
Di cosa stavano parlando?
E perché non era più tornato?
Artorius era rimasto sveglio tutta la notte.
Se quelli non erano i suoi genitori, lui, da dove veniva?
Chi lo aveva abbandonato e perché?
Pianse e si disperò, certo che le sue paure avessero origine proprio da quell'abbandono.
E capì che non si sarebbe più liberato di questo peso terribile.
Ora gli era chiaro perché il babbo non avesse mai incoraggiato quelle sue strane doti e gli era ancor più chiaro che non lo avrebbe certo apprezzato in futuro, se le avesse mostrate a qualcuno.
Quei poteri, seguendo il filo del ragionamento paterno, potevano essere legati alla magia, alle superstizioni e questa dote sconosciuta era potenzialmente pericolosa.
Per questo Art si isolò.
Viveva con la sua famiglia in un piccolo villaggio e non voleva rischiare di tradirsi.
Ma non era facile, perché, spesso, parlando con qualcuno, vedeva scorrere nella sua mente le cose che di lì a poco gli sarebbero accadute.
Cose che lui, nel bene o nel male, doveva tacere.

Così incominciò ad allontanarsi, per varcare i confini di quel meschino mondo arcaico.
Sempre più spesso finì per avventurarsi nel bosco.
Era molto difficile attraversare quel groviglio di rampicanti, rami e rovi, specie se l'esploratore era cieco.
Ma incominciò a guadagnare piedi giorno dopo giorno.
Cento, duecento, trecento piedi e così via, ostinatamente, spingendosi sempre più nel cuore fitto e oscuro della foresta.
Per poter affrontare quell'intricata e misteriosa cattedrale di alberi, Art comprese immediatamente una cosa: se non poteva vedere poteva toccare.
Nel bosco, il ragazzo capì che non era importante sapere quanti alberi o cespugli ci fossero.

 

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Immagine di Artorius e del lupo tra gli alberi (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Artorius con il mantello e il cappuccio impugna un bastone in alto ricurvo; con lui il lupo.Particolare di Artorius.Particolare del lupo
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Ma trovare i sentieri che l'attraversavano, dove si trovavano rispetto alla grande quercia che troneggiava al centro della prima radura e memorizzare le distanze.
Imparò che, ascoltando il rumore dello scroscio dell'acqua del piccolo fiume, poteva scendere a valle o risalire fino in cima.
Intuì che gli alberi potevano dare un mucchio d'informazioni, che la loro pendenza e la posizione dei rami tendeva verso il primo sole, quello del mattino, e che questo gli consentiva di orientarsi con minor fatica.
Si accorse che, accarezzando un tronco, si distinguevano due lati:
uno più secco e rugoso e l'altro, grazie ai muschi che lo ricoprivano, più morbido e umido e che questo gli avrebbe sempre indicato il nord.
Notò che le cortecce non erano tutte uguali, imparò a riconoscere gli alberi associandoli alla forma delle foglie arrivando addirittura a distinguere due tipi della stessa specie.
Con il tempo, unitamente alle informazioni che raccoglieva, accarezzandone il tronco, fu in grado di stabilirne lo stato di salute e l'età.
Gli piaceva quel mondo.
Un mondo silenzioso pieno di odori e indizi.
Dopo aver mappato l'ubicazione degli alberi, scoprì un'altra via per orientarsi: il canto degli uccelli.
E se l'allodola gli annunciava il primo sole dell'alba, l'allocco salutava la luna.
E dai lunghi IUUUUU che l'uccello notturno emetteva, era in grado di capire se fosse un primo quarto, crescente, gibbosa o calante.
In capo a un anno conobbe tutto del bosco.
Il bosco era diventato il suo regno.
Eppure, in tutto quel tempo in cui la natura gli aveva fatto da mentore, non aveva ancora avuto modo di conoscere il predatore più ardito e temuto della valle: l'uomo.
L'occasione gli si presentò un giorno, quando il volto di quel predatore assunse l'aspetto del suo fratellastro Caitlin.
Caitlin arrivò sul carro del padre.
Era un ragazzo superbo e con poco sale in zucca, aveva catturato un lupo e ora lo portava al villaggio per finirlo e scuoiarlo della calda pelliccia.
Quando vide Artorius solo in mezzo al bosco non gli parve vero.
Tirò le redini, scese dal carro, annunciò che aveva fame e sete e ordinò ad Art di provvedere.
Stanco e provato dalla lunga caccia, e siccome Art conosceva bene l'arte delle spezie e della cucina, Caitilin si fece arrostire una lepre che aveva sorpreso e ucciso lungo la via.
Art non badò ai modi volgari e rudi di Caitlin ed eseguì gli ordini che gli impartiva.
Ma quando questi, satollo, incominciò a russare, Art si avvicinò alla gabbia del lupo.
Ascoltò a lungo i rantoli e il dolore della povera bestia.
In quel suo alito caldo e fremente percepì una disperazione insopportabile,
una rabbia furibonda, un grumo di energia selvatica che chiedeva sommessamente aiuto.
L'animale palpitava e respirava in fretta, come se quelle boccate d'aria potessero restituirgli dignità e vita.
Art lo percepì con un dolore insostenibile.
A rischio della sua stessa vita permise alla povera bestia di scappare e, se non fosse riuscita a salvarsi, almeno di morire libera.

 

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Immagine del lupo su una sommità rocciosa (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Il corpo del lupo visto di tre quarti.Particolare del busto del lupo.Particolare della coda del lupo.
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Quando Caitlin si svegliò vide quanto era successo.
Chi poteva aver aperto al lupo?
come poteva aver visto qualcosa?
Caitlin era abbastanza convinto che la bestia sarebbe morta dissanguata lungo la via e, come se questa punizione lo appagasse, si dimenticò presto del lupo.
Disse che avrebbe recuperato il corpo della fiera il giorno dopo e se ne sarebbe fatto un nuovo mantello, sebbene il grigio non gli garbasse troppo perché, nonostante si confondesse bene nelle praterie di neve, era un colore più adatto ai vestiti delle donne.
Quindi, Caitlin, invitò Art a salire sul carro, facendogli posto fra le carcasse di animali morti.
Già, lo avrebbe riportato al villaggio, se lo meritava, visto l'ottimo arrosto di lepre che aveva cucinato.
Art non se lo fece ripetere due volte.
D'altro canto, non poteva fare di più per quel lupo, se non mettere altra distanza fra lui e il suo spietato cacciatore permettendogli di affrontare liberamente il suo destino.
Era una zona pericolosa, quella, regno di predatori e rapaci, e lo stesso Artorius non ci si avventurava mai senza avere una torcia o del fuoco con sé.
Quel lupo, purtroppo, non aveva grandi prospettive.
Quella notte, Artorius non fece che pensare al soffio fra le sbarre, al gemito gentile del lupo.
Un dolore consapevole e animale.
Una sofferenza piena di dignità.
E poi, poi...
...Sembrava che quella bestia lo avesse stregato.
L'effetto durò per qualche giorno.
Passato un po' di tempo se ne dimenticò.
L'inverno si fece rigido, a cena le razioni erano sempre più misere e grame.
Art vedeva i suoi genitori invecchiare e fare sempre più fatica, mentre il vento urlava minacce fra le dune di ghiaccio e scuoteva gli alberi con irriverenza.
Aveva chiesto più volte a Caitlin di andare a caccia insieme, ma il fratello era pigro e indifferente e le bufere di neve che si susseguivano senza tregua non lo invogliavano a uscire.
Così, un giorno, dopo una breve discussione con sua madre, Artorius decise che avrebbe perlustrato i dintorni per trovare qualcosa di più sostanzioso da mettere sotto i denti.
Magari un capriolo perso, qualche radice, una lepre bianca o una pernice stordita dal gelo.
La fame lo spinse ad addentrarsi nel bosco.
Per diversi giorni aveva finto di non volere più la sua parte per lasciarla a sua madre e ora lo stomaco lo torturava.
Preda dei suoi cupi pensieri, non si accorse di essersi avventurato nel cuore del bosco senza una torcia, né un altro mezzo per fare del fuoco.
E si era accorto troppo tardi che a forza di camminare aveva sconfinato nel luogo dove si era accampato con Caitlin.
Purtroppo, in quella radura imbalsamata di bianco e di brina, stavolta non incontrò suo fratello o una povera bestia sfinita.
Ad attenderlo, oltre le betulle svestite, oltre le dune soffici e bianche, le trame dei rampicanti ghiacciati, vi era un branco di lupi frementi e affamati.
Gli animali, a giudicare dagli ululati, erano bramosi di placare le ire dei loro stomaci vuoti e inattivi, almeno quanto lui.
Provati e sfiniti sembravano decisi più che mai a sferrare un unico collettivo attacco per uccidere e finalmente saziarsi.
Art incominciò a tremare.
Aveva fatto un errore imperdonabile.
Suo padre, quando era piccolo, glielo aveva ripetuto fino alla noia:
mai avventurarsi nel bosco senza il fuoco, senza un'arma, senza una torcia!
E per lui, che non sarebbe stato mai temibile con in mano un fucile, il calore di una fiamma era l'unico vero alleato.
Ma quel giorno era uscito dalla capanna troppo alterato.
La natura, nel luogo in cui viveva, non aveva pietà.
Quindi, ora, il ragazzo era in balia dell'istinto e della fame di qualcun altro.
E aveva paura.

[FINE DELLA PRIMA PARTE]

 

 

 

 

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