Il re cervo




[Racconto di Giovanna Gra]


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durata 29 minuti - Credits


Nella tenda illuminata a giorno dalla luce delle torce, Artorius lasciò cadere sulle mappe la piuma con cui stava vergando gli ultimi ordini per le truppe.
Era sfinito e di cattivo umore.
Alcune gocce d'inchiostro caddero sul confine fra il vallo e la foresta.
Un soldato della guardia entrò annunciando che la principessa Ginevra era in cammino.
Alla notizia, Art volse uno sguardo disperato verso Merlino.
"Devi dimenticarla", disse il vecchio druido.
"Non ci riesco e non voglio.
Ma, soprattutto, non capisco!", replicò il giovane esasperato.
"Non capisci?", chiese sarcastico il mago.
"No!"
L'ira di Artorius fece vibrare la luce delle torce, ma il vecchio druido rimase immobile, promettendosi di affrontare quel discorso per l'ultima volta.
"Te lo spiego di nuovo.
E' dall'inizio del mondo che i re sposano le regine e, normalmente, le regine vengono scelte per la dote, per i possedimenti e per la potenza dei loro padri.
Tu fra poco sarai re e Ginevra sarà la tua regina, così è scritto."
"Anche Allinor è una regina!"
"Non di questo mondo."
"L'ho tenuta fra le braccia, druido, e... credimi: era di questo mondo!"
"Oh, insomma, non devi guardare il passato!
Non è lì che siamo diretti!", gridò esasperato il mago mentre provvedeva a ripulire il piccolo tavolo di faggio dalle mappe militari e dagli schemi di attacco.
Quindi, gettando sul piano una manciata di monete, lesse ancora una volta il futuro:
"Ella verrà e avrà seco il corredo e l'omaggio.
Non sarà stoffa, né oro, né perle, ma legno biondo e sambuco.
Da esso il regno trarrà la sua forza,
Se egli siederà dove deve, lasciando al pericolo la sedia al suo fianco, questo produrrà frutti.
L'indipendenza genererà pace... e pace terrà lontana guerra.
E quando il cervo avrà attraversato le nebbie, l'urlo dell'orso riecheggerà nelle valli.
E' allora che la stagione giungerà, è allora che il drago rosso sarà alle porte!"

"E quindi?", chiese Artorius con tono indisponente.
"E quindi, quando il drago rosso sarà alle porte, il tuo cuore dovrà essere qui.
Perché nessuno, nessuno, ha mai osato viaggiare contro la storia!
Non lo ha fatto tuo padre, non lo farai tu.
L'unione con la principessa Ginevra non è un dettaglio a corredo della tua incoronazione, ma un gesto necessario.
E sono tante le cose che si debbono compiere prima che sulla tua testa si posi una corona.


 

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Immagine di Artorius e Ginevra (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Artorius e Ginevra in mezzo bustoParticolare di Ginevra.Particolare di Artù.
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Quindi, perché questo avvenga, il destino deve guardarti con favore e così il mondo impalpabile e lieve della magia."
Artorius fece un gesto stizzito.
"Per non parlare dei dodici principi dei dodici regni che ambiscono al titolo...
Non riuscirò mai a riunirli tutti sotto il mio stemma", bofonchiò.
"Ci riuscirai perché tu hai il favore del tredicesimo, il mondo delle nebbie e di Avalon.
Per questo devi giurarmi che al sorgere della prossima luna il tuo cuore sarà qui."
Per tutta risposta, Artorius agguantò la maniglia della porta e se ne andò.

Uscendo, incrociò lo sguardo dell'amanuense adibito a vergare gli ordini per le truppe disegnati dal principe.
Art lo salutò con un cenno del capo, l'uomo, entrando, ricambiò con un profondo inchino.
Uscito il principe, Merlino rivolse la sua attenzione al sottoposto che, di spalle, stava radunando le mappe senza mostrare alcuna premura.
"So cosa stai per dirmi...", disse il druido.
"Lo sai? Davvero?", chiese con tono sarcastico una voce femminile.
L'amanuense si voltò e, al suo posto, per magia, si palesò una giovane e bellissima donna.
Il druido l'ammonì.
"Devi smettere d'ingannarlo con questi stupidi mascheramenti."
"Ah, devo smettere?", rispose la donna risentita.
"Sì.
Non voglio che usi la magia contro di lui", chiarì il vecchio.

La ragazza doveva avere la stessa età di Artorius e gli assomigliava moltissimo, occhi verdi e capelli fulvi.
"Allora posso rivelarmi?
Posso dirgli che sono quella sorella gemella di cui ignora l'esistenza?
Che sono stata tua discepola e che oggi sono ministro plenipotenziario di Avalon?"
"Ma sei pazza?
Certo che no!", rispose Merlino con un gemito di rabbia.
"E allora conferirò con te maestro, come sempre.
E lascia che io vesta i panni di chi mi è più avvezzo per penetrare nel castello."
"Infine, perché sei qui?"
"Perché sono qui, mi chiedi?
Ma per i fondamentali, maestro...
Insomma, a oggi, nel mondo da cui vengo non vi è nulla che giustificherebbe l'elezione del principe Artorius a Re!"
Merlino, furioso, si voltò verso di lei.
Nutriva per la giovane un sentimento misto di amore e odio.
Quando l'aveva presa come discepola aveva goduto della sua infinita ammirazione e, a dir la verità, se ne era a lungo beato.
Qualche volta si era dilettato a stupirla con magie di bassa fattura.
Poi, un brusco risveglio.
La giovane si chiamava Morgana ed era riuscita a trasformare le sue pietre in oro e i suoi sentimenti in pietra per poi sparire fra le nebbie dell'isola di Avalon, da cui da tempo era riemersa come braccio destro della sacra Nimue.
E, da quella posizione, si era tolta più di qualche sassolino...




 

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Immagine di Artorius in figura intera (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Artorius con spada e stendardo.Particolare del busto.Particolare delle gambe.
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"Il braciere dell'isola non arde più!", dichiarò indignata.
"Lo immaginavo", commentò Merlino.
"E quindi?
Pensi che daremo la nostra approvazione e la nostra forza a un re inconsapevole?"
"Non è inconsapevole."
"Sì invece, si capisce che lo è!
Quel braciere arde ad Avalon da millenni, perché da millenni Avalon sceglie i propri sovrani fra coloro che possiedono la vista sull'avvenire, sanno anticipare il futuro e sanno vegliare sui moti della loro anima.
Gli illuminati, per l'appunto.
Per governare bisogna conoscere se stessi e, conoscendo se stessi, si conosce l'uomo!
Dunque, spiegami:
perché, se lui è il predestinato come tu ci dici, il nostro fuoco si è spento?"
"Perché in questo momento egli non trova pace.
E non trova pace perché ama un'altra."
La ragazza non replicò e il druido aggiunse:
"Ho bisogno di altro tempo, per favore..."
"Ama un'altra!?", urlò Morgana sconvolta, "Il re che deve fare la leggenda?
L'uomo di Camelot?!
L'epico bretone?!"
"E' così", ammise Merlino e, prima che la ragazza potesse replicare, aggiunse battendosi il petto, "E... no, non sono stato in grado d'impedirlo.
Ho avuto fra le mani la pasta di Bretagna, la luce della luna e l'acqua delle stelle... ma no, non ho saputo forgiare quel genere di re!"

La ragazza tacque, ma non tacquero i suoi occhi che stillavano furia e scandalo.
Sfilò dall'ampio mantello una torcia e, gettandola con rabbia sul tavolo di faggio, decretò:
"Ultimo quarto, poi gibbosa e calante, ma quando sarà piena, o la torcia sarà accesa, o il mondo cadrà fra le grinfie della sconoscenza e delle tenebre.
Perciò rifletti Merlino e comportati da mago, se ne sei davvero capace!
Chiedi al tuo principe che uomo vuole diventare:
colui che pensa in anticipo o colui che pensa in ritardo?"
E in un alito di nebbia, scomparve.



***


Qualche tempo dopo...

Il cielo era ricamato di grigio.
Le nubi assumevano pose minacciose arricciandosi come pingui gatti acciambellati.
Il freddo pizzicava la pelle del giovane principe come un liutaio tortura le corde dell'arpa per giungere al suono sublime.
Era ritto in piedi come un archetto, duro, immobile, segaligno e guardava lontano.
L'erba ammantava i vasti spazi davanti a lui e s'imbruniva ai movimenti lenti e flemmatici delle nuvole.
Volse lo sguardo verso l'alto ed ebbe un fremito.
Era in stato di allerta e fiutava l'aria come il suo cavallo, un riottoso purosangue arabo che scalpitava al sibilo del vento.
Gli occhi verdi e profondi del ragazzo miravano in ogni direzione, poi, quasi distrattamente, strappò un ciuffo d'erba e se lo mise in bocca.
In alto, molto in alto, un bel castello svettava arroccato sulla collina.



 

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Immagine di Allinor (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Il volto di Allinor.Particolare della bocca.Particolare degli occhi
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Il ragazzo prese dalla gualdrappa del destriero una torcia e, accarezzandola come se dovesse prendere vita da un momento all'altro, incominciò a pregare.
Pareva preda di una strana brama e di un incontenibile timore.
Doveva essere stato un giovane elegante, sicuramente di antica stirpe.
Al fianco destro aveva un elmo con le corna di cervo che indicava l'appartenenza ai popoli del Nord.
A sinistra, l'elsa di una possente spada gli segava il fianco smagrito e, scintillando riflessi al bagliore del cielo, si mostrava tornita e ben affilata.
Le sue vesti, seppure ricamate d'oro e d'argento, mostravano i segni del tempo.
Infatti, quel tessuto broccato del mantello aveva un unico commercio presso il mercato di Laugharne o, tutt'al più, Milford Haven, rivelando qualche intesa fra il principe e i popoli fatati dell'immaginifica isola.
Cosa stava cercando?
E perché soffriva in quel modo?
Impugnava la fiaccola come se lei gli permettesse di rimanere aggrappato al mondo, tanto che le sue mani incominciarono presto a sanguinare per la pressione e il grande freddo.
Era una lunga torcia d'ebano di rara fattura lavorata da mani esperte e l'impugnatura, minuziosamente cesellata, era un autentico capolavoro di ebanisteria.
Sul piccolo braciere vi era uno stemma che raffigurava un cervo e, poco sopra, una corona appartenente alla casata del principe, visto che era disegnato anche sulle vesti e sull'elmo.

A un tratto, qualcuno, con tono imperioso, urlò:
"Ehi, straniero!
Il tuo cavallo ha dei magnifici finimenti... ti offro cento scudi per cavezza, sella, gualdrappa e fascia coda.
Ma... per cento lune!
Aspetta... fammi vedere quella torcia?"
Il principe era di spalle ma si poteva ascoltare il suo respiro affannato.
Improvvisamente si voltò, fendendo l'aria con la spada, la lama andò a cozzare contro il bastone dell'altro che era diretto sulla sua nuca e lo spaccò in due.
Ma il bifolco si mosse lesto e, con un poderoso gancio, gli frustò il naso.
Il giovane, ora a terra, con la saliva che sapeva di sangue e polvere, allungò le gambe e, dandosi un vigoroso colpo di reni, mirò dritto allo stomaco dell'avversario.
Era un colpo, quello, che lasciava senza fiato per parecchi minuti, così ebbe il tempo di rialzarsi e i due si trovarono in un groviglio di muscoli e rabbia.
"Cosa vuoi da me", ringhiò duro il principe.
"Voglio quella torcia, varrà almeno cento scudi d'oro!", rispose l'altro mentre stringeva le mani intorno al collo del nemico.
A queste parole il principe smise di lottare, prese la torcia, e gliela tirò in faccia.
"Prendila!
Se saprai accenderla te ne darò altre mille!"
I due erano uno di fronte all'altro.
"Sei un Re o... o cosa?
Qual è il tuo nome?"
"I nomi non si svelano ai nemici.
Cosa ti fa pensare che ti dirò il mio?"
L'altro rise di gusto: "Dammi quel lume..."
"Non riuscirai ad accenderlo, ti ho detto."
"Dammelo, ci riuscirò!"
Il giovane porse la torcia con una mano mentre con l'altra impugnava l'elsa della spada.
Osservava il suo nemico che era un uomo bolso ma dall'aria buona.

 

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Immagine di Ginevra (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Il mezzo busto di Ginevra.Particolare del volto.Particolare del collo di pelliccia.
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Aveva mani tozze e grasse che non riuscirono in alcun modo a dare luce alla torcia.
Alle fine, arreso e impacciato, restituì l'oggetto al suo proprietario.
"Te l'avevo detto, amico.
O non sono stato chiaro o la tua malafede è grande.
Tu sei un uomo semplice e come tale possiedi solo il fuoco bianco.
Ergo, non potrai mai accendere questa torcia perché essa arde al fuoco rosso."
"Dunque non è roba di questo mondo.
Perché mi hai permesso di provare?"
"Le leggende dicono che, se sarò re, sarò buono e tollerante.
Dunque non posso mettere limite alle capacità di un uomo, nemmeno alle tue."
"Che vuoi dire?"
"Anch'io ero un contadino"
"Non sono un contadino."
"Hai ragione, un uomo del popolo... solo che io, al contrario di te, non sono figlio di chi mi ha cresciuto.
Anzi, non so proprio nulla di cosa sono stato.
Ma ti dico che il mio nome è già leggenda, anche se non è ancora divenuto storia."
L'uomo ascoltava con passione, sebbene il crepuscolo e il freddo gli rosicchiassero le mani.
"Questa torcia arde di un fuoco sacro, alla sua luce si rende comprensibile l'enigma che si cela dietro la vita dell'uomo.
La sua custodia si è estesa da Roma ad Ankgor e solo coloro che hanno avuto il coraggio di guardarsi attraverso il suo bagliore sono divenuti i sovrani propiziati da Avalon.
La sua luce rivela la consapevolezza di sé.
E oggi, io, il predestinato, sono chiamato a vegliare su questo fuoco."

A quelle parole l'omone vacillò.
"Dunque voi siete... Artù, il re... ma, ma non è possibile...", e cadde in ginocchio in segno di profonda devozione.
"Alzatevi, amico mio, non sono ancora quello che credete.
Come vi ho detto il fuoco è spento."
"Che orribile presagio!", replicò indignato l'altro.
"Qualunque cosa io possa fare, signore, sono ai vostri ordini!"
Artorius sospirò amaro e, invitandolo ad alzarsi, disse:
"Purtroppo non puoi fare nulla per me!"
L'altro non ascoltava, faticava a dominare l'emozione.
"Ripensandoci, ho avuto notizia anche io che la principessa Ginevra ha dato inizio al suo viaggio...", riprese l'omone appassionandosi alla vicenda, "...accidenti, così la leggenda sta per compiersi... c'è tanta attesa fra la gente...
Che dite, stavolta riusciremo a diventare patria unica?"
"Ancora non lo so", ammise Artorius, "c'è anche la guerra, attorno al mio castello, più dodici principi che mi contendono il trono!"
"Ma le leggende dicono che voi siete il re.
Voi avete seppellito la daga di Cesare, voi avete il favore del piccolo popolo!"
"Leggende...", sospirò il principe
"Sì, certo, leggende e profezie.
Cos'altro ci serve?
E dite, è vero quello che si narra circa la gente come voi?", chiese il brav'uomo.
"Cosa si narra sulla gente come noi?", chiese Artorius più mesto che curioso.
"Che siete metà uomini e metà animali, che le vostre donne sanno volare e l'alito del drago non brucia le vostre membra."
"Mai sentite tante stupidaggini tutte insieme", rise amaro il giovane, quindi chiese: "come vi chiamate?"
"Saro, signore, e sono profondamente onorato di conoscervi."
Saro era un omone rubicondo con una barbetta color mogano che gli incorniciava la faccia.
I suoi abiti, come la sua pelle, erano marchiati da un simbolo che Art non riusciva a decifrare:
"Perché su ogni indumento che indossi è stampata una foglia d'oro?
Che soldato sei?
A quale esercito appartieni?"
Saro si voltò verso il futuro re con sguardo incredulo:
"Davvero non conoscete la leggenda della foglia d'oro legata ai fuochi di Beltaine?"
"No, accidenti, non ti mentirei per così poco!"
"Beh, è noto a tutti, mio signore, che in quel mastio lassù vive una fra le donne più temute e rispettate dagli esseri viventi.
E adesso che ci penso, forse, potrebbe fare al caso vostro...", aggiunse Saro entusiasta.
"Purtroppo sono già promesso, amico mio", si schermì il giovane.
"Ma ella governa un braciere la cui pasta di fuoco dà origine a molte cose.
Si dice che da lì zampillino quelle scintille che noi chiamiamo stelle e brucino i rami che noi chiamiamo raggi.
Narra sempre la leggenda che un giorno, attraverso quel fuoco, passarono due gemelli.
I loro cuori erano talmente puri che essi non presero fuoco, ma continuarono per tutta la vita a brillare d'immenso e che, grazie a loro, nacquero il sole e la luna.
Perché la vera passione attraversa la fiamma senza arrendersi, né bruciarsi."
"E nella realtà, invece?", chiese Artorius molto curioso.
"Nella realtà, il fuoco della nostra signora, bruciando la terra, la purifica e protegge i raccolti."
A quelle parole Artorius incominciò a pensare che forse il suo lungo vagare non era stato vano.
E che, forse, ciò che stava cercando era davvero l'affascinante signora.
Lo avrebbe mai ricevuto?
"E la foglia d'oro cosa c'entra?", chiese con rinnovato interesse.
"Beh, premesso che da molti secoli nessun essere è più passato attraverso il fuoco di Beltaine...
A ogni tramonto ella scoperchia il crogiolo sacro e rimesta la materia che serve ai giorni, agli umori della vita, alle sorti e alle passioni del mondo per succedersi e andare avanti.
Tuttavia, c'è un particolare periodo dell'anno, alle soglie dell'equinozio autunnale, in cui ella purifica il suo crogiolo con il Realgar."
"Con... cosa?..."
"E' una rara polvere che ella riceve dagli alchimisti dell'Estremo Oriente e che, bruciando l'aria, la rigenera.
L'esplosione che ne deriva produce un conflitto nel cielo, i venti turbinano e si lamentano per molti giorni in queste regioni.
Nei boschi, un alito acidulo attraversa le fustaie e, per un istante, tutto si arroventa e poi si gela.
Così le foglie mutano colore e diventano rosse e ardenti.
Tutti gli uomini lo chiamano autunno e festeggiano le rosse e iridescenti fogge della stagione.
Ma quelli di noi che la conoscono, sanno che sono le fiamme di Beltaine ad attraversare la terra.
Capita allora che da questo fuoco artificiale, tra le foglie rosse e i germogli cremisi, in virtù delle arcane alchimie, nasca una foglia d'oro.
Tuttavia, c'è un solo istante in cui la foglia è visibile:
mentre cade dall'albero e prima di toccare il suolo.
Chi ha la fortuna di trovarsi in questo raro momento, per una notte diventa il Re delle possibilità."
Art rise amaro.
"Ah, non ne dubito, visto che l'impresa è assolutamente impossibile per un uomo."
"Sbagliate tono, mio signore.
L'occasione è molto ambita.
Io stesso, qualche volta, ho preso parte alle battute.
Insomma, se la foglia viene restituita a Bel, ella esaudisce tre desideri.
Capite da voi quanto la pena valga la partita!"
"E ti piace andare a caccia di foglie, Saro?", chiese ridendo Art.
"Non sempre.
L'avidità risiede nel cuore di molti e il bosco diventa un pericoloso labirinto...
sapete, mio padre ci ha perso la vita."
"Accidenti, mi spiace amico mio, non volevo ferirti", rispose il principe sinceramente addolorato.
Saro tacque e sospirò, quindi prese dalla sua bisaccia della carne secca e la divise con il ragazzo.
Poi i due si addormentarono ai piedi del castello.

Quella notte il cielo era incredibilmente quieto e blu.
Nessuna stella cadde.
Nessuna meteora portò messaggi o presagi.

Improvvisamente, nel cuore delle tenebre, una figura avvolta in una serica cappa bruna attraversò il ponte del castello come una folgore.
Le fiamme delle torce che illuminavano l'ingresso la seguirono per un'istante, quindi tornarono a splendere placide nei loro bracieri.
Era lei, l'impenetrabile Beltaine, e stava cavalcando verso il bosco.

L'acqua del lago era ferma, immobile, quando la signora del fuoco vi giunse.
Ella, per tutto il tragitto, aveva avuto l'irritante sensazione di essere seguita.
Scese da cavallo per condurre il suo purosangue sulla riva e farlo bere e si accorse della presenza di un giovane cervo che la fissava.
Aveva uno sguardo vigile e bellissimo.
Continuando a fissarla si mise a brucare i teneri germogli di un salice mollemente adagiato sulla riva.
La piccola falce di luna che svirgolava in cielo scomparve discretamente tra le nubi e il buio inondò la vasta conca d'acqua riempiendola di pece.
Beltaine, avvolta nel suo mantello, tentò di avvicinarsi al piccolo cervo e lo sentì battere i denti di paura e curiosità.
Poi accadde tutto velocemente... o forse fu il silenzio a far sembrare le cose più veloci.

Il sibilo di una freccia sfiorò la guancia di Beltaine che sobbalzò dall'orrore.
Un grido lacerante della bestia le permise di scorgere, nella bocca del cerbiatto, fra i germogli verdi e cremisi, la foglia d'oro.
La freccia aveva colpito l'animale alla zampa sinistra.
Bel rimase immobile augurandosi di non essere vista, ma, soprattutto, in attesa della reazione del cervo che, pur perdendo molto sangue e zoppicando vistosamente, scappò via.
"Accidenti, avrei potuto guarirti in cambio di quella foglia che da sempre mi appartiene...", mormorò la donna.
Quindi, attese per qualche istante sperando inutilmente in un ripensamento dell'animale.
Poi, contrariata, tornò al castello.

La mattina dopo, Saro si alzò all'alba e si accorse che il suo nobile amico non c'era più.
Scomparso lui e volatilizzato il cavallo senza lasciare tracce.
"Puah!", esclamò l'omone dopo essersi accorto che un cervo aveva lasciato le proprie impronte sul suo mantello.
"Animali cornuti!", continuò a borbottare avviandosi verso il grosso castello.

Oltre le mura, la guardia di ronda lo scrutò con sospetto.
"Che c'avrai da guardare?", urlò Saro spazientito.
"Sì, c'è un nobile celta che attraversa le nostre terre.
C'ho pure scambiato quattro chiacchere e ho dormito al bivacco, e allora?"
La guardia fece un cenno di assenso e lo lasciò passare.
Proprio mentre metteva piede nella grande sala del palazzo, un soldato stava annunciando alla sua signora e padrona che un giovane principe era alle porte del castello e chiedeva udienza alla dama del fuoco.



***


Attraversata l'immensa sala, la vide.
Aveva un abito di stoffa rossa minuziosamente ricamato e l'effetto della luce lasciava poco spazio all'immaginazione.
Seta!
Ecco come si chiamava quella stoffa, ed era una fibra nella cui trama dovevano aver danzato gli elfi, ordito le fate e ribattuto i satiri.
Il corpo della signora appariva terribilmente sensuale avvolto da quel manto serico e decisamente... fatale.
Sfoggiava anche ornamenti d'oro e d'argento sulle braccia, sul collo e alle caviglie.
Gli occhi intensi e fermi, abbaglianti come certe gemme azzurre di gran pregio.
Anche i suoi capelli, come i ricami della veste, erano color oro antico, cosparsi qua e là di sabbia, rame e argento.
Art si avvicinò guardingo.
Fra i due svettava un immenso braciere nel quale covava un fuoco vermiglio.
Quello doveva essere il fuoco rosso e sacro di Beltaine!
Sarebbe bastato annegarvi la torcia... ma quel pensiero non fu privo di conseguenze per il futuro re.
Al principe parve, infatti, che una scintilla lo avesse colpito al cuore attraversandogli le vene come una stella che cade.
Una freccia di fuoco pulsante dal petto allo stomaco, fino ad arrivare al cervello.

"Siete stato coraggioso a entrare in questo castello.
Ora sapete quanto questo fuoco bruci e quanto, talvolta, possa essere molesto", commentò allusiva la donna.
Accidenti, parlava come se conoscesse fin troppo bene i suoi sentimenti...
O parlava a caso?
Art non si perse d'animo, era lì per affrontare le sue emozioni, questa era la sua guerra.
"Credo di essere in grado di sopportare una fiamma che vacilla, ma non il vacillare del mio onore", replicò dissimulando ogni incertezza, quindi aggiunse: "Mia signora, la mia torcia ha perduto la luce e..."
"Conosco la vostra storia, Sir Artorius.
Il bosco parla e lungo le praterie le notizie corrono, mentre Avalon attende.
Tuttavia, prima di ogni altra cosa, è bene che sappiate che il mio fuoco non accetta compromessi.
Dipana le paure come le tenebre e fruga nella penombra e nei luoghi più intimi che, forse, non vorreste conoscere o non potrete accettare.
Siete al corrente di questi rischi?"
Artorius tacque.
I suoi occhi brillavano di lacrime, ma lei non se curò...
"Perché di fronte al fuoco sacro e schietto di Bel non avrete vie di fuga.
Potrete forgiare la vostra sommersa natura o fondere per sempre il vostro senno."
Artorius annuì, asciugandosi fugacemente una lacrima.
Perché stava piangendo?
Forse per la malinconia per quello che era stato o, forse, per il mistero di ciò che sarebbe divenuto?
"Quello di Bel è il fuoco che genera il cuore, principe Artorius.
Siete veramente certo di possedere tanto coraggio?"
"Ho combattuto contro Cesare e contro Roma, sono stato un cacciatore di cervi, sono sopravvissuto agli orsi, alla montagna e ai miei assassini.
Ora sono qui e..."
Ma ella spazientita lo interruppe:
"La guerra è calcolo, previsione, tattica.
Nulla, nulla a che vedere con l'istinto, l'energia o la deflagrazione di un sentimento!"
Quindi Bel si mise a frugare fra pergamene e cartigli borbottando:
"Eppure c'è qualcosa di confuso nella mappa del vostro destino... un'ombra più oscura delle altre... un'anima doppia... una doppia esistenza."
"Sono stato adottato, signora", disse lui.
"Immaginavo che non mi avreste aiutata", sentenziò lei, "e va bene, lo scoprirò domani."
Quindi fece un gesto lieve e Saro lo invitò a seguirlo.
Per il giovane principe era incominciato un viaggio senza ritorno.


 

 

 

 

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