Una città che brucia

[Racconto di Paola Manoni]

 



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durata 18 minuti

Ma come sarà stata Roma, prima del 18 luglio 64?
Vecchi edifici e strade tortuose, come scrive Tacito nel quindicesimo libro degli Annali?
E chi avrà voluto la distruzione della capitale dell'Impero?
Nerone per una folle idea estetica?
Per megalomani progetti urbanistici?
Andiamo per ordine... certo è che in quest'epoca sono molte le città a bruciare, sia per la tipologia architettonica degli edifici, con molte parti in legno, sia per il grande impiego di fiamme libere, tanto per l'illuminazione che per la cucina e il riscaldamento.
Prova ne è che a Roma, a seguito di tante devastazioni operate dal fuoco, viene istituito un corpo di sette coorti di vigili preposte per lo spegnimento dei fuochi, dislocate in posti di guardia nei quattordici quartieri della città.
L'esperienza più dolorosa riguarda l'incendio scatenatosi, sotto l'indifferenza della luna piena, nella notte tra il 18 e il 19 luglio 64.
Appiccato per caso fortuito o per dolo? Per mano dei Cristiani o degli addetti imperiali?
Quella notte le cronache registrano un forte vento da Sud-Est.
Gli horrea del Circo Massimo sono pieni di olio... basta poco, solo una fiammella per una grande conflagrazione che si propaga per le alture circostanti e si diffonde serpeggiando per le vie e i vici di Roma.
Nove giorni e le fiamme fanno scomparire per sempre zone come il quartiere terzo, detto di Iside e Serapis (l'attuale Colle Oppio), o il quarto del Circo Massimo, o il decimo del Palatino.
Migliaia di morti e duecentomila senzatetto.
Edifici e monumenti distrutti, tre quartieri rasi completamente al suolo e sette gravemente danneggiati.
Le zone ridotte in cenere sono quelle che meglio si prestano a propagare il fuoco: case costruite l'una sull'altra, disordinate, con vicoli minuscoli tra gli edifici fatti quasi esclusivamente di legno.

Mentre la città vive l'inferno, ad Anzio, sul litorale laziale, Nerone si attarda nell'ozio.
Il caldo estivo lo ha portato a cercare il fresco fuori porta.
Una villa immersa tra il verde degli ulivi e la spuma riecheggiante del mare.
Roma brucia?
Nerone ha fatto un sogno: ha visto le ceneri dell'Urbe da cui si leva un grande progetto architettonico.
Una nuova villa, la Domus Aurea neroniana, tutta giardini, terrazzamenti e laghetti al posto dei sordidi anfratti maleodoranti della città.

Nerone sarà soddisfatto: l'Imperatore avrà una casa che brilla come il Sole, simbolo del suo potere perché il centro distrutto verrà destinato a dimora dell'Imperatore e della sua corte.

Molte battute circoleranno tra i romani, attorno ai nuovi e imponenti edifici imperiali.
Un verso tra i più noti:
"Roma è tutta una sola casa, emigrate a Veio, o Quiriti... sempre che questa casa non occupi anche Veio."
Nerone non sempre distingue il reale dall'ideale, il suo mondo poetico da quello oggettivo...
Forse Nerone non sa più nemmeno, o non ricorda precisamente di aver dato ordine ai suoi servitori di rubare al tempio di Vesta un po' del sacro fuoco per originare la distruzione...
Nerone si convince che il bagno di fuoco sia la purificazione di Roma.
Sullo sfondo potrebbe esserci inoltre una motivazione artistica.
Cassio Dione racconta che da lungo tempo l'Imperatore accarezza l'idea di ricreare letterariamente l'esperienza mitologica di Troia in fiamme.
Ad Anzio, all'annuncio di Roma nel rogo, Nerone abbraccia la sua lira, pizzica le corde per emettere alcune note e ordina alla corte di rientrare in città.
Il carro imperiale non può attraversare l'Urbe ma arriva non lontano dal Palatino.
Nerone vede la sua residenza già avvolta tra le fiamme, la Domus Transitoria che collega i possessi imperiali del Palatino con i giardini di Mecenate sull'Esquilino.
La sua casa brucia e Nerone ha dimenticato di far prelevare gli oggetti a lui più cari.
Per un capriccio l'Imperatore impone ai suoi servitori di sfidare le fiamme ed entrare nel palazzo.
Poco importa se tante persone muoiono in questo tentativo.
Le fonti raccontano che l'Imperatore sale sulla Torre di Mecenate per godere il panorama della Roma-Troia morente, noncurante del rogo dei cittadini romani.
Perso nel suono delle note stridule della lira, con abiti di scena egli recita versi tratti dai suoi componimenti poetici sulla guerra di Troia, nel delirio d'identità con Priamo che vede la sua città avvolta dalle fiamme.

Lo storico Svetonio ce ne parla nella sua opera Vita dei dodici Cesari, formulando diverse e precise accuse.

Afferma che sono stati visti gli incendiari all'opera e questi riconosciuti nei diretti servitori dell'Imperatore.
Trova il movente non solo nella folle idea letteraria dell'epica troiana ma nella volontà di costruire la Domus Aurea e spiega che durante l'incendio vengono anche demoliti con macchine da guerra gli edifici in pietra che non prendono fuoco... e questo, forse, per meglio sventrare gli antichi quartieri.
Nerone cerca di ottenere spazio per il suo nuovo grandioso palazzo.
A questa determinazione maniacale e criminale si aggiunge quella del suo complice e amico Tigellino.
Le cronache antiche riportano che al sesto giorno l'incendio si ferma alle pendici del Colle Esquilino, dove molti edifici abbattuti hanno creato un vuoto che si oppone all'avanzata delle fiamme.
Ma un altro fronte di fuoco si propaga da alcune proprietà di Tigellino... e il fuoco completa l'opera per altri tre giorni.

Dopo il tempo della devastazione, si avvicenda l'epoca della ricostruzione e della persecuzione... alla ricerca del colpevole.
L'Imperatore sfrutta al massimo la situazione e fa cadere tutte le colpe dell'incendio doloso sui Cristiani.
Il popolo romano si scatena contro questa comunità che viene decimata.
Nerone alimenta le superstizioni popolari contro i Cristiani.
Scattano le denunce nei confronti di una minoranza inerte che subisce processi sommari per accuse inconsistenti.
Le condanne a morte sono atroci: per crocifissione o rogo oppure sbranamento da parte di animali feroci.
Alcune fonti riferiscono di Cristiani costretti a indossare pelli di animali e fatti morire dilaniati dai morsi di cani affamati.
Altre raccontano che i corpi dei Cristiani sono considerati come torce umane per rischiarare le notti di Roma.
Al di là dei toni forse esagerati di certi racconti, rimane la repressione di Nerone contro tanti innocenti e l'accusa grave rivolta al Cristianesimo di religione illecita.
Così ha inizio la prima grande persecuzione, vittima della quale è l'apostolo Pietro.

I Cristiani muoiono mentre la nuova urbanistica romana prende forma.
Ampie vie dritte e abitazioni di limitata altezza, con grandi cortili interni e portici davanti alle facciate, sullo sfondo della costruzione della nuova residenza imperiale.

Gli architetti del tempo, per volere dello stesso Nerone, dettano nuove regole, in tema di sicurezza antincendio:
gli edifici non devono avere muri in comune, tra i materiali edilizi vengono predilette le pietre gabina o albana, ritenute ignifughe.
I privati devono ora preoccuparsi che il necessario per lo spegnimento dei fuochi sia sempre disponibile in casa e, anche per questo, viene assicurata una maggiore diffusione dell'acqua portata dagli acquedotti.
Lo Stato s'incarica di rimuovere le colossali macerie che vengon trasportate attraverso il Tevere presso le paludi di Ostia e offre alle migliaia di senzatetto delle baracche allestite in zona Campo Marzio nonché l'apertura dei monumenti come dimore temporanee.
La città risuona ovunque del battere dei carpentieri, degli scalpellini, dei muratori al lavoro.
La via Sacra che attraversa il Foro viene ricostruita.
Il suo tracciato leggermente modificato.
La più antica via di Roma diviene ora un viale fiancheggiato da alberi e portici.
Su questa affaccia ad esempio la Casa delle Vestali, ora più spaziosa, più comoda, più sicura.
Nerone vive la ricostruzione della città come nuova fondazione di Roma, si considera un altro Romolo... e ha l'idea di ribattezzare Roma come Neronia.

Nei suoi progetti megalomani, Nerone ha però compreso le aspettative della gran massa della plebe.
Nonostante i suoi crimini egli è apprezzato perché distribuisce panem et circensem, cioè, pane e giochi.
Dopo l'incendio abbassa il prezzo del grano e i giochi da circo aiutano e dimenticare fame, morte e sofferenza.
Tra i giochi sono in voga le corse dei carri.
Si ricorda che Nerone stesso vince una corsa ai Giochi Olimpici.
A Roma, durante il suo regno si delineano vere e proprie squadre di aurighi: le fazioni dei Rossi, dei Blu, dei Verdi e dei Bianchi.
Invero queste fazioni esistono ben prima del governo di Nerone, come gruppi di amici e patrocinatori di allevamenti di cavalli.
Ma Nerone le sovvenziona, ne garantisce uno sviluppo.
Nelle gare le squadre scendono in campo con tre carri.
I componenti della stessa squadra si aiutano tra loro e spingono i carri degli avversari contro la cosiddetta spina che è la barriera mediana di separazione nella pista del circo.

Procurare questi incidenti è assolutamente lecito poiché rientra nelle regole del gioco.
Nerone ha capito la funzione dei giochi per il controllo del popolo.
Sostiene la squadra degli aurighi Verdi perché è la più amata dalla plebe.

Oltre al grande incendio del 64 e alle responsabilità di Nerone, il fuoco va in scena più volte nella storia romana.
Il primo fra gli incendi importanti che la storia ricorda risale al 390 a.C., quando la città viene distrutta in seguito all'invasione dei Galli.
Questi ultimi hanno libera mano quando dalla città, secondo quanto racconta Livio, gli abitanti si rifugiano sul Campidoglio, lasciando il controllo a soli ottanta anziani e inerti patrizi.
I Galli li uccidono senza pietà e poi devastano Roma.
Saccheggiano le case e appiccano il fuoco in più punti della città, lasciando una città ridotta a poco più che un cumulo di macerie.
Ma non meno tragico è l'incendio del 213 a.C., che distrugge le zone del Foro Boario e del Foro Olitorio, o quello del 68, che distrugge il Campidoglio, a soli quattro anni dal grande incendio neroniano, a causa dei combattimenti tra i romani sostenitori di Vespasiano e il partito di Vitellio.
E ancora: gli incendi dell'80, sotto l'Imperatore Tito, così come quello del 190 che distrugge una parte di Roma.
Con la ricostruzione, l'Imperatore Commodo pretende di imporre alla città il nome di Colonia Commodiana.
Infine la devastazione incendiaria degli edifici del Foro Romano, nel 283, sotto l'Imperatore Carino.
Ma da questi incendi, oltre alle storie di devastazioni, sopravvive un aneddoto miracolistico.
Sembra infatti che Vulcano, dio del fuoco nonché per la tradizione mitologica padre del re Servio Tullio, preserva dalle fiamme del 213 la statua lignea raffigurante suo figlio, ubicata proprio nel Foro Boario e precisamente nel tempio di Fortuna, nella zona dove l'incendio si propaga.
Al di là delle cause effettive degli incendi i romani, nel timore che vi possa essere una relazione di natura divina, sacrificano un numero altissimo di animali al dio Vulcano, con l'idea che questi mediante il fuoco dei roghi e degli incendi manifesti la sua ira e avversità verso il popolo romano.
Invero Vulcano viene venerato come protettore degli incendi e la sua festività dei Volcanalia cade il 23 di agosto (cioè il X alle calende di settembre nel calendario romano).
In quest'occasione si svolgono i Ludi Piscatori, che sono giochi in onore dei pescatori del Tevere.
Sulla riva più deserta del fiume si sacrificano al fuoco dei Volcanalia dei piccoli pesci vivi pescati nel fiume, che simboleggiano le anime umane. Per tradizione, la mattina di questo giorno i romani iniziano a lavorare accendendo una fiammella, come auspicio di un uso benefico del fuoco.
Il più antico santuario dedicato al dio è il cosiddetto Volcanal, ubicato nell'angolo nord-occidentale del Foro Romano, nei pressi del Campidoglio.

 

 

 

 

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