La Pulzella d'Orléans

[Racconto di Giovanna Gra]


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durata 24 minuti - Credits

Parla La Rossa:

A quello stolto di Gauce domandai se avesse visto lo sparviero. E lui, saltando goffamente dal cavallo, mi rispose di no.
Mi disse che non aveva visto né sparviero, né stendardo. Mi disse che, secondo lui, Giovanna poteva aver cambiato strada. Quindi, osservandomi in tralice, aveva ipotizzato qualche baruffa con i Borgognoni.

(sprezzante) "Stupidaggini!", avevo risposto io. "Ella conosce la via dei boschi, conosce la luna, conosce le stelle e sa muoversi al buio. Parola di Rossa!"
Anche io temevo che un giorno Giovanna non sarebbe tornata. Per questo la gola si strinse in un cappio e la voce si trasformò in un ruvido suono.
Per questo quasi lo assalii dicendo:
(con veemenza) "Sai qualcosa che io non so? Perché se lo sai e non me lo dici io... io..."
Ma lui negò, mi disse che sapeva quello che sapevo io, semplicemente ci ragionava.

(furiosa) "Capirai! Ci ragiona, lui!", borbottai aggiustandomi le pieghe del grembiule. Poi, finalmente, mi aggiornò sulle ultime. E così seppi che Giovanna aveva condotto Carlo VII a Reims per farlo incoronare re.
"In barba a Troyes!", esclamai soddisfatta, frase che lui ripeté dubbioso mentre io, invece, ripetei rabbiosa: "Sì, sì, in barba a Troyes!"
Mi chiese se avevo idea di cosa avrebbe potuto significare quel gesto. Detesto gli uomini che parlano di politica alle donne come se le donne fossero stolide oche.

(sputando) "Il trattato di Troyes è una faccenda più sporca del letame delle mie vacche!", risposi provocatoria.
Lui ne convenne, ma cercò di obbiettare. Non lo feci finire.
(con enfasi) "E' colpa del Duca di Borgogna! Quell'uomo non è degno di essere chiamato francese! C'è lui dietro a quel vile trattato che cede la corona di Francia a un bambino di sangue inglese!"
Gauce era un timorato, dunque, non mi stupì quando mi fece notare che il bambino dal sangue inglese era figlio di Caterina, la sorella di Carlo. La mia risposta non si fece attendere.

(perentoria) "Carlo è il nostro legittimo re e questo non lo discuto. E so anche che il trattato di Troyes cede la corona ai discendenti di sua sorella e al di lei consorte, che però si chiama Enrico d'Inghilterra. E questo, per me, è contro natura! Questo è l'ordine di un Borgognone. Perciò, io dico: a morte i Borgognoni! Io dico: Borgognoni, indegni francesi!"

(stizzita) "Oh, beh? Tutto questo discettare cosa ci porta? Forse alla ragione del suo ritardo? Lo sappiamo che Giovanna è schierata con le ragioni della vera Francia! E altro da dire non c'è."
Così incominciai a cantare a squarciagola per inserire una nota polemica
(canta): "Diabolo di Borgognaaaaa/ci vediamo a San Trovatoooooo/dove hai perso la corogna /che ci avevi depredatoooooo!"
Gauce, sul chi vive, mi disse che, se non avessi smesso, qualche milite mi avrebbe traforato all'istante.
Sputai e sentenziai secca
(provocatoria):
"Ehi, non ci sono pulci intorno alla mia locanda, ricordalo!"
Mi fece notare che non mi muovevo da quel lurido posto da almeno quindici anni. Dunque, cosa potevo saperne del mondo?
Mi raccontò una vicenda avvenuta tempo prima a un banchetto di Filippo il Bello di Borgogna. Mi disse che il duca, per sorprendere i suoi ospiti, si era fatto portare due fra i suoi migliori falconi.

(stupita) "Nella sala? Così... mentre quelli mangiavano?", chiesi sinceramente stupita.

(curiosa) "Va' avanti, ordinai."
Poi, con sguardo stralunato mi disse che nella sala fu introdotto un airone. Mi confessò che un tipo così grande e bello non l'aveva mai veduto. E infatti la gente non smetteva di rimirarlo.

(scettica) "Usanze strambe questi Borgognoni", osservai asciugandomi le mani nel grembiule. Il volto di Gauce si fece cupo. Il duca disse al vescovo che la gente si faceva incantare da quella bestia perché incarnava un'idea di libertà. E fu allora che lo paragonò a Giovanna. Disse che lei, come quell'airone, incarnava i sogni perduti della Francia. All'espressione corrucciata del vescovo, il duca ammise di avere già un suo rimedio.
"Bella serata per quell'uccello", constatai sarcastica. Gauce annuì. Quindi, mi raccontò che il duca aveva spaventato l'airone. E mentre l'uccello volteggiava sparuto per la sala, il duca, con un cenno assassino, gli aveva lanciato addosso i due falconi.

(inorridita) "Oh, capre e guano! E la sala?", domandai percossa dal presagio. Gauce scosse la testa. La sala, dapprima, aveva gridato d'orrore, ma poi aveva applaudito lo spettacolo infame.
A quelle parole fissai senza espressione il fondo del mio secchio arrugginito e con voce mozza ammisi:
(rassegnata) "E va bene, ho capito cosa mi vuoi dire."
Il volto di Gauce era teso come non l'avevo mai visto.
"Ma va! Non riusciranno mai a prenderla."
(ride forzatamente) "Dovrebbero metterla in gabbia e Giovanna vola più veloce di un airone!", ma la voce mi tremava.
Gauce m'indico un punto, dicendomi che da laggiù qualcuno veniva.

(allegra) "Ahhh! Te l'avevo detto che prima o poi sarebbe arrivata!", dissi facendomi spazio lungo la strada verso la locanda. Non aveva commentato.

(imperativa) "Beh? Allora? Cos'è quell'espressione scura? Avanti! Alzati! Dobbiamo prepararle la stanza! Vai subito a tagliare il prosciutto...anzi, no, bisogna travasare il vino!"
Avevo l'agitazione e l'esultanza assieme.
"No, no, aspetta, aspetta, dobbiamo pensare alla cena!"
Gauce cercò di attirare la mia attenzione.
(spazientita) "Insomma, Gauce, vuoi stare zitto?", lo rimbrottai stizzita.
Ma lui, serio, puntando un dito verso l'infinito m'invitò a guardare.
(irritata) "Cosa? Cosa?", domandai spazientita...
In effetti, la sagoma apparsa all'orizzonte non aveva stendardo, né sparviero, né le vesti che noi conoscevamo e amavamo. Era un uomo. Un cavaliere, accidenti. Il soldato si avvicinò al galoppo. Appena ci scorse, portò il mezzosangue al regime di trotto. Si muoveva cauto ma deciso.
Gauce, con piglio severo, gl'impose di palesarsi. Lui disse di essere Giovanni D'Alençon, fedele amico della Pulzella d'Orleans. Ma... come potevamo fidarci?
Cercava una donna, una locandiera. La sapeva fedele a Giovanna e sapeva che presso la sua locanda la Pulzella trovava rifugio al bisogno.
Il cavaliere ammise di essersi perduto e che stava cercando la Rossa.

(guardinga) "E cosa volete da lei?", domandai, rivolgendomi a lui per la prima volta.
Mi rispose che ne avrebbe parlato solo con la Rossa, perché doveva dirle cose segrete. Poi, l'ultimo raggio di sole prima di sera fece brillare i miei capelli. Fu allora che, prendendo coraggio, mi chiese se, per caso, la Rossa non fossi io.
"Se le siete amico, per servirvi", dissi andando contro le occhiatacce di Gauce.
Il giovane scese da cavallo e fece un inchino che mi piacque. Era bello e lo era ancora di più affaticato dalla corsa. Aveva le guance rosse, un affanno lieve e trucioli di capelli d'oro che gli cadevano sulla fronte.

(imperativa) "Gauce, porta a questo signore del vino!", urlai. "Ah... Gauce! Quello buono!"
Sapevo che mi piaceva perché mi legava a lei. Il giovane ringraziò, in cambio pretesi notizie.
D'Alençon mi disse che Giovanna era stata catturata, forse mentre tentava di raggiungermi.
Cercai un appiglio, la testa mi girava. Gauce emerse dalla cantina con la brocca, ma la mano gli tremava. Le avevano teso un agguato, stava fuggendo dalle truppe di Giovanni di Lussemburgo in compagnia del suo scudiero e di Pierre, suo fratello. Sperava di entrare a Compiegne, era in attesa che la città le aprisse le porte, ma... dopo un inseguimento spaventoso, due arcieri l'avevano disarcionata sotto le mura e...
La brocca fra le mani di Gauce cadde in terra frantumandosi in mille pezzi, mentre lui farfugliava qualcosa sui due falchi e l'airone.
D'Alençon guardò Gauce con stupore. Feci qualche passo fissando il sole che annegava oltre la linea nemica. Poi dissi: "Il popolo è boia e anche se prima non smetteva d'incoraggiarla, presto applaudirà uno spettacolo infame."
Vidi sul volto del giovane il ritratto dell'orrore, anche lui aveva paura.
(amara) "Venite monsieur D'Alençon. Accostatevi al fuoco. L'aria si fa bruna, il vento è cambiato e il nostro futuro sta tramontando dietro quelle colline."

 

 

 

 

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