Bene, bene... volate senza rete gente, ve lo consiglio.
Io ho chattato parecchio in questi giorni e senza remore, e so che c'è un mucchio di persone con cui posso entrare in contatto.
Voglio raccontarvi un fantastico incontro che ho avuto il mese scorso.
Accanto al mio portatile ho due altoparlanti, un po' malridotti ma davvero potenti, grazie alle modifiche apportate dal sottoscritto.
Vi basti pensare che riesco a sentire i sospiri di Emily quando c'è qualcosa che non va.
Vi ricordate di Emily, vero?
E' il mio amore, l'amore dell'internauta più veloce e spericolato del web.
Ovvero: Li Esposito.
Ovvero: Li Hacker, che è il mio nome di battaglia.
Ero con l'orecchio appiccicato all'altoparlante destro in cerca di qualche indizio acustico che mi rivelasse situazioni interessanti.
C'erano molte interferenze, frasi senza senso di radioamatori allo sbando, rumori di fili metallici che urtavano contro la rete.
Impatti dolorosi di oggetti non identificati contro solidi firewall.
Fruscii di mail senza destinatario che saettavano nel cielo del web in un'aerodinamica formazione a V.
Poi, all'improvviso, ho sentito in lontananza, quasi impercettibile, un mormorio insolito.
Gli indizi acustici sono essenziali per me che sono un ragazzo non vedente.
Del resto, raramente vengono colti dagli altri internauti.
Eh sì, molte cose sfuggono ai più!
Io è da diverso tempo che ho imparato a intercettare questi suoni finissimi, e anche bene.
Infatti sono riuscito a entrare in situazioni incredibili!
Mondi impensabili e nascosti e direi di avervene già dato prova... direi.
Ma quel borbottìo era davvero curioso.
E molto, molto lontano.
Incomincio a navigare.
Incomincio a dettare al mio portatile coordinate sempre più estreme, fino a spingermi in siti decisamente remoti.
Il mormorio è più forte e distinto e... udite, udite: è una voce umana!
Digito il mio msg di benvenuto, che recita più o meno così:
"Chiunque tu sia, amico, da qualsiasi mondo tu provenga, comunque tu la pensi, sei il benvenuto.
Sono Li, Li Hacker.
Una specie di James Bond della rete, per dirtela in breve.
E tu chi sei?"
Arriva velocissima la risposta, sebbene incomprensibile:
"Dimensione, ordine, forma... ordine, forma, dimensione... dimensione, ordine, forma... ordine, forma, dimensione..."
Mi accingo a chiedere ulteriori indizi.
La risposta è la stessa.
"Ok", digito io, "ti darò quello che mi chiedi", e ri-digito:
"La mia forma è lunga come quella di un grissino.
Non sono molto in ordine, a dire la verità, anzi, sono piuttosto scapigliato e la mia dimensione... beh, reale o fantastica... ma cosa t'importa?
E soprattutto, come ti chiami?"
Dopo un certo silenzio e qualche bzzzz... bzzzzz... arriva la risposta:
"Mi chiamo Archinta, l'ultimo degli Arcinumeri!"
Accidenti, penso io, dev'essere un re, una persona importante, magari un mago!
"E chi sei ?", domando.
"L'ultimo degli Arcinumeri!", replica senza ammettere altra replica.
"Ma cosa cavolo sono gli Arcinumeri?", insisto.
Sarò scostumato, ma voglio capire!
"Mio caro, un tempo gli Arcinumeri, stirpe a cui io appartengo, erano una casta nobile e misteriosa che rappresentava la forza e la forza delle idee.
Numerare oggetti o cose, popoli o persone e di queste, coi numeri, scandire l'esistenza, era un processo quasi magico, un tempo..."
"Oooohhh!", ri-ri-digito stupefatto.
Non ci ho capito molto.
L'unica cosa che mi preme è che non sia un professore di matematica.
Ma lui, ineffabile, prosegue:
"Sappi che l'interpretazione dei numeri è una delle scienze più antiche del mondo.
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Platone diceva che praticare detta disciplina era esercitare il più alto grado di conoscenza.
Ti è chiaro adesso?"
"Occhei Archinta, eeeee... perché borbotti tutte quelle strane cose sulla forma, l'ordine e la dimensione?"
Bzzzzz...
"Perché da lì parte il tutto."
"Da lì dove, scusa?", domando un po' confuso.
"Dal concetto di numero", risponde lui.
"Capisco che per te è molto importante, Archinta", azzardo io, "ma cosa vuoi dire?"
"Quanti anni hai?", domanda lui.
E' velocissimo con la tastiera, noto.
"Dodici."
"Vedi che anche per l'inizio e il corso della vita è importante che l'uomo sappia contare?
Hai mai pensato come facessero milioni di anni fa?"
"Veramente no", rispondo io e chiedo:
"Come facevano?"
"Hai mai pensato a quanto potesse essere importante, per il primo uomo, distinguere forme, dimensioni, ordini, ovvero: contrasti e somiglianze?"
"Cioè?", mi sento un po' stupido, ma davvero non lo seguo...
"Beh, amico, saper distinguere la differenza fra un lupo solitario e un branco può aver significato molto per taluni..."
"In che modo?"
"Per esempio, salvarsi la vita!", replica lui secco, ma non mi lascia spazio e continua:
"Per esempio, distinguendo questi dettagli, puoi fare un rapido calcolo delle probabilità."
"Quali probabilità?"
"Quelle per cui, davanti a un branco hai molte probabilità di finire mangiato, mentre davanti a un solo lupo le tue probabilità di scamparla saranno più alte.
Non tutti lo sanno ma, probabilmente, quando si parla della sopravvivenza del più adatto e - bada! - ho detto il più adatto, NON il più forte, molto è dipeso dalla memoria e dall'immaginazione!"
Per tutti gli svalvolati della rete!
Non pensavo che starmene a IMMAGINARE con un I-Pod piantato in testa potesse essere cosi vitale...
Voglio sincerarmene e digito un'altra domanda:
"Hai proprio detto: immaginazione?"
"Certo", digita lui a manetta.
"Saper distinguere una forma allungata, come quella di un bastone, dalla forma della luna è il primo passo per poter usare queste forme e poterle riprodurre.
Poi, però, per riprodurle a proprio uso e consumo ci vuole immaginazione.
Così, un bastone può rapidamente diventare una lancia e la sagoma tonda della luna uno scudo.
Questa è immaginazione, non credi?"
"Ficooo!", digito entusiasta.
"Tornando al branco di lupi, devi anche considerare che le diversità fra i lupi e la luna, o fra la luna e la lancia, fissano un altro concetto importante.
Ovvero: l'unicità."
"Un momento, un momento, cosa vuoi dire?", chiedo confuso.
"Pensa ai lupi", mi suggerisce.
"Ci sto pensando", rispondo immediatamente.
"E adesso pensa alla luna."
"Pensata anche la luna!"
"Bene.
Tu sai che la luna è tonda o a spicchi, e che il lupo ha quattro zampe e la pelliccia.
Ergo, luna e lupo non potranno mai essere confusi fra loro.
Nascono così, nella mente dell'uomo, delle categorie o delle specie.
E, sebbene ci siano molti lupi e, forse, molti satelliti roteanti attorno ai pianeti, la luna e il lupo godono - a questo punto - della loro unicità di specie.
Cioè, ogni lupo appartiene alla specie LUPO, ogni satellite con caratteristiche lunari apparterrà alla specie LUNA.
Quindi, è ovvio dedurre che dalle differenze traiamo il concetto di unicità."
"Sarebbe?"
"Sarebbe che ci possono essere dieci, cento, mille lupi, cioè molti lupi, ma apparterranno sempre alla stessa categoria: il lupo.
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E questa è unica e non è quella della luna."
"Difficile ma figo!"
"Non è difficile, credimi.
E' così che l'uomo ha incominciato a contare, cioè a distinguere fra le differenze, fra i vari molti e..."
Faccio fatica a seguirlo: "Piano, piano... cioè?"
"Cioè, l'uomo ha fissato il mondo e si è detto: qui c'è una luna e c'è un lupo.
Poi ha visto il branco e si è detto: adesso ci sono molti lupi e una luna.
La luna è differente dai lupi, quindi è una.
I lupi sono simili quindi sono della stessa specie e li posso contare insieme e circoscrivere in un branco."
"Ha inventato il singolare e il plurale..."
"Esatto.
Poi, probabilmente, si è fissato i piedi."
"I piedi?!", chiedo stupito.
"Già, i piedi.
E forse anche le mani."
"Vuoi dirmi che si è distratto?", domando, annaspando un po'.
"No, voglio dire che si è curiosamente accorto di avere dieci dita dei piedi e dieci dita delle mani."
"Se è per questo, abbiamo anche due occhi, come due orecchie!", finalmente un'osservazione che mi fa sentire all'altezza della discussione.
"Sì, è così.
Due orecchie e due occhi fanno quattro, aggiungi le dieci dita delle mani e fanno quattordici, includi quelle dei piedi e fanno ventiquattro... ma arrivati a ventiquattro cosa si fa?"
La domanda mi mette un po' in crisi... non so proprio cosa rispondere, così formulo un'altra domanda:
"Insomma, Archinta, essendo ancora primitivo, l'uomo non poteva accontentarsi di contare fino a ventiquattro?"
"Scherzi?
E cosa ne sarebbe dell'evoluzione?
Ricordi cosa ti ho detto all'inizio: memoria e immaginazione!"
"E allora?"
"E allora, l'uomo si accorto che le mani, i piedi, il naso e gli occhi non gli bastavano più.
Ma, essendo al tempo della pietra aveva tanti sassi, sassolini di tutte le ere, glaciali e non, e di tutte le forme."
"Non era primitivo, era un genio!", esclamo io partecipe.
"Esatto.
E incominciò a raggrupparli a cinque a cinque, come le dita delle sue mani.
E lo chiamò sistema quinario.
Fu Aristotele, probabilmente, a notare questo processo e, in merito alla nascita del sistema decimale, osservò che, probabilmente, la decina era stata scelta ispirandosi al numero dieci della nostre dita.
In ogni caso, le cose andarono ancora avanti."
"Oh, sicuro!
Fino alle calcolatrici!", battuta cretina, direte voi, eh?
Lo so, ma non me ne venivano altre.
Per fortuna Archinta è paziente.
Tace per qualche istante e poi digita:
"Ci sei ancora?"
"Certo che ci sono!
E pensavo una cosa: contare con le pietre è davvero geniale.
Ma a proposito di calcolatrici, mi domandavo: dovendo fare molti conti, gli uomini primitivi avevano bisogno di un numero impensabile di pietre, all'età della pietra?"
"Giusta osservazione.
Non si potevano affidare informazioni importanti, come per esempio il numero di giorni senza luna, a un mucchietto di pietre.
Così, si riaffaccia sulla scena il lupo, o quel che ne resta."
"Oh, mamma!
Cioè?", domando un po' sospeso.
"Cioè, sembra che siano stati trovati reperti antichissimi, nella fattispecie ossa di lupo incise da mano umana."
"E cosa c'era inciso?"
"Tacche, tante tacche in gruppetti di cinque.
Il nostro uomo primitivo si era inventato un foglio di calcolo in un osso di lupo.
Pazzesco, non credi?"
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"Archinta, tu racconti storie incredibilmente divertenti e interessanti!"
"Sono scoperte archeologiche, amico!
Assolutamente riscontrabili.
E così, infine, al posto delle tacche, l'uomo ha sentito la necessità di inventare dei segni.
Si dice, infatti, che i simboli numerici possano addirittura aver preceduto le parole.
Ma sai dirmi chi o cosa ha generato questa necessità di contare?"
"No, non lo so... immagino vicende decisamente pratiche.
Forse una sorta di baratto... o il desiderio di sapere quanti pesci si sono pescati... oppure quanti figli si avevano... o il numero degli animali che componevano il gregge..."
"Bravo Li, osservazione corretta.
Eppure, pensa un po', c'è chi dice che l'uomo abbia imparato a contare per pregare."
"Per pregare?!", domando davvero stupito.
"Già.
Si parla di rappresentazioni religiose, rituali di importanza primaria, in cui gli attori dovevano essere chiamati sulla scena secondo un ordine.
Questa potrebbe essere stata la necessità primaria di dare un nome al primo: PRIMO.
E SECONDO, appunto al secondo attore che doveva apparire sulla scena."
"Incredibile, anche tu pensi che sia andata così?", chiedo curioso.
"Non lo so, è una teoria che si sta studiando.
Ma non è così improbabile."
"E' pazzesco!"
"E ti dirò di più: probabilmente è da queste pratiche che i numeri posseggono un'identità sessuale, cioè dagli attori e le attrici che prendevano parte a queste rappresentazioni."
"Cosa intendi Archinta?
I numeri?"
"Esatto, i numeri.
Non sapevi che i numeri dispari sono considerati maschili mentre i pari femminili?"
"Oh bella, no che non lo sapevo!
Geniale l'uomo primitivo!"
"In realtà, a questo punto abbiamo abbandonato l'uomo primitivo e dovremmo essere finiti in Egitto, amico mio..."
"In Egitto?
Io non mi sono mosso dal mio seggiolino."
"Tu no, ma la storia dei numeri riprende da lì, probabilmente dalla nascita della geometria."
"La geometria è nata in Egitto?"
"Così sembra e non solo... ti confesserò, ragazzo, che con molta probabilità la geometria è nata nell'acqua."
"Ehi, Archi, sei impazzito?"
"No che non lo sono, è proprio così.
Come si suol dire, necessità crea virtù e - dico io - stimola l'immaginazione che è la grande protagonista di questa storia dei numeri.
Di fatto, in Egitto avevano un grosso fiume considerato un Dio che elargiva vita ma che, purtroppo, di tanto in tanto, seminava anche la morte.
Eppure, gli uomini, per forza e disperazione, incominciarono a notare dei piccoli dettagli come la periodicità delle piene e cominciarono ad avere bisogno di calcolare.
Ovvero, di sapere, dopo la piena, quanta terra il fiume restituiva loro.
No, aspetta..."
"Aspetto cosa?", domando, colto alla sprovvista.
"Questa è la storia della geometria che ti racconterebbe un signore chiamato Erodoto e, se vuoi sapere chi è, ti consiglio di cliccare sul suo nome per ricavare più informazioni possibili.
Lui la pensava così e io la penso come lui: gli Egiziani hanno inventato la geometria per sapere quanta terra gli rubava il Nilo a ogni piena."
"Mi vuoi dire che non tutti la pensavano come questo... Erodoto?"
"Esatto.
C'era un altro signore, che senz'altro avrai già sentito nominare, tal Aristotele (e se vuoi cliccare sul suo nome saprai tutto anche di lui) che sosteneva che in Egitto ci fosse una casta di ricchi e di dotti sacerdoti che avesse lavorato affinché questa disciplina proliferasse.
Per mera speculazione intellettuale.
Comunque sia andata, la meraviglia è che da questo momento apparvero sulla scena delle figure molto romantiche."
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"Cioè?", chiedo curiosissimo.
"I geometri egiziani.
Meglio conosciuti come i tenditori di corde.
E con le corde, ragazzo, questi signori misuravano il mondo!
Misuravano i templi, le strade, le maree e le terre e tutto con una semplice cordicella!
Anche se è probabile che la geometria avesse avuto qualche palpito ancor prima, magari usando un cesto, una ciotola, un telo come unità di misura e di forma."
"Ho capito: tu giri per il web raccontando la storia degli Arcinumeri!"
"No, amico.
Io navigo per il web in cerca del numero d'oro!"
"E cos'è il numero d'oro?"
"E' la chiave delle proporzioni degli esseri viventi.
E' la proporzione aurea.
L'equilibrio fra sapere, sentire e potere; forse la misura della pulsazione del mondo... forse tutte queste cose insieme..."
"Capisco."
"Le parole sono importanti, ragazzo.
Spiegano i segni, ma i numeri sono i custodi simbolici dei segni... questa è da sempre l'arte della mia famiglia."
"Non so se capisco..."
No, gente, sono davvero in difficoltà... per fortuna Archie lo capisce.
"Dammi i tuoi numeri!", esclama.
"I miei numeri?"
"Si.
Quando sei nato Li?"
"Io... io sono nato l'11 gennaio, perché?"
"Perché è chiaro che uno dei tuoi numeri è l'uno.
Sai cosa rappresenta l'uno?"
"Che ne so... il primo?", domando incerto.
"Più o meno.
L'uno, in realtà, rappresenta moltissime cose, ma è - in sostanza - il principio attivo, l'uomo nella sua piena attività.
E' un numero importante e autorevole, lo capisci da te..."
"Beh, va beh, perché... esiste forse un numero negativo?", domando davvero incuriosito.
"Certo", risponde lui serafico e aggiunge: "Forse non proprio negativo, ma complesso e non sempre favorevole."
"E che numero è?", domando io.
"Il due."
"Perché?"
"Perché il due è il simbolo del conflitto, è un simbolo di opposizione. E' un numero ambivalente e, pertanto, può rappresentare un buon equilibrio ma anche un combattimento."
"Accidenti Archie, non ci avevo mai pensato... dimmene un'altra, ti prego!"
"L'ultima però, perché poi devo andare."
"Sono tutt'orecchi!", confesso con entusiasmo.
"Sai perché si dice che il numero diciassette porti sfortuna?"
"No... a dire il vero non lo so."
"Sono stati gli antichi romani a coniare questa credenza.
Il numero diciassette, rappresentato nell'antica Roma, era in sequenza una X, una V e due stanghette; XVII.
Ma gli stessi elementi, ovvero una V, una stanghetta, una X e un'altra stanghetta, anagrammavano VIXI ovvero Ho vissuto nel senso di chi è morto."
"Fantastico...!
Questa me la rivendo subito a Emily!
Ehi, Archinta, ci sei?"
La sua voce mi arriva lontana:
"Ho digitato altre coordinate sul navigatore... devo seguire la via dei numeri, ragazzo... te l'ho detto... devo cercare il numero d'oro!"
"Cavolo, avevo altre domande da fare... tornerai?"
"Certo!
Perché non dovrei?
Le tue coordinate le ho memorizzate ormai..."
"Guarda che ci conto!"
"Contaci... contaci..."
E l'ho perduto così, fluttuante nel suo cielo preferito: l'infinito.
Baci a tutti, Li.
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