Il ricordo di un maestro




[Racconto di Paola Manoni]


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"Sant'Elena, isola nell'Oceano Atlantico meridionale, colonia degli inglesi".
Questa frase, come un atollo di inchiostro in un foglio immacolato bianco campeggia ancora oggi in un diario d'infanzia di Napoleone Bonaparte, conservato nel suo archivio.
Il futuro imperatore, ancora bambino, raccoglie in una profetica frase il suo destino.
Poi scriverà, alla fine dei suoi giorni di esilio:
"Sono qui, sperduto su una piccola isola bagnata dall'Oceano, ci sono solo palme e qualche noce di cocco per sopravvivere.
Ormai, sono su questa isola da sette mesi e credo che finirò i miei giorni qui".
Ragionevole supposizione, alla fine della vita, al dipanare degli eventi indagati con razionalità.
Ma cosa dire del piccolo Napoleone?
I bambini, alcuni bambini, percepiscono ciò che avverrà.
Ma del senso della premonizione non sono consapevoli e la maggior parte di loro, con la crescita perde, del tutto questa facoltà.
Si dice che Napoleone possedesse un magnetismo particolare, che emanasse forza ed energia nello sguardo carismatico che si posava sui suoi eserciti.
Nella rassegna dei soldati che faceva personalmente, prima della battaglia.
Non sappiamo se conoscesse la fonte del suo potere né sarebbe importante per comprendere, in questo, una qualche attitudine ESP.
Fatalmente le persone con tali inclinazioni iniziano quasi per caso a notare segni relativi a fatti, sogni, circostanze che ne decretano le caratteristiche paranormali.
Nella mia esperienza, da adolescente appassionata di magia e fenomeni paranormali, avrei dato qualunque cosa per appartenere alla cerchia di quella umanità eletta, in grado di vivere la percezione extrasensoriale.
Mi veniva in mente Napoleone non certo per trovare un paragone.
Ci mancherebbe!
Ma, solo per citare un esempio di come nelle biografie, simili fatti non sono messi a fuoco.
Si descrive la vita solo in chiave razionale, pur sapendo che la razionalità è in grado di spiegare solo un aspetto dell'esistenza.

Forse io sono molto sensibile a quanto è detto essere 'oltre la ragione' ... in ogni caso sono cresciuta con la convinzione di voler verificare le mie capacità extrasensoriali.
Nella vita di tutti i giorni, ad esempio, ad ogni squillo del telefono, mi cimentavo nell'indovinare chi fosse dall'altra parte del filo.
Ma non attraverso delle congetture bensì con slancio emozionale.
Con l'andare del tempo acquisii questa capacità, senza più tenere conto se questa si fondasse su aspettative razionali ad esempio su qualche analisi delle chiamate abituali su fascia oraria costante, non altrimenti consapevole.
Mi spingevo anche in esperimenti di scrittura automatica.
Con la mente, apparentemente vuota, ad occhi semi chiusi, davanti ad un foglio di carta bianco e la penna pronta a scivolare per imprimere nero su bianco qualche messaggio proveniente dal' 'l'oltre la coscienza'.
Beninteso: l'esperimento di ritrovare un precipitato di verità oltre l'ordinaria esperienza del vivere normale, mi spingeva verso simili pratiche ma non per un'idea di comunicazione con anime trapassate (agli spiritismi non ho mai dato ascolto!).
Insomma, il tentativo era quello di scandagliare le capacità personali nascoste e dimostrare che la razionalità su cui fondiamo tutta la nostra vita non è che una convenzione, un'approssimazione che dura un tempo limitato poiché, dall'indistinto fluire dell'ignoto, vi saranno nuove conoscenze che romperanno il castello di carte delle certezze.
Come ad esempio una futura, auspicata, conoscenza delle capacità del nostro cervello dove, per l'appunto, l'indagine dei sensi potrebbe essere ampliata con nuove prospettive epistemologiche.
La mia propensione naturale aveva qualcosa che andava accrescendosi grazie ad un certo allenamento.
Per prima cosa ritenevo di dover dare ascolto anche ai piccoli dettagli quotidiani per svelare fatti di precognizioni, anche insignificanti.
Per farvi un esempio:
Una volta rientravo a casa con un amico con cui ero partita per il fine settimana.
Avevamo fatto tardi, dopo una serie di peripezie sportive (partecipavamo ad un campionato di vela) sicché ci trovammo in autostrada, di notte, e senza aver cenato.
Ci fermammo in un autogrill con l'intenzione di procurarci del cibo.
Non una vera cena ma, qualcosa con cui riempire lo stomaco.
Appena varcai la soglia del locale, il pensiero che avrei mangiato uno strudel si fece stranamente chiaro in me.
Ma io non volevo affatto lo strudel, tant'è che - come il mio amico - ordinai un toast ed una spremuta di arancia.
Il barista prese la nostra ordinazione, ci preparò le spremute e mise sulla piastra a scaldare le due dosi di pane e companatico che avevamo scelto.
Nel frattempo il barman si fece rapire dalla televisione accesa.
Davano una replica di una partita di campionato.
Fissava lo schermo con una mimica contratta per via del finale ai rigori.
Ad un certo punto sentimmo l'odore di pane abbrustolito.
Dapprima una fragranza buona ma poi, un acre odore e fumo di pane carbonizzato.
Il barista, ripresosi dalla sua trance calcistica, arrivò da noi con un evidente imbarazzo.
Aveva bruciato gli ultimi due toast che non avrebbe potuto sostituire con altro se non, quattro fette di strudel che ci offriva al posto dell'ordinazione andata in fumo.
Sicché rimasi così colpita dalla premonizione che non dissi nulla e, andammo via con il sacchetto dei dolci.
Considerai questo episodio una evidente anticipazione della coscienza di un evento.
Era un segnale importante che annegai nell'aroma della cannella con cui lo strudel era speziato.
Questa vicenda mi incoraggiò molto a progredire nel mio percorso.
Nell'Italia della mia giovinezza, negli anni '70 del secolo scorso, l'informazione parapsicologica era assai scarsa.
Pochi i libri e poca la circolazione delle informazioni.


Di quelle buone cioè, prive di ogni altro fine se non quello di far luce su fenomeni ancora oscuri alla conoscenza.
Bandivo i ciarlatani le cui millantate 'facoltà' paranormali erano un imbroglio per facili guadagni e cercavo di tenermi alla larga dalla 'stampa spazzatura' sull'argomento.
A quell'epoca, nelle case di molti italiani, il monoscopio del canale nazionale RAI faceva da segnale di inizio e fine giornata.
La mia famiglia, in particolare mia madre, era totalmente rapita dalla programmazione TV serale, di rito dopo lo "spicciare" della cucina.
Io spesso dalla mia camera seguivo solo l'audio stando immersa in qualche lettura o allenamento ESP a cui mi sottoponevo in modo improvvisato e rudimentale.
Una sera stavano trasmettendo una puntata del famoso Rischiatutto.
La voce del presentatore Mike Buongiorno irrompeva nella mia stanza.
Per me si trattava solo di estraniarmi per non essere distratta dal telequiz.
Ma la sera del 2 dicembre 1971 venne presentato un nuovo concorrente.
Sul piccolo schermo passava un tal bolognese, di nome Massimo Inardi che partecipava al programma televisivo rispondendo a domande sulla musica classica.
Il nome suonava completamente estraneo ma, non sapevo il perché, decisi di spostarmi in soggiorno, incuriosita dal concorrente.
Medico di professione, Inardi era anche esperto di parapsicologia e lo dichiarò nelle battute successive.
Sembrava che io lo sapessi già!
Inardi, nelle puntate che seguirono, tenne 20 milioni di italiani, senza fiato, davanti allo schermo.
La sua partecipazione durò per nove settimane consecutive e due serate speciali per le finali tra campioni del Rischiatutto, vincendo una somma davvero consistente per l'epoca: 48 milioni e trecento mila lire.
Seguivo le puntate, cercando di carpire qualunque informazione sul conto del supercampione.
Il telequiz aveva una struttura piuttosto innovativa per l'epoca poiché i concorrenti potevano presentarsi, interloquire con il presentatore, parlare della propria vita.
Il tutto ovviamente secondo un canovaccio regolamentato che tuttavia dava l'impressione di molta spontaneità.
Sicché la 'deriva parapsicologica' che era nel campione emiliano fu subito svelata.
E venni a sapere che era uno dei responsabili del Centro di parapsicologia nella sua città, Bologna.
Cosa potesse spingere un medico, con tali caratteristiche, verso un programma come il Rischiatutto ... lo si spiegava per via della sua cultura musicale ereditata dalla madre.
Inardi dichiarò di partecipare al telequiz con la speranza di vincere una somma di denaro sufficiente per l'acquisto di un buon impianto stereo.
Ma, come disse in un'intervista:
"Non andrò oltre la nona puntata... sono come Beethoven".
Premonizione corretta poiché alla nona puntata una svista gli fu fatale.
Rispose in modo impreciso ad una domanda (il numero del Requiem di Mozart nel catalogo Köchel).
Disse K636 per poi correggersi subito con K626.
Ma il giudice di gara si affrettò a rispondere:
"La prima risposta è quella che conta!" - e con queste parole venne congedato Inardi che però tornò a vincere in una serata tra super campioni del Rischiatutto nel giugno 1972.
Io seguii avidamente tutte le puntate finché egli fu presente al telequiz.
Comprai i rotocalchi che parlavano di lui per raccogliere ogni dettaglio utile che potesse allargare la mia conoscenza del personaggio.
Era un parapsicologo e, questo, era tutto.
Durante la trasmissione si disse che poteva vincere facilmente poiché era in grado di leggere le risposte nella mente di Mike Buongiorno.
La RAI adottò anche delle contromisure.
Sicché in una puntata i giudici di gara stabilirono di non scrivere le risposte ai quiz sul copione consegnato a Bongiorno ma, solo le domande.
I responsi furono affidati alla valletta, Sabina Ciuffini, che confermava o meno quanto rispondevano i concorrenti.
Di Inardi avevo rintracciato qua e là qualche notizia biografica.


Era figlio di un chimico.
La mamma era diplomata in canto e pianoforte; rimase orfano di padre a soli dieci anni.
Inardi, molto sostenuto dalla madre (la quale comprese le attitudini prodigiose del figlio) conseguì la maturità classica a 17 anni e la laurea in medicina a soli 22.
Il suo primo impiego fu come medico presso le Ferrovie dello Stato.
E qui mise a punto la psicotecnica per le selezioni attitudinali relative ai concorsi dell'Ente.
Parallelamente, si occupò del Centro studi di parapsicologia di Bologna dove fu consigliere e ricercatore.
Io, nella mia realtà di provincia, vedevo Bologna, la televisione, l'Inardi come realtà gigantesche, inarrivabili.
Farneticavo, sognavo e cercavo di orientare la realtà nella veggenza di qualche sorta.
Credevo nelle mie potenzialità e cercavo di spingerle avanti.
Leggevo avidamente tutto quello che potevo reperire, ordinando i testi nella cartolibreria del mio paese ma, non era facile far arrivare i libri.
Quando il libraio mi vedeva passare in strada, mi chiamava immediatamente, segno che qualcosa per me era giunto.
Allora mi balzava il cuore in gola dall'emozione.
Cercavo informazioni per affinare ma, anche per riconoscere, le manifestazioni dell'ESP di cui magari non sapevo.
Una volta, per un'ambiguità di un titolo di una pubblicazione, mi arrivò un volume sbagliato. Era un testo di psicologia, sull'autostima.
Lo lessi ugualmente e ne rimasi affascinata.
Soprattutto mi aiutò a trovare il coraggio di considerare l'ipotesi di scendere a patti con la realtà e i miei desideri ovvero, rivolgermi al Centro di Bologna.
Mi ci vollero diversi mesi ma, alla fine, scrissi una lettera a Massimo Inardi.
Mi spinsero a fare questo due fenomeni.
Il primo: scoprii cosa fosse l'Onironautica, altrimenti detto sogno lucido nel quale si è consapevoli di stare sognando e si ha la capacità di modificare, nella coscienza dell'esperienza onirica, l'andamento del sogno stesso.
Io, ero un'onironauta perché avevo tante volte vissuto un simile fatto.
E questo era considerato un elemento ESP valutabile.
Mi capitava soprattutto la mattina presto e con sogni che implicavano una scelta da compiersi: la scelta di una strada o alternative di altra natura.
Per sciogliere il dilemma, la considerazione veniva verbalizzata nel sogno in un costrutto mentale del tipo:
"Poiché sto sognando posso decidere di scegliere che la tal scelta mi condurrà a tale circostanza".
Il secondo motivo che mi spinse fu la molla più fortemente scatenante.
Mi ero iscritta da qualche tempo al Club alpino italiano del mio capoluogo di provincia, per frequentare corsi di alpinismo e conoscere persone con la comune passione per la montagna.
Una certa domenica si organizzò un'uscita il cui appuntamento era fissato per le 5.00 di mattina.
Io ne ero entusiasta.
La sera prima non riuscii ad andare a letto presto nonostante la sveglia dovesse essere per le 3.30.
Ero veramente stanca a seguito di una giornata molto dura e, appena mi fu possibile, sprofondai in un sonno pesante.
Successe poi che mi svegliai naturalmente alle 3.00 e già in uno stato molto lucido.
Appena aperti gli occhi un pensiero chiarissimo mi attraversò la mente e mi diceva:
"Tanto, tu oggi in montagna non andrai".
Al momento non diedi alcun peso a questo vaticinio.
Rimasi comunque a letto la mezz'ora che mi spettava, prima della sveglia, e rimasi distesa in un buono stato di rilassamento.
Poi mi alzai, dando corso alle solite azioni del mattino: doccia, i vestiti per la montagna preparati la sera prima, la preparazione della colazione: prima quella dei gatti (all'epoca ne avevo due) e dopo la mia.
4.20 - tutto era pronto; lo zaino era già in spalla e avevo raccolto casco e piccozza da terra.

Ma dissi tra me e me:
"Stai ancora 10 minuti a casa, sei sempre la prima ad arrivare e ti tocca aspettare gli altri!".
Sicché misi giù lo zaino.
Il mio gatto birmano mi aveva seguito fino all'ingresso e ora mi guardava, seduto e assonnato.
Mi venne in mente che potevo impiegare utilmente quei minuti allisciando di dovere il manto a pelo lungo del mio gatto il quale adorava essere pettinato.
Dopo questa toletta, durata dieci minuti, ero in macchina, alla prima parvenza di luce crepuscolare.
La strada che mi avrebbe condotto all'appuntamento ha diversi incroci.
Ve n'è in particolare uno importante che interseca una statale e che io avrei dovuto superare per giungere a destinazione.
Ma, poco prima di quest'incrocio, una fila di macchine, da poco formatasi, bloccava il passaggio.
Molto insolito vista l'ora.
Ma davanti alla fila si apriva un brutto scenario.
Un incidente di tre macchine avvenuto con la seguente dinamica (ricostruita il giorno dopo dai giornali locali).
Un'auto ferma, probabilmente in panne, proprio nell'attraversamento tra le due strade.
Il conducente di un'altra auto che arrivava subito appresso, usciva per prestare soccorso alla prima.
Dalla statale, sopraggiungeva un ragazzo, ubriaco, appena uscito da una discoteca, che con l'auto sportiva spazzava a 180 km orari auto e persone.
Tre morti, in un groviglio di lamiera.
Transito bloccato, intervento dei vigili del fuoco e della polizia.
Quella giornata, in effetti, non andai in montagna, non potevo raggiungere in tempo il gruppo che, partì senza di me!
Inoltre, sullo sfondo c'era un dubbio inquietante: se fossi uscita prima, dieci minuti prima, mi sarei fermata per la macchina in panne?
Cioè, sarei stata io nel ruolo del soccorritore?
Perché l'incidente avvenne esattamente dieci minuti prima del mio arrivo...
Sarei stata io tra le vittime?
Come vi dicevo, questi due fatti, mi spinsero a scrivere e a contattare il grande Inardi.
Il medico parapsicologo mi ricevette a Bologna, presso il Centro di parapsicologia.
All'epoca avevo veramente pochissimi soldi.
Per studiare all'università, comprare qualche libro e permettermi poco altro ancora, davo fondo ogni mese a tutto quel che i miei potevano darmi e che arrotondavo con qualche ripetizione di latino impartita ai liceali.
Con molta fatica radunai i soldi: per il treno di andata e ritorno e per una notte in una pensione di terza categoria.
Inutile dire che questo viaggio era per me di un lusso estremo.
Ancora più inutile aggiungere la descrizione del mio stato emozionale, il giorno prima di questo incontro...
Arrivai al Centro spaccando il minuto di puntualità.
Dovendo ridurre in tre parole la prima impressione che ricavai dal dott. Inardi direi: calma assoluta, gentilezza e umanità.
Mi accolse in uno studio molto sobrio, mi fece parlare della mia storia e degli interessi che mi avevan condotto da lui.
Poi, di punto in bianco, mi chiese il motivo per il quale la sera prima avessi chiesto, poco dopo il mio arrivo alla pensione, il cambio di stanza, dal primo al terzo piano.
Rimasi senza fiato.
Sicché, un po' sfrontatamente, chiesi a mia volta se lui avesse doti di chiaroveggenza.
Inardi sorrise e poi con tono paterno aggiunse:
"Posso anche indovinare la riposta?
Voleva la stanza numero 307 (terzo piano, settima stanza) da lei considerato un buon numero, propizio per il nostro incontro".
Sentii che le mie guance prendevan fuoco.
Poi confermai, a fil di voce.
Ma questa mia ossessione numerologica (che non vi sto qui a svelare...) piacque molto a Inardi.
Non so si trattò di questo dettaglio specifico oppure del complesso delle mie esperienze emerso nel colloquio, sta di fatto che Inardi mi propose di partecipare della vita del Centro, come corrispondente fuori sede.
Presi parte al gruppo di ricerca che studiava gli aspetti sperimentali del paranormale.
Nella duplice veste di 'ricercatore' e 'ricercato'.
E mi fu di gran conforto, sia per spingere avanti il mio percorso ESP, sia per condividere interessi ed esperienze comuni con altre persone a me simili.
Ad esempio, riuscii a dare finalmente una spiegazione ad un fatto che trovavo pazzesco, del quale ritenevo, prima di allora, di non poter parlare.
Quanto sto per raccontarvi mi accadeva con particolare intensità intorno ai diciassette - vent'anni.
Fenomeno notturno, in quella soglia tra veglia e sonno.
Lo racconto tutto d'un fiato e con pochi giri di parole.
Sdraiata a letto, supina, poco prima di addormentarmi ma, all'improvviso, completamente bloccata, senza potermi muovere, con il cuore in gola.
Soprattutto con l'intenzione di chiedere aiuto senza poterlo fare. Riuscivo al massimo a sussurrare qualcosa in modo debole, con la netta sensazione di avere la voce soffocata da qualcosa di molto anomalo.
Questo era spesso accompagnato dall'ancor più angosciante percezione della presenza di un intruso nella mia stanza.
Poi d'incanto tutto spariva, lasciandomi completamente sveglia e nel dubbio di aver vissuto uno strano sogno.
Scoprivo che tutto questo aveva un nome: 'paralisi del sonno' o 'paralisi ipnagogica e che era piuttosto comune nelle persone predisposte all'ESP.
Sicché non ebbi più paura o riserbo per queste esperienze.

Con Massimo Inardi ebbi uno scambio epistolare che durò anni.
Mi seguiva nelle mie scoperte extra-sensoriali ma, anche nei miei studi.
Come lui mi laureai in medicina.
Divenni medico di famiglia con uno stile da medico condotto di un tempo che gira di paese in paese.
Sentii il maestro per l'ultima volta al telefono, pochi giorni prima della sua morte avvenuta nel novembre 2003.
Mi salutò raccomandandomi di non trascurare un certo studio.
E io ovviamente seguii il suo consiglio.
Inardi se ne andò in silenzio, uscendo di casa per una passeggiata.
Faceva freddo e fioccava la prima neve della stagione.
Era mezzogiorno quando, sul marciapiede di casa, si accosciò senza un lamento.
Un attacco cardiaco senza appello.
Lasciava sua moglie Graziella, suo figlio Giovanni e molte persone - amici e allievi - riconoscenti per aver ricevuto tanto rispetto, cura ed affetto.

 

 

 

 

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