Navigazioni parallele




[Racconto di Paola Manoni]


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durata 22 minuti - Credits



(Dal diario di bordo, 10 ottobre)

Il sole allo zenith del Tropico del Capricorno segna l'inizio dell'estate australe.
Giorni e giorni trascorsi senza vento, dove la solitudine si fa bruciante come il sole e vischiosa come il caldo umido di queste latitudini.
Non è la prima esperienza di navigazione in solitaria né la prima regata senza scalo della mia vita... ma questa competizione transoceanica, ancor prima di avere un valore sportivo, ha il significato di una misura personale: non si compete direttamente con gli altri navigatori che hanno tagliato con me la linea della partenza per questo giro attorno al mondo, ma piuttosto si gareggia nel mondo interiore... tu con te stesso.
La vita per mare in assoluta individualità comporta un combattere coi fantasmi che attendono il navigatore in diverse tappe.
La prima di queste si trova nel golfo di Biscaglia, che è quasi sempre in tempesta... qui i venti da Ovest, scivolano sulla superficie di mare aperto e costruiscono castelli in aria con le onde.
Cede anche lo stomaco più forte e si combatte nonostante il mal di mare...
I fantasmi del malessere, della privazione, ma anche della paura della morte abitano questi castelli...
Qui regna una calma assoluta, il mare è fermo.
E dunque il marinaio, se vuole combattere e vincere, deve ingegnarsi per far muovere la barca, sfruttando tutti i più deboli refoli di aria di direzione variabile.

Il navigatore allora cresce in esperienza... a volte cresce nel suo ego quando raggiunge le acque africane... e proprio quando si ritiene forte e fuori pericolo... ecco che gli alisei lo abbandonano, segno che si avvicina all'Equatore.
La luce del sole perpendicolare al suolo e poi la pioggia sottile, sottile, fanno il resto della monotonia.
Lo scafo non avanza, il boma sbatte sul sartiame e una leggera nausea monta a poco a poco... come un fetch che invade lo stomaco e la coscienza.
L'inedia è nei vestiti caldo-umidi, nelle vele in bando e nelle tempie che martella.
Ma come in tutte le cose, ci sono dei risvolti positivi.
Se non si annega definitivamente nella malinconia, se si combattono le palpebre pesanti... per forza, si arriva alla soluzione.
Si deve compiere il miracolo: trasformare la noia in velocità... e allora si tenta il tutto per tutto, si gioca con misure sottili così da raggiungere la soglia di un nodo di velocità... ma anche se si tratta di un solo nodo... nella lentezza di un procedere minimale sulla curvatura del globo... si pensa e si pensa... e scorre un tempo che sembra eterno, come quello di una lumaca che circumnaviga la Terra.

Affiorano i ricordi...
L'infanzia, gli amici dispersi, i cari che non ci sono più.
E quando la giostra dei fantasmi inizia a girare... il navigatore solitario deve optare tra una catarsi o una totale sopraffazione.
Con fatica ho optato per la prima: mi sono dato da fare nella lotta interiore e nell'assenza del vento.
E ho vinto... l'aliseo è ricomparso e scorre arioso sulle vele.
Il timone vibra e i mulinelli d'acqua tornano a gorgheggiare a poppa.
La prua fende le onde e i delfini sono giunti a farmi visita.
Sono felice... che altro potrei chiedere di meglio?
Oggi ho pescato ben due pesci volanti... mi accingo a prepararli per pranzo.
Il forno di bordo è indispensabile come tutto il resto dell'armo perché consente al navigatore di cucinare in sicurezza cibi di buona qualità.
Anche questo contribuisce al buon esito della regata.


(Dal diario di bordo, 14 ottobre)
Il Capo di Buona Speranza è una spiaggia di ciottoli nel limitare della falesia su cui sorge il faro di Cape Point.
E' notte e osservo il suo lampeggiare: secondi di luce e secondi di occlusione.
Sto per entrare nell'Oceano Indiano.

(Dal diario di bordo, 16 ottobre)
L'andatura è di bolina, con vento da Sud-Est sui 25 nodi.
Mi avvicino ai 40 ruggenti col fiato sospeso.
Ce la farò a fronteggiare le prime tempeste?
L'Indiano, a queste latitudini, è il mare più tempestoso al mondo.

(Dal diario di bordo, 19 ottobre)
Ho attraversato due burrasche che si sono abbattute nel giro di due giorni, lasciando una tregua di poche ore.
In queste condizioni non posso lasciare il timone al pilota automatico.
Devo timonare io da sottocoperta.
Ho lasciato solo la tormentina e un triangolo di randa.
Ho svuotato completamente la coperta da tutto il resto del materiale per il timore che le ondate lo strappassero via.
Sono letteralmente esausto e i prossimi giorni non promettono nulla di buono.
Quanto più la prua punta a Sud, tanto più ci avviciniamo alle rotte degli iceberg.
Non ho mai attraversato prima d'ora questo tratto di mare ma ho la sensazione di aver già vissuto le situazioni estreme appena trascorse.
Sarà forse l'aver dormito solamente pochi minuti l'ora, durante il lungo timonare... ma sta di fatto che la mia coscienza sembra alterata, come ad accogliere sensazioni irreali.
Ma poi ci pensa l'oceano a farmi destare completamente, a 40 nodi e oltre di vento... prima che monti in tempesta con onde alte 10 metri.
Affrontare il cattivo tempo nell'Indiano è come cavalcare il dorso della tigre: si salva solo chi sa mettersi in relazione con le energie scatenate degli elementi... affinché i marosi risparmino lo scafo e ne consentano il passaggio tra i flutti.
Per ora penso di saper dominare il rodeo delle onde, nella speranza di non essere mai disarcionato: un errore potrebbe già essere la causa di un incidente irreparabile.



(Dal diario di bordo, 26 ottobre)
Sono nel cuore dell'oceano Indiano sub-antartico; la costa del Sud Africa è sfilata via i giorni addietro.
Le immagini meteo del satellite e anche il mio bronzeo barometro tradizionale (appeso sottocoperta come un oggetto di altri tempi) dicono chiaramente che è in arrivo una nuova tempesta da Sud-Ovest.
Mi preparo a riceverla già con un cambio di vela di prua e mentre mi sistemo nella manovra, mentre assicuro il sacco del fiocco alla murata di dritta... ho un'immagine di me.
Da fuori, come se fosse un film, mi vedo chinato a prua mentre già sistemo i garrocci della nuova vela sullo strallo, oltre l'angolo di mura del genova che sto per ammainare.
Ma c'è un particolare... la vela che sto preparando, in questa visione, non è un fiocco ma una tormentina.
E la differenza è davvero evidente visto che le mie vele di prua sono di colori diversi.
Rimango leggermente stordito quando la visione scompare.
Mi resta il dubbio di aver fatto la scelta migliore.
Rientro allora in pozzetto e dal gavone di poppa estraggo il sacco della tormentina.
Monto direttamente la vela per il cattivo tempo, assecondando la visione per filo e per segno.
Colgo il suggerimento di non indugiare... e devo dire che il me osservato aveva ragione!
Infatti, contrariamente alle indicazioni del meteo, nel giro di poche ore il mare si forma a dismisura e grazie alla velatura già correttamente issata posso evitare il cambio di rotta a cui sarei stato costretto per ammainare il fiocco.
Questo mio resoconto è successivo a 18 incessanti ore al timone, sotto coperta.
Se i velisti solitari non avessero il problema della navigazione così fortemente radicato in loro, non potrebbero sostenere il rischio continuo di finire inghiottiti in un vortice d'onda.
Il mio problema di navigazione mi rende vivo ma al contempo mi espone al rischio di morte che sembra connaturato in me.


(Dal diario di bordo, 29 ottobre)
Il dorso di una balena, all'orizzonte, ha coperto alla mia vista l'isola di Marion, a metà strada tra il Sud Africa e l'Antartico.
C'è un pallido sole di cui approfitto per asciugare cose e indumenti.
Ma il sale, intriso ovunque, non consente di eliminare l'umidità.
Approfitto della tregua e del bel tempo per salire in testa d'albero: devo ispezionare le luci ma soprattutto il radar e l'antenna radio.
Dopo l'ultima tempesta, la peggiore, avevo serie preoccupazioni sulla ricezione dei segnali...
Arriverò tra pochi giorni ai 50 urlanti dove il radar è assolutamente indispensabile per zigzagare tra gli iceberg.
I luoghi remoti della Terra, come questo l'atollo di Marion, parte delle Isole del Principe Edoardo, fanno affiorare i luoghi perduti della memoria, il fondo dell'animo.
Qual è l'Antartico nella geografia della propria coscienza? E dove si annidano i fantasmi? E dove il sé parallelo... se esiste?
A proposito di quest'ultimo... non riesco ancora a metabolizzare la visione salvifica della scampata tempesta...




(Dal diario di bordo, 2 novembre )
Nel giorno della commemorazione dei defunti, taglio i 50 gradi di latitudine Sud.
Brindo con una zuppa alle erbe liofilizzata... tipica gastronomia da barca: un modo per assumere facilmente sali minerali e liquidi per l'idratazione.
Ho ricevuto un pessimo annuncio, l'ennesima tempesta in arrivo, ma più robusta delle altre.
Le carte meteo del satellite non lasciano ombra di dubbio.
La zona di bassa pressione si sta spostando velocemente e io non avrò tempo per riposare.
Controllo il log del radar che per ora non ha stanato alcun pericolo di sorta.
La nebbia è sempre più fitta... e per la rotta posso orientarmi giusto col GPS e col monitoraggio via radar, ma butto un occhio anche sulla carta per scegliere una buona rotta che incroci una linea di batimetrica, come si faceva un tempo senza tecnologia... così da tenere tra le mani un filo di Arianna...
C'è una strana calma e il mare è poco mosso.
Sono in attesa del prossimo bollettino meteo che dovrebbe arrivarmi attraverso il collegamento satellitare del navfax.
Mi avventuro a prua, ovviamente legato alla life-line, e mi fermo a scrutare l'orizzonte, avvolto da nebbia, nello spazio di cielo che si scorge sotto la ralinga della base del genova.
Mi appoggio con le braccia ai candelieri, le gambe a penzoloni e la testa chinata verso il basso.
Il mare è di un intenso grigio plumbeo.
Mi fermo a fissarlo intensamente... gli spruzzi d'acqua alzati dallo scafo che taglia le onde... il mio sguardo si fissa su questo dettaglio e più lo guardo, più mi rivedo, quella sensazione sdoppiata, provata nei giorni scorsi!
Ecco il mio me seduto a prua.
Poi mi rialzo e, facendo scivolare i moschettoni della cintura di sicurezza, arrivo in pozzetto.
Scendo sotto coperta.
L'immagine meteo satellitare è arrivata.
Nelle prossime ore è previsto un fronte freddo in arrivo, con una tempesta violenta.
Il barometro continua a scendere... per l'ennesima volta dovrò prendere tutte le misure precauzionali che sempre più di frequente si fanno necessarie.
Mi siedo al tavolo da carteggio per ragionare.
L'odore dell'olio paglierino, che ho steso prima di partire sul paiolato in tek, è ancora percepibile... e questa è forse l'unica sensazione lieve e casalinga che ho al momento.
Mi invade le narici quasi a inebriarmi e... di nuovo m'invade una visione di me che si spinge oltre perché apre lo scenario dalla futura tempesta.
Sono al tavolo da carteggio ma l'orologio sul pannello dei comandi è cinque ore avanti (quindi l'io che vive la visione è cinque ore indietro).

Ci sono delle decisioni da prendere.
Mantenere la rotta oppure optare per una cappa secca, che è per il velista l'ultima spiaggia... quando non c'è nulla da fare... si smonta l'armo il più possibile e ci si lascia in balia delle onde.
Mi gira la testa, chiudo gli occhi e il vortice della visione prende un ritmo accelerato.
Mi vedo... mi sbrigo a ridurre al minimo la velatura.
Mi ritrovo all'istante, mura a sinistra di lasco, nel tentativo di pilotare l'imbarcazione.
Combatto il sonno per restare vigile, ore ed ore al timone, ma ci sono ancora tante valutazioni da fare sulla rotta... infine la visione sfuma ma faccio in tempo a osservare alcuni dettagli degli strumenti di bordo... e non sembra esserci un epilogo tragico.
Poi un altro capogiro e sono catapultato in un'altra ipotesi visionaria.
Mi vedo preparare l'imbarcazione per la cappa secca: dalla lettura del meteo pericolosamente avverso decido di non affrontare la navigazione ma piuttosto ammainare tutte le vele e chiudermi ermeticamente sottocoperta.
La barca è affidata a sé stessa, il rollio dello scafo è incessante.
E poi arriva l'irreparabile.
Lo scafo è colpito da un banco di ghiaccio vagante, poco affiorante in superficie e troppo poco formato per essere rilevato dal radar.
L'impatto è violento e dopo qualche secondo si apre una falla: nella superficie di alluminio... penetra l'acqua.
Faccio giusto in tempo a mettere in acqua il battellino di salvataggio autogonfiabile e a lanciare un SOS... e mentre mi sistemo all'interno temo che per me sia finita.
Anche se gli organizzatori della regata saranno in grado di ricevere il mio accorato appello per la sopravvivenza... non potranno tuttavia prestarmi un soccorso immediato viste le attuali condizioni meteo estreme.
Un'altra sequenza di visione: arrivo in aeroporto dove c'è mia moglie che mi aspetta.



La vertigine si placa e io, ritorno io... davanti alla carta nautica e alle informazioni che intanto arrivano dal navfax.
La tempesta si preannuncia di un'intensità maggiore di quanto previsto poche ore fa.
Ho un lieve sentore di mal di testa e tutto quel vedere mi mette un grande disagio perché non so cosa fare.
Soprattutto: posso fidarmi delle mie allucinazioni?
Nel momento delle decisioni irrevocabili... posso affidarmi all'irrazionale girovagare del mio inconscio visionario?
Ma si tratta di sogni, di premonizioni, di COSA si tratta?
Un fatto è certo: si tratta di portare a casa la pelle e dunque qualunque istinto di conservazione è valido.
E se c'è da dare retta a una lucida follia, ben venga!
Ma quale delle due...? Come riconoscere la via della salvezza?
Electa una via, non datur recursus ad alteram... dicevano i latini!
Devo sgombrare la mente e mettere in campo un sano intuito da marinaio, formato dall'esperienza e non dalla suggestione di una mente da troppo tempo in isolamento.
Mi alzo e cerco di allungare la colonna vertebrale per rilassarmi.
Sono stato seduto troppo a lungo e mi attendono ore difficili.


(Dal diario di bordo, 3 novembre )
Delle due l'una: ho scelto la navigazione all'andatura di lasco.
La visione di me al timone mostrava la delicatezza delle scelte intermedie.
E' sufficiente solo un errore di pochi gradi sulla rotta per strambare involontariamente e far partire la barca alla straorza, mentre lo scafo scende il canale d'onda per risalire in cresta.
Rischierei di disalberare con la corsa del boma contro le sartie che tengono l'albero, alla velocità folle di questo vento.
Stringo allora un po' di più il vento per avere un margine maggiore nel risalire sulla cresta... ma non eccessivamente altrimenti rischio di perdere velocità... e in questo caso, con minore propulsione, i frangenti potrebbero riversarsi sullo scafo causandone il cedimento.
Ecco, una decisione intermedia di importanza cruciale.
Nel pieno svolgersi della tempesta, la concentrazione che si richiede per governare il timone mi fa perdere di vista altri controlli essenziali.
E quando finalmente mi rilasso, avendo trovato l'armonia giusta per seguire la rotta che presumo essere la migliore... come un lampo mi torna alla mente la visione di me nella scelta di continuare a navigare di lasco.
Il momento reale e l'anticipazione del futuro combaciano perfettamente... al netto di un dettaglio che nella realtà sto trascurando.
Mi rivedo, come una scena alla moviola... poco prima che sfumasse la visione: vedo il panello degli strumenti!
Il monitor del navfax che lampeggia di rosso: segnala un'allerta.
Ritorno all'istante nel mio io razionale e lascio navigare il pilota automatico: mi precipito con lo sguardo sul pannello dei comandi... il navfax... lampeggia davvero!
L'immagine satellitare mostra che il mio scafo sta puntando dritto a una gigantesca isola di ghiaccio galleggiante... a cinque minuti dalla mia posizione attuale!!!
La sferzata di adrenalina mi fa tornare di un balzo sul timone.
Disattivo il pilota automatico e... devio su una nuova rotta.
Il ghiaccio è sospinto da Sud-Ovest e dunque mi devo portare sopra vento... devo lasciargli tutta l'acqua che vuole per filare via verso Nord-Est... fino a disciogliersi nelle zone più calde.
Non ho molto margine di manovra perché se risalgo troppo il vento corro il rischio di perdere velocità nel risalire le onde... sicché non mi resta che giocare su uno scarto di pochi gradi... lambisco il bordo dell'isola galleggiante... e per un pelo evito la rotta di collisione!


(Dal diario di bordo, 15 novembre )
L'alta pressione mi sta accompagnando da giorni e felicemente doppierò un altro mitico capo... il Capo Leewin, l'estrema punta Sud-Ovest dell'Australia, dove l'Oceano Indiano si incontra con il Pacifico e con l'Oceano Glaciale Antartico!
Sono salvo per aver seguito un istinto visionario... per aver messo in atto un meccanismo che segna una delle capacità più vincenti degli esseri umani: saper conoscere prima di ri-conoscere.
Conoscere l'anticipazione del futuro e saperla poi ri-conoscere nella realtà!
Potreste pensare a una fortunata coincidenza, non del tutto indipendente dal mio stato di alterazione mentale... oppure ritenere che io sia stato perfettamente lucido e che questa mia sia un'esperienza ESP che dimostra la presenza di mondi paralleli, dove lo spazio e il tempo sono multidimensionali e dunque in ogni istante si svolgono le nostre esistenze parallele: quelle in cui si svolgono le storie della nostra vita secondo le diverse opzioni scelte.
E allora ci saranno regate plurime in cui naufrago oppure disalbero oppure procedo indenne.
Ma in tutti i casi sono ancora vivo e la corsa continua.
La speranza...? Che in tutti i miei mondi possibili io possa sempre avere l'opportunità di godere della bellezza del Pianeta... perché è solo questo che spinge il navigatore a mettersi in gioco.

 

 

 

 

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