Lo sfondo violetto al ritratto si addice perfettamente a questa grande signora... sono soddisfatta del risultato...
Di lei, a ragion veduta, si esalta sempre la figura intellettuale, l'acume scientifico, l'esplorazione inedita nel campo della pedagogia... però anche la valutazione estetica vuole la sua parte!
Lo so che avete già capito di chi sto parlando... magari siete stati da piccoli in una delle scuole che segue il suo metodo d'insegnamento...
Sto parlando, ovviamente, di Maria Montessori!
Tra poco su questi pixel!
Avrete il piacere di sentire live la maestra di tutti i moderni maestri di scuola!
Ovvero, la pedagogia del XX secolo in persona.
Qualche minuto ancora...
La mostra sta per essere inaugurata... connessione attiva.
Tre, due, uno...
"Internauti adulti e piccini, oggi inauguriamo una personale di un'influente personalità nel mondo dell'educazione: Maria Montessori!"
Parte la sigla musicale e io riprendo fiato.
Il ritratto è in mezzo alla galleria, illuminato da un fascio di luce.
La figura della Montessori è incredibilmente tanto austera quanto dolce.
E una volta tanto controllo bene l'emotività che tenta sempre di giocarmi qualche scherzo con queste interviste ai grandi personaggi della storia e della cultura.
L'atelier si sta popolando di una galleria di ritratti importanti ma io mi sento sempre agli esordi di quest'avventura!
Ecco che ci siamo... il collegamento è attivo e ora via Web siamo a contatto con il grande pubblico!
"Buonasera carissima Jo Peg!", con tono caldo e cordiale è la Montessori a rompere il ghiaccio per prima!
"Professoressa..."
"Meglio Maria, l'occasione d'incontro non mi pare accademica!", il mio esordio di tipo gerarchico viene subito dirottato verso una comunicazione più amichevole... con questi carismatici individui non sai mai come esordire...
"D'accordo, Maria... il nostro pubblico vorrà sapere tutto sulla scuola da lei fondata e sul suo conto..."
"Da dove vogliamo partire?", mi chiede lei con tono molto simpatico.
"Pensavo di cominciare dalla personale vita scolastica di Maria... cioè comprendere se il suo interesse per la pedagogia scaturisca da qualche esperienza diretta, vissuta sui banchi di scuola!"
"La mia età scolare è maturata nel periodo in cui si diceva L'Italia è fatta, facciamo gli italiani.
Appartengo alla generazione cresciuta nei primi anni dopo l'unificazione d'Italia, con quel che comportò allora l'organizzazione di un paese da costruire interamente come identità nazionale.
Ero poco più che una bambina quando il lungo processo risorgimentale raccoglieva i suoi frutti nell'idea di patria.
Ma, al di là della storia, vorrei soprattutto fare riferimento con voi al periodo in cui ho frequentato la scuola superiore, nel quale percepivo già l'esigenza di applicare gli ideali di rinnovamento e di liberazione, non solo nelle istituzioni sociali ma nella condizione della donna!"
"Veramente un pensiero molto precoce!", commento a fior di labbra.
"Il pensiero alberga in qualunque età e in qualunque sesso, ricordiamocelo!
Io fin da allora avevo chiara l'idea che avrei seguito il mio istinto e desiderio di studio, oltre le convenzioni circa l'educazione della donna di allora."
"E praticamente cosa comportò?", chiedo incuriosita.
"L'ostinazione mi ha fatto andare avanti, nonostante un ambiente ostile all'istruzione delle donne, e mi fece sopravvivere sia nella scuola secondaria che all'università."
"Ho fatto qualche ricerca sulle scuole che lei ha frequentato...
Mi risulta che a tredici anni lei entrò nella Regia Scuola Tecnica Michelangelo Buonarroti, in Roma, nell'autunno 1883..."
"Giusto", fa eco la Montessori, "la mia famiglia si trasferì da Chiaravalle a Roma quando avevo cinque anni.
Durante la scuola elementare, in Via San Nicola da Tolentino, mostrai subito una propensione scientifica, passione per la matematica e facilità nel pensiero logico-deduttivo.
Sicché dopo la scuola primaria la mia scelta fu per un istituto tecnico."
"E come la prese suo padre?", domando, conoscendo già la risposta, "Una ragazza, ai suoi tempi, che sceglie in modo autonomo e per uno studio di tipo maschile... doveva essere una rarità!"
"Mio padre la prese ovviamente male!
Una donna in un ambiente maschile... ma la mia insistenza ebbe la meglio... anche perché potevo contare sul sostegno di mia madre."
"Com'era l'ambiente?"
"La scuola tecnica non era certamente più liberale della primaria.
Se il sistema d'istruzione primaria soffriva di mancanza d'inventiva e di una conduzione competente, la scuola secondaria e poi l'università pativano invece di un'impostazione eccessivamente burocratica.
Dopo l'unificazione dell'Italia il governo aveva adottato un sistema di politica amministrativa su modello francese, diviso in distretti organizzati sotto un ferreo controllo gerarchico centralizzato."
"Esemplificando?", domando volendo stringere il discorso... non vorrei si rimanga troppo sul teorico...
"Esisteva un unico curriculum uniforme imposto dal Ministero per l'educazione in tutte le scuole del Regno d'Italia.
Il Ministero imponeva i programmi e controllava tutti gli esami.
Alla fine dell'anno scolastico uno studente del settentrione urbanizzato e uno del meridione agrario avrebbero dovuto rispondere alle medesime domande di esame poste da un ispettore ministeriale."
"E funzionò questo modello?"
"Al Sud fu praticamente inattuato... ma effettivamente fu sostituito da qualche riforma che portò ad esempio l'introduzione di diverse prove scritte, meglio valutabili degli orali."
"Come era organizzata la scuola secondaria di allora?", domando con un certo interesse personale... io provengo dal liceo artistico... e, disegno a parte, non ero molto motivata allo studio, lo ammetto!
"La scuola secondaria era divisa in due sistemi: classico e tecnico/scientifico.
Il classico era già organizzato in un biennio ginnasiale e un triennio di liceo. Ed era ampiamente focalizzato sullo studio del latino e del greco, magari impartito da un tirannico e pedante professore, amareggiato da un profilo professionale senza possibilità di carriera."
"E gli studi tecnico-scientifici?"
"Questi prevedevano programmi più moderni, in un percorso strutturato in sette anni.
Nei primi tre anni di scuola venivano insegnati il francese, l'aritmetica e la ragioneria, l'algebra e la geometria ma anche la storia, la geografia e un'infarinatura di scienze.
Seguivano poi altri quattro anni nell'istituto tecnico in cui si impartivano lezioni di lingue moderne, matematica e discipline commercialistiche.
Esisteva un syllabus per ogni materia... e sarebbe stata un'eresia dissentirne!"
"Qualche esempio?", chiedo mentre mi domando cosa sarebbe stato di me se fossi vissuta in quell'epoca...
"Per esempio, una disciplina come la botanica prevedeva un unico libro di testo approvato dal Ministero.
Gli allievi ai loro banchi aprivano il libro e studiavano i diagrammi delle foglie, senza in ciò poter avere un approccio diretto e sperimentale con la natura."
"Vuol dire che non era previsto un laboratorio?"
"Né un laboratorio ma nemmeno una passeggiata in un bosco o in un parco urbano, dove effettivamente toccare con mano la botanica!", risponde la Montessori con una certa enfasi.
"Com'era la giornata-tipo di un liceale?"
"L'anno scolastico andava da metà ottobre a metà giugno.
Nella scuola tecnica gli allievi frequentavano la mattina, circa quattro ore, con rientro pomeridiano di un paio d'ore.
Nelle ore della scuola i ragazzi erano fisicamente ingessati... nel senso che veniva imposto l'immobilismo al banco... e l'apprendimento era di natura totalmente passiva...
L'istruzione doveva essere ingerita senza poter domandare o discutere..."
"Tornando alla sua scuola, ricapitolando: lei frequentò i tre anni all'Istituto Buonarroti e poi l'Istituto Tecnico Leonardo da Vinci. Esatto?"
"Confermo, gli ultimi quattro anni dal 1886 al 1890."
"E poi l'avventura universitaria... dico bene?"
"Dice bene!
Ottenni licenza nella sezione fisico-matematica dell'istituto tecnico e avevo intenzione iscrivermi a matematica..."
"Ma poi dirottò per la medicina", proseguo io.
"E senza il placet paterno... il quale non solo vedeva come fenomeno rivoluzionario l'istruzione scientifica e superiore per una donna ma... per giunta medico... pareva davvero troppo per lui!", conclude Maria.
"Molte biografie riportano che la mutata scelta della facoltà dipese da un episodio che la colpì.
Un bambino visto per strada in braccio a una donna indigente, desolato e malnutrito, la dirottò verso la carriera di medico. E' così?"
"Non me ne parli!
Vedo ancora lo sguardo annichilito di quel povero piccolo.
Abbandonato nelle braccia della madre, sporco, mentre con uno sguardo vuoto sfrega con moto automatico una strisciolina di carta rossa che scivola tra le sue piccole dita... anima spenta in un'infanzia senza speranze.
Il bambino, quella strisciolina di carta rossa e la mia percezione subitanea di voler studiare medicina per aiutare il prossimo.
Come dimostro nelle mie teorie: ci sono processi intuitivi fondamentali che decidono momenti cruciali nella vita di un individuo e sono molto più influenti di tanti ragionamenti razionali e lunghe disamine."
"Con questi sentimenti s'iscrisse all'Università..."
"Iniziai la mia carriera universitaria nell'autunno del 1890."
"Qual era la condizione delle donne universitarie?"
"Inutile dire che l'opposizione nei confronti dell'istruzione superiore femminile era dilagante e, certamente, non ne era affetto solamente il mio povero padre il quale era invero una persona amante della cultura e del progresso..."
"E infatti alla fine accettò i progetti della sua illustre figlia...", continuo io.
"Infatti...", annuisce lei, "in un'epoca in cui nelle università vi era una presenza veramente effimera di donne.
Ma voglio sottolineare che erano le riserve morali e non i provvedimenti di legge a sfavorire le donne in ambito accademico.
La Legge Casati, del 1859, non escludeva le donne.
Piuttosto, era l'intervento della censura familiare a impedire alle figlie la frequentazione delle scuole che potevano dare loro l'accesso all'Università."
"Ci può raccontare qualche aneddoto che la riguarda nella facoltà di medicina?"
"Con tutta franchezza?", domanda simpaticamente la Montessori.
"Per quel che può!", rispondo io...
"Bene, vi dirò della mia prima lezione all'Istituto di Anatomia...
Arrivai un quarto d'ora prima dell'orario stabilito ed entrai nell'aula ancora chiusa e al buio.
Il custode facendomi entrare aprì una finestra e un fascio di luce entrò, creando una sinistra penombra.
L'aula era molto lunga, divisa in due da un'arcata.
Nella poca luce si scorgeva un enorme scheletro, in posizione eretta.
Lo fissai a lungo poi il mio sguardo vagò per scorgere una bacinella piena d'intestini e altri organi interni, immersi nell'alcol.
Mi spostai dove era meno buio e vidi in un armadio a vetri una fila di teschi, ognuno classificato con un'etichetta che, a inchiostro nero, recitava: Assassino, Patricida, Ladro.
Accanto a ognuno, il rispettivo cervello in formaldeide, sotto vetro.
Io provai una terribile nausea.
Un senso di repulsione.
Mentre camminavo non pensavo ma, piuttosto, sentivo che quegli organi mi sembravano aver patito strumenti di tortura.
I teschi orripilanti, digrignanti o senza denti, erano marcati d'infamia per sempre.
Poi nelle circonvoluzioni del tessuto cerebrale che si poneva alla mia vista trovai, per fortuna, qualcosa che mi distrasse.
Contai le protuberanze e questo mi riportò a un atteggiamento più razionale e meno emotivo, affascinandomi per la prima volta del mistero scientifico che lega la mente, la coscienza, alla fisicità del cervello."
"Poi iniziò la sua prima lezione", dico interrompendo il ricordo.
"Sì, mi ripresi piano piano dal voltastomaco che però continuò a impossessarsi di me in ogni esercitazione di anatomia.
A essere sincera, ho sempre mal sopportato gli odori che esalano dai tavoli da dissezione... e non di rado ho chiesto a qualche collega fumatore di sostare nelle mie vicinanze, così da confondere quei fetori con la nicotina e il tabacco..."
"Parliamo ora della sua attività dopo la laurea: di cosa si occupò?"
"Mi interessava lo studio del cervello e con la pratica ospedaliera aderii alla Lega nazionale per la cura e l'educazione dei deficienti.
Non tardò poi la nomina di assistente presso la clinica psichiatrica dell'Università.
Lavoravo in collaborazione con Giuseppe Montesano, persona a me molto cara", chiude la Montessori, alludendo a un legame affettivo molto solido con il collega... ma preferisco non domandare e liscio un possibile gossip.
Penso sia molto più interessante per il pubblico l'esordio professionale della Montessori.
"Alle nostre orecchie il nome di questo movimento suona in modo assai forte", dico io, alludendo al termine deficienti, "e anche la definizione di anormale per i bambini con un ritardo psico-fisico, suona pure in modo poco gentile... se mi è permesso il rilievo!"
Per un attimo la Montessori tace.
Sapete, è lei ad aver introdotto il termine anormale nei bambini con un deficit cognitivo.
Silenzio totale ma non mi importa se con ciò ora provoco una reazione da parte sua...
"Comprendo il punto di vista contemporaneo ma, allora, la consapevolezza scientifica e soprattutto il concetto di normalità e di devianza erano assai diversi da oggi!", risponde la pedagoga con molta calma.
Che grande persona, accettare così frontalmente una critica.
"Però", continua il discorso, "carissima Jo Peg, occorre ricordare ai nostri internauti che l'anormalità nelle mie teorie è riconosciuta e trattata nel bambino con grande rispetto e viene valutata nella didattica come un diritto da riconoscere, adeguando il trattamento pedagogico e scolastico e dunque garantendo a tutti i bambini, anormali e normali, il diritto allo studio."
"Certamente tutti sanno cosa lei ha fatto per i bambini, diversamente abili e non... anzi, dobbiamo proprio alla grande Montessori l'apertura verso un'attenzione sociale rivolta indiscriminatamente a tutti gli individui!", dico io di slancio.
"Nella società in cui ho iniziato a lavorare non vi era alcuna attenzione per l'infanzia.
Iniziai con lo studio dei bambini oligofrenici e sviluppai un metodo che potesse portare loro ad avere uno sviluppo mentale che consentisse l'apprendimento scolastico.
In pratica, riuscii a condurre questi bambini allo stesso grado di scolarizzazione dei coetanei normali."
"E come ottenne questo successo?"
"Prima dell'istruzione, in senso stretto, tentai e riuscii a migliorare il loro benessere psicofisico.
Ritenni necessario un programma di educazione igienica, essenziale per il recupero dei bambini generalmente definiti frenastenici.
Consideri che nella scuola italiana, allora, non vi era alcuna attenzione per l'igiene.
In linea generale, con l'igiene iniziammo a combattere la mortalità infantile, evidenziare i danni della fatica scolastica quali le scoliosi, i deficit della vista... insomma: iniziammo a comprendere e a far comprendere l'importanza dell'ambiente scolastico a misura delle esigenze del bambino.
Sperimentai un percorso didattico organizzato per tappe.
Dopo un preliminare recupero fisico, facevo seguire un periodo di educazione muscolare nel quale la concentrazione dell'educatore andava a migliorare il movimento del bambino e la sua propriocezione.
Una volta terminato l'allenamento psico-motorio, era la volta della educazione dei sensi e poi l'insegnamento della lettura e della scrittura.
Il percorso proseguiva ancora con la didattica per le discipline della storia, della geografia, dell'aritmetica e infine con il più alto livello di educazione morale."
"Dunque con questo curriculum didattico i bambini della scuola ortofrenica ottennero gli stessi risultati degli alunni cosiddetti normali agli esami pubblici?"
"E' così, cara Jo Peg!
Questo successo mi fece capire che il metodo utilizzato con gli oligofrenici poteva dare ottimi risultati con ogni categoria infantile."
"Come definisce l'intelligenza infantile?"
"Per risponderle adeguatamente dovremmo prolungare per giorni quest'intervista!", mi dice ridendo.
"Ma in poche battute? Per estrema sintesi?"
"Consideriamo il bambino per tappe e, come norma aurea, diciamo che i bambini non sono vasi vuoti da riempire secondo il volere degli adulti.
Nella prima tappa, fino ai cinque anni, l'intelligenza è prevalentemente sensitiva: il bambino ha una capacità straordinaria di assorbire l'ambiente in cui vive attraverso l'esplorazione sensoriale.
Ecco dunque quanto le dicevo: l'educazione dei sensi.
Poi, entro i sei anni, avviene un perfezionamento: permane l'assorbimento dell'ambiente ma interviene l'esperienza diretta, dove la mano gioca un ruolo fondamentale poiché la sua attività da istintiva diventa intenzionale."
"Qualcosa in proposito ho letto... nel suo libro Il segreto dell'infanzia, quando dice che la mano:
Permette all'intelligenza non solo di manifestarsi ma di entrare in rapporti speciali con l'ambiente."
"Bravissima, è così", dice soddisfatta la Montessori.
"Quale fu secondo il suo giudizio il successo maggiore delle sue scuole, le case dei bambini?"
"La libera espressione dell'intelligenza dei bambini.
Nelle nostre case i bambini non fanno quello che vogliono, ma vogliono quello che fanno perché sono contenti e si interessano ai lavori proposti che danno loro serenità.
La mente dirige la mano nel lavoro e tutte le energie psichiche sono dirette alla migliore esecuzione dell'attività da svolgere."
"E quale il rapporto tra l'insegnante e il bambino?"
"La maestra non loda né punisce o corregge gli errori.
Il suo ruolo principale è quello di porgere nel migliore dei modi il materiale didattico: presentarlo nei minimi particolari, accertare che tutti i bambini ne abbiano la comprensione necessaria.
La maestra deve trovare la comunicazione giusta dei materiali didattici per suscitare nel bambino un interesse profondo.
E per prima cosa dovrà lei stessa eseguire gli esercizi a scopo dimostrativo."
"Può farci un esempio di materiale didattico montessoriano?
In qualche sua intervista lei ha detto:
...il nostro Materiale Sensoriale analizza e rappresenta gli attributi delle cose: dimensioni, forme, colori, levigatezza o ruvidezza delle superfici, peso, temperatura, sapori, rumori, suoni...", la Montessori mi sorride soddisfatta!
"Sì, carissima. Si tratta di materiali multi-sensoriali che tentano di far apprendere ai bambini concetti astratti attraverso lavori concreti.
Per fare un esempio, ai bambini viene proposto un materiale per l'esplorazione delle forme geometriche: cinque scatole di legno variopinte di diversa forma.
Due rettangolari, una esagonale grande, una esagonale piccola, un triangolare.
All'interno di ciascuna scatola vi è una serie di formine triangolari di legno colorato.
I triangoli variano per tipologia e dimensione.
Il bambino li può comparare e comporre per formare altri poligoni.
E la maestra guida nell'esplorazione e fa corrispondere, alla materialità che si tocca con mano, un esercizio geometrico."
"Quali sono gli obiettivi da raggiungere in una scuola montessoriana?", domando mentre fisso la fantasia del vestito della Montessori: tanti piccoli cerchietti concentrici di colore che sfuma dall'azzurro al grigio (tanto per restare nella fascinazione delle forme geometriche!).
"Per riassumere", risponde risoluta, "gli scopi principali sono: sviluppare nel bambino un positivo atteggiamento nei confronti della scuola aiutando ad accrescere la fiducia in se stesso; favorire la concentrazione e la curiosità e infine sviluppare lo spirito d'iniziativa nonché la tenacia nel portare a compimento le attività finalizzate."
"Ci può parlare della comunicazione del suo metodo?
In altre parole, ci può dire qualcosa di quell'imponente attività di divulgazione delle sue teorie che ha pervaso l'intero pianeta?"
"Si riferisce ai miei molti viaggi?", chiede la Montessori con un'aria piena di candore.
"Mi riferisco al messaggio di cui lei si è fatta portavoce in tutto il mondo circa i valori dell'infanzia, dei diritti del bambino."
"Chi ha voluto attaccarmi ha detto che avevo delle manie di missione redentrice.
Di fatto, ho sempre percepito una dimensione sociale come dovere esistenziale.
Ho combattuto per le donne e per l'infanzia.
Per le prime, vorrei ricordare i due congressi internazionali svoltisi a Berlino e a Londra, in cui ho rappresentato le donne italiane, e le grandi campagne svolte con l'associazione Umanitaria di Milano per l'attività assistenziale.
Per l'infanzia invece... laddove ho avuto modo d'intervenire sono intervenuta...", aggiunge con uno sguardo vagamente perso, di chi conosce l'ampiezza del discorso che sta facendo e non lo argina dentro un limite.
"Il suo impegno per i bambini fu davvero consistente: oltre che sul piano medico e sul campo, nelle sue scuole, ricordiamo ad esempio l'assistenza agli orfani del terremoto del 1908 che devastò la Calabria e la Sicilia, i bambini delle famiglie dissestate dalle perdite di uomini nella Prima guerra mondiale... e poi l'impegno internazionale, come il suo lavoro in India...
Per non parlare della partecipazione all'UNESCO."
"Sì, parliamo invece dell'UNESCO", mi dice lei, "Nel 1950 fui membro della delegazione italiana alla Quinta Conferenza di Firenze.
Allora credevamo molto nella possibilità che un organismo internazionale potesse migliorare le sorti dei cittadini del mondo!"
"Lei parla di bambini come cittadini dimenticati..."
"E' vero! Lei allude a un mio messaggio inviato nel 1951 all'UNESCO, in occasione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo in cui ho affermato che, e glielo recito per filo e per segno:
La funzione che il bambino ha nell'insieme dell'umanità, la funzione che lo ha fatto chiamare padre dell'uomo e forza dirigente nella formazione dell'uomo, sembra cosa ancora ignorata.
Non si considera che ci sono due forze nella vita umana: quella riguardante il periodo della formazione stessa dell'uomo (il bambino) e quella riguardante le attività sociali costruttive (l'adulto) e che esse sono così fortemente integrate l'una dall'altra, che trascurando l'una non si può giungere all'altra; non si considera che per arrivare ai diritti dell'adulto bisogna passare attraverso il bambino."
"E' un dardo che va dritto al cuore di problemi non ancora risolti...", commento disarmata poiché questi argomenti sono veramente fondamentali.
"... Ha ragione, cara Jo Peg!
E pensare che sono trascorsi cinquant'anni...", chiosa la Montessori.
"Carissima Maria, la nostra conversazione volge al termine", il tempo è tiranno: la connessione sta quasi per scadere..., "vuole concludere dando un ultimo messaggio ai nostri iternauti?"
"Vorrei solamente dare un ultimo spunto di riflessione dicendovi che l'applicazione di una pedagogia che educhi a fondo l'infanzia è il mezzo che può scongiurare la guerra e stabilire la pace mondiale.
Ho fiducia nell'uomo, nella giustizia e nel bene.
Credo fortemente nella forza dell'educazione anche se a voi, in questo presente, potrà sembrare come una forte utopia.
Avete mezzi di divulgazione eccellenti che potrebbero diffondere pienamente messaggi di pace.
Dal mio punto di vista la didattica si lega pienamente all'educazione, a quel senso collettivo di responsabilità educativa che una società civile dovrebbe porre come principio fondamentale.
Il problema dell'infanzia diventa un fatto sociale nel momento in cui si voglia dare un volto all'umanità di domani.
Ho avuto diverse candidature al Nobel per un premio per la pace che non ho vinto.
Ma più che i premi trovo che le vere vittorie siano nel superamento dei pregiudizi, nell'ampliamento del paradigma di rispetto e libertà che dovrebbe connotare l'esistenza umana.
Con l'augurio che la vostra società sia in grado di risolvere le questioni che la mia generazione forse ha solo posto, vi saluto con un caloroso abbraccio al fanciullo che si cela in tutti voi!!!"
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