Una santa, una nazione ed un alieno




[Racconto di Giovanna Gra]


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La passione di Giovanna d'Arco

Scheda tecnica

Anno: 1928

Paese: Francia

Genere: drammatico / storico

Durarta: 110' (versione originale restaurata del 1985), 85' (versione del 1952)

Titolo: La passione di Giovanna d'Arco

Regia: Carl Theodor Dreyer

Soggetto: Joseph Delteil

Fotografia: Rudolph Maté

Montaggio: Marguerite Beaugé, Carl Theodor Dreyer


CAST: Renée Falconetti, Eugène Silvain, Maurice Schutz, Michel Simon, Antonin Artaud, Ravet


TRAMA

Rouen, Francia. Nell'arco di una giornata terribile e crudele, la diciannovenne Giovanna, giovane contadina, viene processata, condannata ed arsa sul rogo come eretica.
Cauchon, l'inquisitore, e gli altri giudici del processo tentano di farle confessare la sua eresia, ma la ragazza resiste alle minacce più atroci, compresa la minaccia di tortura.
Dopo innumerevoli, crudeli pressioni, la giovane, sfinita, decide di firmare l'atto d'abiura che le salverà la vita.
Viene comunque condannata e chiusa in una cella.
Un secondino le rasa il cranio con un paio di forbici per umiliare la sua persona ormai prostrata, ma la coraggiosa Giovanna in un impeto di ribellione decide di ritrattare la sua confessione.
Questo gesto la condannerà alla morte.
Di lì a poco verrà portata sulla piazza di fianco alla prigione ed arsa viva mentre la folla insorge contro le guardie e la proclama santa.

 

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Immagine allegorica di tre film (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Le figure fanno riferimento, da sinistra a destra a E.T, La nascita di una nazione e La passione di Giovanna d'Arco. Si vedono l'alieno, un ragazzo di colore, a torso nudo che ricorda la segregazione razziale e un cavaliere crociato a cavallo.Particolare del cavaliere crociato.Particolare di E.T. e del ragazzo di colore.
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"Diciannove anni...credo" risponde Giovanna ai giudici che le chiedono l'età.
La meravigliosa potenza della grande Renée Falconetti si esprime in questa semplice risposta senza rivelarci ancora tutta la strepitosa forza drammatica della quale è capace.
È una contadina Giovanna, è ignorante.
Non sa quanti anni ha, non sa leggere...
Gli orrendi giudici che fanno corona intorno a lei ridono della sua insipienza, la scherniscono di sottecchi.
Non sarà difficile chiudere questo processo in quattro e quattr'otto, l'imputata è talmente disarmata, talmente disarmante...
Invece non è così:
Giovanna, diciannove anni e un viso splendidamente autentico, sarà sempre più convinta della sua missione per conto di Dio e metterà in ginocchio l'intera corte, farà perdere il controllo a tutti quei sapienti che sono lì per accusarla d'eresia e che useranno qualunque mezzo per farla abiurare.
Giovanna è nata per salvare la Francia ed è per questo che Dio l'ha mandata.
È questo che il crudele Cauchon e i giudici tutti non possono assolutamente accettare, ma è questo che Giovanna ripeterà fino alla morte.
Una serie infinita di meravigliosi primi piani racconta la giornata (quindi la vita stessa) della contadina che con la sua purezza e la sua forza conduce da vera protagonista le sorti del suo stesso processo, sconvolgendo l'ordine e i piani del potere che la vuole sottomessa e vinta.
Il dolore profondo di quel viso è spesso attraversato da un lieve sorriso, da un lampo di speranza:
il candore della protagonista è più forte del corso della storia.
Giovanna d'Arco muore sul rogo, ma fino all'ultimo noi, che la vediamo piangere e soffrire in questa immensa pellicola di Dreyer, stentiamo a credere che la fine sarà quella che già conosciamo e che i libri di storia ci hanno tramandato.
Sempre sola in uno splendido bianco e nero crudo e doloroso Renée Falconetti, quasi sempre in primissimo piano.
Vera la rasatura dei suoi capelli, vero il salasso che le viene fatto nel corso del film.
L'attrice lo ha preteso e lo ha ottenuto.
La Falconetti sarà segnata per la vita da questo ruolo che la mette per sempre fra i tesori inestimabili del cinema di tutti i tempi.
Un film dove l'ambiente non esiste, non è mai riconoscibile.
Frammenti di oggetti che fanno capolino a destra o a sinistra dell'inquadratura non ci permettono mai di capire com'è l'ambiente in cui si svolge questo lento omicidio.
E quasi in ogni inquadratura è presente una croce.
I volti dei giudici sono orribili.
Sono uomini troppo grassi o troppo magri, uomini con i volti stravolti e sformati dalla cattiveria, uomini che hanno sguardi pieni di odio e di rancore, ma forse anche spaventati dalla grandezza della virtù della donna che accusano con tanta vigliaccheria.
E lo sguardo invincibile di questa contadina analfabeta li tiene a bada.
Allora non resta altro che la tortura, la pratica più odiosa che un uomo possa infliggere ad un altro uomo.
Forse questo è il momento più nuovo, più sperimentale di questo capolavoro del 1928.
Siamo di fronte ad un pezzo di cinema dopo il quale niente sarà più come prima.
Il salto che Carl Theodor Dreyer ci fa fare con questo film ci catapulta in una dimensione mai vista, mai nemmeno immaginata.
Un montaggio frenetico, ossessivo, velocissimo e minaccioso chiede a gran voce l'abiura della protagonista.
Strumenti di tortura, ganci, ferri acuminati, lame, un'orrenda sfilata di strumenti di morte ci passa velocemente davanti agli occhi per terrorizzarci, per farci capire cosa ci aspetta.
Sì, perché siamo anche noi come Giovanna, siamo anche noi minacciati insieme a lei.
Quella ragazza deve pentirsi, deve ammettere di essere un'eretica e...e nel momento in cui la minaccia raggiunge il suo apice, lei, ormai prostrata nel fisico, nello spirito e nella mente, sviene.
La ritroveremo in una cella dove le verrà praticato un salasso, mentre lei è sempre più debole, sempre più sola.
La solitudine è l'altro elemento fondamentale di questo capolavoro.
La Falconetti è sempre sola nell'inquadratura, in rarissimi momenti ha accanto i suoi accusatori.
I suoi sguardi la mettono tragicamente in relazione coi suoi boia, ma niente altro lega la sua altezza spirituale alla bassezza disumana di chi la vuole morta.
E mentre una pala scava una buca profonda buttando in aria grandi quantità di terra, mentre una piccola croce in lontananza ci ricorda il senso di questa guerra di religione, viene costruito il rogo che darà la morte alla protagonista.
Mentre i vermi si arrampicano dentro e fuori dalle orbite di un simbolico teschio dissotterrato, Giovanna viene preparata per il sacrificio finale.
Eccola sul rogo, ecco il fuoco, il fumo.
Ed ecco la folla che insorge, il popolo che piange, moltissime le donne.
Le donne che hanno accompagnato la passione di Gesù sono ancora una volta presenti all'appuntamento col dolore: la passione di Giovanna d'Arco le aspetta e la ragazza condannata a morte può contare sulla loro presenza, sulla loro pietà.
Giovanna muore bruciata.
La corte ha avuto quello che voleva.
Il popolo è sgomento e piange disperato.
E noi, attoniti come quei popolani sullo schermo, siamo costretti a riflettere ancora una volta sul mistero di questa giovane contadina analfabeta.

 

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Immagine della scritta ‘Kodak Theatre’. (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). In una texture di acqua dai colori sfumati che vanno dal verde al blu all’arancio, la scritta di colore giallo.Particolare della parola 'Theatre'.Particolare della parola 'Kodak'.
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LA NASCITA DI UNA NAZIONE

Scheda tecnica

Anno: 1915

Paese: USA

Genere: storico, b/n

Durarta: 165' (altra versione 190')

Titolo: La nascita di una nazione

Regia: David Wark Griffith

Soggetto: David Wark Griffith

Sceneggiatura: Thomas F. Dixon Jr., David W. Griffith, Frank E. Woods

Produzione: David W. Griffith

Fotografia: Billy Bitzer

Montaggio: D. W. Griffith, Joseph Henabery, James Smith, Rose Smith, Raoul Walsh


Cast: Lillian Gish, Mae Marsh, Henry B. Walthall, Miriam Cooper, Robert Harron, Wallace Reid, Ralph Lewis, Mary Alden, Walter Long, George Siegmann, Joseph Henabery, Elmer Clifton, Josephine Crowell



TRAMA

1860, guerra di secessione americana.
Due famiglie sono le protagoniste di questa epopea:
gli Stoneman, nordisti e i Cameron, sudisti.
Austin Stoneman ha due figli maschi e una femmina, la deliziosa Elsie.
Nella famiglia dei Cameron ci sono due femmine e tre maschi.
Fra i ragazzi delle due famiglie, contrapposte dalla guerra, sboccia l'amore:
Phil Stoneman s'innamora di Margaret Cameron e Ben Cameron s'invaghisce perdutamente di Elsie Stoneman.
Scoppia la guerra civile.
Sia gli Stoneman che i Cameron subiscono delle perdite, alcuni dei loro figli lasciano la vita sul campo di battaglia.
Il Nord vince la guerra e il destino di Ben Cameron, ferito, si riunisce a quello di Elsie Stoneman, ora crocerossina.
Il presidente Lincoln in persona concede la grazia al giovane Cameron, il cui soprannome è "il piccolo colonnello", condannato a morte come traditore.
Cameron, salvato grazie all'intervento della madre e della stessa Elsie, torna a casa a guerra finita.
14 Aprile 1865:
notte tragica.
Il presidente Lincoln viene assassinato.
Sta assistendo ad una rappresentazione teatrale e una pallottola in testa pone fine alla sua vita.
Nella storia fa la sua comparsa Silas Lynch, mulatto, protetto da Stoneman padre.
La presa di coscienza dei neri è sempre più forte.
Ormai non sono più i reietti della società.
Lynch ha uno spiccato interesse nei confronti di Elsie, che però è sempre innamorata di Ben Cameron, il quale manifesta tutta la sua antipatia nei confronti di Lynch.
I neri ottengono il diritto di voto, Lynch diventa vicegovernatore.
Vengono resi legittimi i matrimoni interraziali.
Ben Cameron, sempre più geloso per le attenzioni che Lynch riserva alla sua amata Elsie, riporta in auge il Ku Klux Klan.
Quando Elsie scopre di cosa è capace il fidanzato, lo lascia, dando ascolto alla propria indignazione e all'indignazione paterna.
I Cameron sono dediti alla "rinata" organizzazione criminale.
Qui entra in scena Gus, un nero, che avvicina la piccola Flora Cameron, che si è avventurata nel bosco in cerca di acqua.
La ragazza, spaventata dall'uomo, che non ha cattive intenzioni ma nemmeno un aspetto rassicurante, lo colpisce e scappa scivolando in un dirupo.
Ben accorre appena in tempo:
Flora, in seguito alla caduta, muore fra le sue braccia.
Gus morirà a sua volta, giustiziato sommariamente da un gruppo di appartenenti al Ku Klux Klan.
La situazione precipita, le lotta razziale è ormai all'ultimo sangue.
Nordisti e Sudisti, una volta nemici, ora si uniscono per combattere i neri sempre più forti e uniti.
Simbolo di questa unione ritrovata, le famiglie Stoneman e Cameron.
Elsie viene nuovamente insidiata da Lynch che le chiede di sposarlo.
Lei rifiuta e viene segregata dall'uomo.
Austin Stoneman, il padre, scandalizzato, si oppone alla richiesta di Lynch.
Elsie viene liberata da una sorta di armata di cavalieri incappucciati, il cui leader è nientemeno che Ben Cameron.
I Cameron, in una capanna, sono assediati dai neri, ma quando arrivano i cavalieri incappucciati i neri scappano.
I diritti dei neri vengono revocati.
Ben Cameron sposa Elsie Stoneman e Phil Stoneman sposa Margaret Cameron.


L'assurdo razzismo di questo film è inversamente proporzionale al suo valore artistico.
Il racconto è grande, sensibile, forte, dirompente, pacato...ma il punto di vista è, francamente, non condivisibile.
Se si pensa che fu girato in nove settimane, è legittimo ritenere questa pellicola una sorta di miracolo.
Fu uno dei film più costosi della storia del cinema, ma i suoi incassi stratosferici superarono di gran lunga i costi, pur molto maggiori del previsto.
Scene di massa pressoché perfette, montaggio ardito e innovativo, ambienti ricchi, attori ineccepibili fanno di questo film una pietra miliare del cinema di tutti i tempi.
La frenesia delle danze che accompagna quasi tutta la prima parte del film, fino allo scoppio della guerra, ci racconta con lucidità ed entusiasmo la civiltà di quell'epoca.
Ci cala perfettamente nello spirito prebellico della gioventù che si prepara a fondare un mondo nuovo.
I vecchi sono in disparte, i giovani godono finché l'arrivo della guerra non porrà fine alla loro euforia.
Tutto è allegria e gaiezza, come se non si sapesse che la guerra porta anche la morte.
Poi, una mattina, all'alba, l'adunata ferma per un lungo istante le danze sfrenate.
Un minuto di rarefatta immobilità ferma la pellicola...

... E si deve andare a combattere.

Un'opera fatta in gran parte di scene d'insieme, una sorta di continuo tripudio della folla.
Scene di battaglia perfette come orologi, l'azione si svolge fino a diverse centinaia di metri in profondità...sì, laggiù l'azione è vivida come in primo piano.
Guerra, guerra, guerra, come diceva un'eroina di un famosissimo film che avrebbe visto la luce qualche anno dopo.

E, dopo i combattimenti, la quiete dell'ospedale militare...e, finalmente, un po' di sentimento.
Cameron e Elsie s'incontrano e il racconto rallenta il passo.
È il momento dei sorrisi e dei sospiri.
E di alcuni bellissimi primi piani dei nostri due protagonisti, dopo tanto fumo e tanti spari!

E poi immagini come quadri, caratteri descritti con precisione e ricchezza di intenzioni.
Il vecchio Lincoln sempre un po' malinconico, figura pensierosa e grande protagonista di questo tratto di storia.
Lo splendido viso di Lillian Gish, grande diva pallida e languida, attrice delicata e decisa che tratteggia una figura femminile in qualche modo indipendente.
E moderna.

La guerra finisce e la stretta di mano fra il generale Lee e il generale Grant è solenne.
Muta.
Forte e misteriosa la sequenza dell'assassinio di Lincoln, dove il colpevole si muove come un felino mentre il teatro pullula di spettatori entusiasti.
Dei mascherini ci nascondono la scena, vediamo poco o niente di quello che si sta svolgendo in quel teatro.
Poi i mascherini si allargano e ci mostrano il contesto.
È un tragico 14 Aprile, e il presidente verrà assassinato con un proiettile alla testa.

E ora il punto di vista più ostico.
E incomprensibile.
All'inizio i neri sono una massa senza alcuna forza, sanno solo ballare e sorridere ai bianchi che li considerano una loro proprietà.
E non ne considerano l'anima, le necessità, l'individualità.
Sono una massa, appunto, sono tutti uguali e ugualmente rappresentati.
Poi, con lo scorrere della storia, prendono coscienza.
Sempre di più, sempre di più.
E qui, la lettura razzista del film li fa subito arroganti.
E poi violenti.
Nega loro qualsiasi sfumatura positiva.
Un popolo che passa dall'ignoranza alla protervia.
Assurdo.
C'è il Ku Klux Klan rappresentato addirittura come elemento risolutore, non c'è alcun accenno alla sua mostruosità vera ed oggettiva.
Alla sua profonda negatività.
E c'è l'ingiusta esecuzione di Gus, il nero accusato di stupro, che però è assolutamente innocente.

E poi, un "quasi finale" consolatorio, con il doppio matrimonio fra i Cameron e gli Stoneman, che pretende di metter le cose a posto.
Infine, il finale vero e proprio, assurdamente religioso e visionario, che mostra a chiare lettere questa frase:
"Osar sognare un giorno dorato dove la guerra bestiale non governerà più.
Al suo posto il dolce Principe nelle Sale dell'amore fraterno della Città della pace".
L'abbiamo già detto ma dobbiamo ripeterlo...assurdo, assurdo, assurdo



 

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Immagine di una bobina di pellicola (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Si vede la bobina da cui fuoriesce un tratto di pellicola, disordinatamente dispiegata.Particolare della pellicola.Particolare della bobina.
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E.T. L'EXTRATERRESTRE

Scheda tecnica

Anno: 1982

Paese: USA

Genere: Fantascienza/Drammatico

Durarta: 115' 120' (edizione speciale)

Titolo: E.T. l'extra-terrestre

Regia: Steven Spielberg

Soggetto: Steven Spielberg

Sceneggiatura: Melissa Mathison

Produzione: Steven Spielberg, Kathleen Kennedy, Melissa Mathison

Fotografia: Allen Daviau

Colonna sonora: John Williams


Cast: Henry Thomas, Dee Wallace, Peter Coyote, Drew Barrymore, Robert MacNaughton, K.C. Martel, Sean Frye, Tom (C. Thomas) Howell.


Premi
OSCAR: per la miglior colonna sonora, per gli effetti visivi e per gli effetti sonori speciali


TRAMA

Elliot, un ragazzino di nove anni, incontra un alieno che è stato abbandonato sulla terra dai suoi simili.
Lo prende con sé e lo porta a casa nascondendolo alla madre, al fratello più grande, Michael e alla sorellina più piccola, Gertie.
Ma il segreto dura poco, e Michael e Gertie fanno ben presto la conoscenza di E.T., così si chiama l'extra-terrestre.
Il rapporto fra Elliot ed E.T. è profondo, quasi simbiotico.
I due compiono gli stessi gesti nello stesso istante e con le stesse modalità, anche se si trovano a chilometri di distanza.
Fra i due c'è una sorta di legame psichico inscindibile.
E si vogliono profondamente bene.
Ma a E.T. manca la sua casa, vuole ritornare fra i suoi, fra gli alieni come lui.
"E.T. ... telefono ... casa..." è la celebre frase con cui l'adorabile alieno ci fa capire che ha nostalgia del suo pianeta, delle sue origini, dei suoi simili...
e così, la salute dell'extra-terrestre comincia a peggiorare.
E.T. sta male, e con lui si ammala anche il nostro Elliot.
Approfittando della festa di Halloween, Elliot, Michael e Gertie vestono E.T. e lo portano fuori casa senza che la loro mamma si accorga di nulla.
Lo portano nella foresta, dove l'extra-terrestre si mette in contatto col suo pianeta.
Il giorno dopo E.T. sparisce.
È nella foresta, sta male, molto male.
Sta morendo.
Anche Elliot è quasi in fin di vita...le vite dei due amici, ancora una volta, vanno di pari passo, sono sempre in contatto.
Ormai non è più possibile nascondere quello che sta succedendo, e la mamma dei tre ragazzi fa la conoscenza di E.T.
La donna decide di andarsene da casa coi suoi figli ma viene bloccata.
Sulla porta di casa c'è l'agente governativo Keys che sta impacchettando, aiutato da un gruppo di scienziati e studiosi, l'intero edificio.
È necessario mettere in quarantena l'intera abitazione, e quindi l'alieno, per poterlo studiare.
E.T. sta sempre peggio, Elliot anche.
L'extra-terrestre muore.
Elliot è disperato, ma con un espediente, sarà proprio E.T. a fargli capire di non essere morto in realtà.
Michael e Elliot organizzano la fuga da casa e, con un rocambolesco inseguimento, riescono a seminare studiosi e polizia che stanno loro alle calcagna.
Ai due ragazzi si unisce un gruppo di amici fidati, armati delle loro biciclette.
Una spettacolare fuga, che rimarrà per sempre nella storia del cinema, permette al gruppetto di ritrovarsi con E.T. nella foresta senza nemici intorno.
L'astronave di E.T. è lì, pronta a riportarlo a casa.
I ragazzi assistono allo straziante addio fra l'alieno e Elliot, che gli chiede di restare con lui per sempre.
Dopo avergli promesso che sarà sempre con lui, e dopo un abbraccio pieno di amore, E.T. sale sulla sua astronave e se ne va.


Magia.
È l'unica parola che ha senso usare per definire questo grande film.
E.T. è una magia.
Una magia che ti cattura e che ti porta in un mondo che...purtroppo non esiste.
Un fenomeno cinematografico di rara grandezza la cui portata è stata ed è dirompente.
Un film unico.
Un film in cui ci si muove volando.
Cosa c'è di più magico?
I protagonisti della storia volano, noi voliamo.
Sì, perché Spielberg ci ha insegnato a volare e noi l'abbiamo fatto, da quel lontano1982, anno in cui questo gioiello è entrato nella nostra vita.
C'è tutto:
la paura del diverso e la sua accettazione, la capacità di superare i nostri limiti, l'incapacità degli adulti di capire i bambini, l'ottusità del mondo che si chiude al nuovo e all'inconsueto, l'amicizia che distrugge ogni barriera, il rischio e la paura del cambiamento, il gioco come modello di vita...
e poi c'è lui, uno dei più grandi protagonisti della storia del cinema:
E.T.
L'alieno più commovente e assurdo che potessimo conoscere, amare, accettare.
La forza di questo film è tutta in lui, grazie alla sapienza di Carlo Rambaldi, il suo papà.
Fiumi di inchiostro sono stati spesi per parlare di E.T., del suo collo lungo, dei suoi strani piedi, dei suoi occhioni magnetici e disarmanti, di quell'indice luminoso che è la stella polare di questo capolavoro.
Come tutte le grandi opere artistiche, questa pellicola non invecchia.
Dopo trent'anni di vita E.T. sconvolge e commuove come la prima volta, perché ci manda un messaggio al quale (per fortuna) non riusciamo ad abituarci.

 

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Immagine di una fila di spettatori al cinema (Per leggerne la descrizione proseguire nel link). Si vedono i profili, al buio, di una fila di spettatori seduti in una sala cinematografica. Sul grande schermo, la sigla 'The end'.Particolare della fila di gente, lato sinistro.Particolare della fila di gente, al centro.
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La paura è uno degli elementi fondamentali di questo film che si apre in un clima di buio e mistero e che finisce col terrore per la sorte del nostro amico alieno.
La presentazione di E.T. vive di una spaventosa tensione da parte dello spettatore...cosa ci sarà in quella sorta di brughiera moderna buia e nebbiosa?
Noi e Elliot lo vogliamo scoprire...ma quanto ci fa paura...
E quanto ci batte il cuore nell'inseguimento finale mentre abbiamo alle calcagna tutti quei poliziotti, quegli scienziati che ci vogliono vivisezionare, studiare, aggredire!...
Poche scene nella storia del cinema sono commoventi come la "risurrezione" di E.T., mentre il piccolo Elliot esulta per il suo amico ancora in vita.
Pochi momenti del cinema di tutti i tempi sono liberatori come il volo delle biciclette in fuga che solcano un sole rosso di tramonto mentre il mondo ci sta alle calcagna...
Per questo capolavoro del cinema i premi Oscar sono stati solo tre:
colonna sonora, effetti visivi ed effetti sonori speciali.
Una follia.
O forse una vergogna.
Ma ci siamo noi, tutti noi che da trent'anni amiamo questa pellicola, che viviamo della sua innocenza, a ripetere a Steven Spielberg che ci ha fatto un grande regalo.
E.T. ci ha regalato l'infanzia per sempre, ci ha regalato la possibilità di essere per sempre bambini.
E questo è un miracolo che solo il cinema può fare.

 

 

 

 

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