La settima arte
[Racconto di Giovanna Gra]
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Quel pomeriggio di un giorno da cani Regia: Sidney Lumet Cast: Al Pacino, John Cazale, Charles Durning, Chris Sarandon. Premio Oscar per la migliore sceneggiatura *** Sonny, Sal e Stevie vogliono fare una rapina. Entrano in banca. Sal estrae in silenzio una grossa arma e tiene sotto tiro il direttore. Sonny estrae un mitra da una lunga scatola con un fiocco azzurro e semina il panico fra i dipendenti. Stevie, impaurito dalla situazione, se la dà a gambe. Sonny e Sal rimangono soli. Bisogna prendere i soldi in fretta e scappare al più presto, ma il furgone portavalori è passato poco prima portando via quasi tutto. Ha lasciato poco più di mille dollari. Da questo momento in poi è un crescendo di guai e impedimenti per i due rapinatori perché, fuori dalla banca, arriva la polizia, capeggiata da Eugene Moretti. Poco dopo arriva anche l'FBI. Inizia un'estenuante contrattazione fra Sonny, il cervello dell'operazione, e le forze dell'ordine. Sonny e Sal tengono in ostaggio i dipendenti e il direttore. Col passare delle ore si crea un rapporto quasi familiare fra vittime e carnefici. Moretti grida nel megafono e incalza i due malviventi affinché liberino gli ostaggi e comincino a trattare. Una folla di curiosi, intanto, si è assiepata fuori dall'edificio. All'interno della banca il caldo è soffocante: si è rotto l'impianto dell'aria condizionata. Una dipendente si sente male. Sonny arringa la folla rivendicando i suoi diritti di reduce del Vietnam (al grido di "Attica! Attica!") e la folla gli risponde con grande partecipazione. Sta dalla sua parte.
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*** Il premio Oscar per la sceneggiatura a "Quel pomeriggio di un giorno da cani" è uno dei più meritati della storia del cinema. Questo film ci racconta una storia di follia e disperazione, ma ci sono dei momenti in cui è impossibile non ridere, o sorridere, per la naïveté dei due protagonisti. Il sensibilissimo crinale lungo il quale Al Pacino e John Cazale camminano in punta di piedi e di recitazione, tocca ora la tragedia, ora la commedia. Che sia chiaro: il film è drammatico, fortemente drammatico. Ma è impossibile non sorridere ogni volta che l'inesperienza dei due protagonisti si palesa durante la goffa e rozza rapina che tentano di portare a termine. Sonny e Sal sono due finti cattivi, due cattivi improvvisati, inesperti. Sono due disperati e "Quel pomeriggio di un giorno da cani" è un film che celebra proprio loro: i perdenti. E i perdenti per eccellenza sono Sonny e Sal. Tutto il film è soffocante, non solo per l'angosciosa situazione, ma per il caldo che toglie il fiato. L'impianto dell'aria condizionata, dice un'impiegata, è rotto. Rapinatori e rapinati passano il tempo a boccheggiare chiusi in quella banca che è la loro trappola. Questo film ci fa vivere il disagio, l'errore. E la ferocia dei mezzi di comunicazione che sono sempre pronti a sbranarti pur di "dare la notizia", costi quel che costi. Non importa quanto male farà, quanto dolore porterà, quante vite colpirà. Poi gli interpreti. L'assurda espressione preoccupata e feroce di Sal, il grandissimo John Cazale, che compie il suo "dovere" di malvivente ci fa capire che potrebbe commettere qualsiasi azione, dalla più feroce alla più innocua, perché Sal è indecifrabile. È pazzo? È infelice? È cattivo? È candido? Sal, "il braccio" è tutte queste cose. Sonny è la mente, è quello che sa, è il capo. Un capo che deve fare i conti con un passato in Vietnam che lo ha distrutto, annientato. Ha una moglie stupida e assurda che lo assilla con la sua voce stridula e con la sua totale ottusità, ma ha anche un amore vero: Leon. Leon è il suo ragazzo, è appena uscito da un ospedale psichiatrico e vuole cambiare sesso: quei panni maschili lo disgustano, lo fanno soffrire. La telefonata fra Sonny e Leon (seguita parola per parola dalla polizia) rivela il difficile e disperato rapporto d'amore fra i due uomini. Sonny non vuole perdere Leon, ma sa che lo perderà perché il ragazzo è troppo fragile e non reggerà al caos scatenato dalla rapina fallita. Sonny vuole Leon e Leon vuole i soldi per l'operazione di cambio di sesso. E se Sonny questi soldi non glieli può dare, allora che vada al diavolo! La storia d'amore è destinata a finire tragicamente, come tutto il film. Le dinamiche che si instaurano all'interno della banca sono perfette. Nasce un'assurda complicità fra i due rapinatori e gli ostaggi, ma non viene mai a mancare la paura, la tensione data dalla presenza costante e minacciosa delle armi che Sonny e Sal imbracciano e puntano contro le loro vittime. Con poche allusioni, battute, espressioni, i caratteri degli impiegati/ostaggi vengono descritti magnificamente, grazie alla grande sceneggiatura di Frank Pierson e alla magistrale regia di Sidney Lumet. Ed è bellissimo il rapporto fra Sonny e Eugene Moretti, il poliziotto col quale dall'inizio alla fine del film si snoda la trattativa, interpretato magnificamente da Charles Durning, uno dei più bravi e geniali caratteristi americani. La fragilità di Sonny è tutta nel suo sguardo teso e a volte perso. Vigile ma stanco. L'interpretazione di Al Pacino è strepitosamente complessa: un personaggio che incarna mille uomini, mille caratteri, mille Sonny che corrispondono ai mille pensieri che affollano la mente di questo rapinatore dilettante, maldestro, "sbagliato". Pensieri che noi, pubblico, leggiamo negli occhi straordinariamente espressivi di Al Pacino. "Quel pomeriggio di un giorno da cani" è una bellissima pennellata sugli anni settanta in una Brooklyn descritta in tutta la sua normalità e quotidianità. Brooklyn, New York. Una New York che si racconta all'inizio del film e che ci mostra tutti gli aspetti di una città unica al mondo, mai uguale a sé stessa, originale, faticosa, iperattiva. Una città che non sa che, all'angolo di una strada qualunque, in una banca qualunque, un giorno qualunque, si consuma in tragedia la vita disperata di Sonny e Sal, due uomini qualunque.
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Effetto notte Regia: Francois Truffaut Cast: Jaqueline Bisset, Jean Pierre Léaud, Valentina Cortese. Premio Oscar (miglior film straniero), nomination a Valentina Cortese come attrice non protagonista *** Nizza. Studi della Victorine. Sul set del film Je vous presente Pamela (vi presento Pamela) i giorni e le notti scorrono inesorabili. Nel corso della lavorazione s'intrecciano gli amori, le gelosie, le incertezze e le rivalità dei componenti della troupe cinematografica. *** "Effetto notte" è, dal 1973, Il miglior film sul cinema. È il più bello, il più vero, il più lieve, il più spietato, il più colto. E ci dice che il suo autore, un Francois Truffaut unico e irripetibile, è innamorato del suo lavoro. Truffaut è in tutto e per tutto uomo di cinema. Tanto da raccontare la genesi di un film come se fosse un parto. Nonostante l'occhio di Truffaut sia assolutamente lucido, disincantato, addirittura spietato quando serve, il suo film è il frutto di un grande atto d'amore. Anzi, il suo è un film d'amore. D'amore per il cinema, che lui racconta con sensibilità, genialità e rigore. E Truffaut segue passo passo, come una madre innamorata, questo figliolo che viene al mondo. Così, ecco il perfetto ritratto dell'attrice matura, magnificamente disegnata da Valentina Cortese, la cui fragilità e insicurezza si fondono con una istintività leonina che non ha pietà per nessuno e che vive in un dorato ed egoistico mondo "a parte". L'attore giovane, interpretato da Jean Pierre Léaud, è quel bambino viziato e lamentoso che tutti noi, almeno una volta nella vita, siamo stati, schiavi di un capriccio. La sdrucciolevole fragilità della giovane protagonista regalataci da Jacqueline Bisset è tanto più affascinante quanto più scopriamo che dietro i suoi tormenti c'è un delizioso e delicato "nulla". In "Effetto notte", la realizzazione del film è raccontata con un equilibrio perfetto tra la profondità e l'assoluta superficialità che si trovano in questo mestiere. Vicino alla vera, seria, attività del regista Ferrand (che nel film è interpretato dallo stesso Truffaut) ci sono mille sciocche perdite di tempo, mille capricci da tenere a bada e, ancora, mille turbamenti che rivelano quanto il lavoro del cinema sia splendido e terribile. Lo sguardo di Truffaut sul suo mondo "inquadra" alla perfezione la complessità della realizzazione di un film. E se a occhi inesperti questo mondo di celluloide può sembrare fatuo, vuoto, inconsistente, a volte addirittura stupido, la sapiente mano di Truffaut lo rende degno di attenzione e persino di comprensione. Perché il regista ci vuole dire che, sì, è un mondo fatto di "apparenza", ma è forse l'unico caso in cui l'apparenza è, in tutto e per tutto, "sostanza". Non a caso il titolo del film racconta un inganno, e cioè quell'artificio che rende notturna una ripresa effettuata alla luce del sole mettendo un filtro blu davanti all'obiettivo. Così come la "notte" del titolo è finta ma assolutamente vera agli occhi dello spettatore, il mondo che ruota attorno alla costruzione di un film è fatto di bugie e di compromessi, ma è straordinariamente vero e solido. Il cinema è un gioco e chi appartiene al suo mondo accetta, anzi, sceglie, di giocare con la spensieratezza di un bambino e con la serietà che ogni gioco richiede. "Effetto notte", pellicola di grande valore artistico dove la regia è magistrale e l'interpretazione degli attori assolutamente perfetta, è anche un film che insegna al pubblico cosa è il cinema senza mai essere pedante, settario, snob o difficile da capire. "Effetto notte" è bellissimo e semplice, è una dichiarazione d'amore alla 'settima arte'. Sappiamo che la censura cinematografica si arroga il diritto di decidere se i film prodotti sono vietati ai minori di quattordici anni, oppure di diciotto. In questo caso possiamo affermare con assoluta certezza: "Il film è per tutti"!
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*** Nella vita della diva Margo Channing si affaccia timidamente la giovanissima e bella Eva Harrington, sua fan. Eva è pazza di Margo e conosce tutta la sua carriera, avendola seguita per anni. Margo, lusingata, intenerita e piacevolmente irretita da questa incondizionata ammirazione, le consente di accostarsi a lei e al suo mondo. Eva riesce con grande abilità' a conquistare la donna e diventa la sua segretaria personale. Gli amici di Margo, Kare e Lloyd Richard, si affezionano a Eva. Anche il fidanzato dell'attrice, Bill Sampson, le manifesta tutta la sua simpatia. Tuttavia, in occasione di un ricevimento a casa della diva, scoppiano i primi attriti. Margo discute con Bill ed Eva dopo averli colti in una conversazione un po' troppo intima, ma questo non ferma la scalata della giovane adulatrice, che riesce perfino a ottenere il ruolo di sostituta nella commedia dove recita Margo. Le circostanze, ovviamente, metteranno Eva nelle condizioni di cimentarsi nel ruolo della sua ex icona. Il critico Addison DeWitt, divenuto nel frattempo il segreto amante della ragazza, ne decreterà il successo stellare. Ma Eva, non paga dalla sua scalata, sembra determinata a volere per sé tutta la vita di Margo e cerca di sedurre Bill Sampson. Ma Bill la respinge. Insignita del premio 'Sarah Siddons', Eva è oramai al vertice della carriera, ma è anche odiata dal suo nuovo ambiente. Nel gran finale, sarà Addison DeWitt a intuire il destino della neo diva. Portandole il premio 'Sarah Siddons', troverà ad attenderlo una ragazza, Phoebe, fan di Eva, dai tratti, le aspirazioni e i modi che tanto ricordano la giovane Eva il giorno in cui mise piede nel camerino di Margo Channing.
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*** Non abbastanza bella per diventare una star. Così veniva giudicata Bette Davis dalle Majors. E forse avevano ragione: lei non era bella. Era divina. Divino il suo modo di recitare, divino il suo sguardo languido e intelligente, divinamente intensa la personalità che metteva nei ruoli che interpretava. In "Eva contro Eva" la doppiezza del suo personaggio è il vero valore del film. Margo Channing, così si chiama la nostra protagonista, è capricciosa. Ovvio: è una diva! È capricciosa ma non è stupida, anzi. Margo è il prototipo di tutte le donne e la sua vicenda è lo specchio dell'esistenza femminile. "Eva contro Eva" ci racconta come la donna (il film è del 1950) sia prima cercata, vezzeggiata, amata incondizionatamente. Beh, si sa, è questo che accade in gioventù. Infatti ci mostra una figura femminile alla quale vengono perdonati capricci e scenate, dispetti e prepotenze. C'è in qualche modo un parallelo fra la storia di Margo e la "storia" della donna. Poi c'è la maturità, la presa di coscienza del tempo che passa, che nel film è raccontato non solo anagraficamente, ma anche professionalmente. Margo viene lentamente soppiantata da un'altra "Eva", un'"Eva" più giovane. Nella fattispecie, Eva Harrington. Ed ecco che ci viene da riflettere sull'esistenza femminile, troppo spesso scioccata dal passare del tempo che lascia una scia di rimpianto per la gioventù che, inevitabilmente, se ne va. Se ne va per lasciare il posto... a cosa? Cosa succede alla nostra Margo quando si accorge che non è più l'unica? Che non è più la più bella? La più giovane? La sola? Succede "la quiete dopo la tempesta". Al turbamento, la rabbia, il dolore del tempo passato, si sostituisce la consapevolezza della propria realtà e della propria solidità. Margo lascia a Eva i riflettori e decide di avere una vita più normale, più solida, più "buona". Ecco che "Eva contro Eva" ci racconta con uno splendido bianco e nero la conquistata maturità della donna nel corso della sua vita. Forse non avrebbe più senso al giorno d'oggi raccontare una storia in cui la felicità della donna ha il suo coronamento con l'amore e il matrimonio, ma non dimentichiamoci che questo film è del 1950. Quindi, se guardiamo con un sorriso la "soave" e un po' ingenua conclusione di questo film, non dimentichiamo le vere risate che questa pellicola ci fa fare, grazie a un Joseph L. Mankiewicz che firma una grande regia e una acutissima e divertentissima sceneggiatura. E non scordiamoci mai lo sguardo obliquo e consapevole di Bette Davis, donna e attrice strepitosa nella sua unicità, che incarna il difficile e importante percorso di vita delle donne di tutti i tempi. |
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