Dal legno del Kiri




[Racconto di Paola Manoni]


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durata 13 minuti - Credits




Nella sala di un rumoroso pub, fragrante di luppolo e di legno, un ragazzo con i capelli rossi e gli occhiali scuri beve la sua birra seduto a tavolino, in un angolo buio.
Attorno a lui si sta concludendo una serata rock, una festa di laurea.

Il festeggiato saluta i suoi ospiti che lasciano il locale; i musicisti ripongono gli strumenti e finiscono di bere la birra che hanno potuto sorseggiare solo tra una canzone e un'altra.
Il rock fa ballare e sul pavimento restano le tracce di un calpestio umido e qualche foglia sparsa di alloro, confetti rossi e coriandoli.
La cameriera inizia un giro di ricognizione, raccoglie i bicchieri lasciati qua e là nella sala e poi sistema le sedie sui tavoli.
Il ragazzo dai capelli rossi continua a bere con atteggiamento indifferente.

"Permetti"?!, chiede la cameriera avvicinandosi al ragazzo.

"...Prego?"

"...Ehm, la festa è finita e il locale sta per chiudere...."

"...Capito... vado via!"

Il ragazzo finisce la birra con un'ampia sorsata.
Si alza di scatto ma poi ricade indietro barcollando.

"Ti senti bene...?", chiede la cameriera, "Hai bisogno di aiuto?!"

Con voce confusa il ragazzo risponde: "...No, no, tutto a posto..."

"Non mi sembra, a giudicare dal tuo pallore..."

Il ragazzo prova ancora ad alzarsi ma nuovamente ricade seduto.

"Resta lì che ti porto un caffè...", conclude la cameriera.

La cameriera si allontana e intanto anche l'ultimo musicista va via.
Il gestore chiude la cassa e poi saluta la ragazza che è davanti alla macchina del caffè.

"Ecco qui... il rimedio della nonna contro ogni sbornia... caffè ristretto con due gocce di limone...", fa la cameriera al ragazzo.

"Guarda che ti sbagli!", tenta di difendersi il ragazzo, "Io sono lucidissimo... forse è proprio questo il mio problema...
Però il tuo caffè lo bevo lo stesso... ammetto di non sentirmi proprio in forma!"

"Vuoi dirmi che non hai bevuto?!
E questo boccale da un litro... completamente vuoto...?"

"Vero, ma non è causa del mio malessere... piuttosto la musica...."

"La musica... cosa vuoi dire?", chiede sorpresa la cameriera.

"Il mio problema è la musica, sì."

"La musica della band... non ti è piaciuta la festa?!"

Reticente, il ragazzo prova a spiegarle: "Io... io... potrei dirti che io sono l'ultimo erede dei bardi... poco m'intendo di rock... ma non mi crederesti!"

"Hai detto di essere un bardo... cosa vuol dire?!"

"Non sai chi furono i bardi?"

"Mah, che ne sappia io Bardi... non è un paese in provincia di Parma?
Mi pare che il cuoco del locale sia di lì!"

"No... non è un luogo... è ben altro!", scoppia a ridere il ragazzo.

"E vabbè, che male c'è a non sapere chi siano i bardi...", si giustifica la cameriera, "non so nemmeno come ti chiami tu!"

"Alan O'Neil... ma sono italiano figlio di irlandesi."

"Ma se sei italiano, sei anche bardo?!"

"Non è propriamente una cittadinanza ma... in effetti è una buon domanda... solo che per risponderti dovremmo parlare a lungo!"

"Non c'è problema, chiudo io il locale dopo la pulizia... possiamo parlare se vuoi... mi sei simpatico e ti ascolto volentieri!
Ma perché indossi quegli occhiali da sole..."

"Non vedo con gli occhi... ti vedo in altro modo e, sì, anche tu mi sei simpatica... volentieri ti racconto del mio mondo!"

"Aspetta!
Prima di iniziare la tua storia, vado a prendere dei biscotti... non ho mangiato prima di prendere servizio..."

La cameriera si allontana e quando torna, portando un vassoio carico di dolciumi, trova il ragazzo che accarezza un'arpa piccolina, di forma triangolare, con lati ricurvi.

"Carina... sicché ti piace strimpellare???", chiede lei.

"Ragazza... hai davanti a te lo strumento dell'arte dei bardi", dice solennemente il giovane, "l'arpa dei poeti itineranti che con la loro musica hanno tramandato la civiltà celtica... potremmo dire dalle antiche genti di Britannia, di Scozia e d'Irlanda fino ai giorni nostri!"

"Ah beh!
E' per questo che negli Euro irlandesi si trova il simbolo dell'arpa???"

"Brava, è proprio per questo...
L'arpa è un simbolo nazionale in Irlanda.
Ma già prima degli Euro... Enrico VIII, dopo la conquista dell'Irlanda da parte della corona inglese, fece coniare una moneta anglo-irlandese con l'emblema dell'arpa a suggellare l'unificazione tra i due regni...
Invece l'arpa sugli Euro, per dirtela tutta, sarebbe la rappresentazione dello strumento conservato al Trinity College di Dublino... che si dice sia appartenuta al mitico re Brian Boru."

"Oddio... e ora questo re chi è?", chiede la ragazza.

"Colui che scacciò i vichinghi e riunì l'Irlanda in un solo paese!
Il re era un raffinato poeta e componeva i suoi canti con l'accompagnamento musicale dell'arpa che è un oggetto magico nella tradizione celtica..."

"E l'arpa che è sul tavolo... è pure magica... ed è tua?!"

"Sì, è magica ed è mia.
E la musica che suono io proviene dalla tradizione celtica..."

"Ora capisco perché il rock in un pub irlandese ti faccia soffrire... va beh, dai, non ci badare!"

"Ma no, non patisco il genere musicale... stasera vacillavo sentendo una musica mal eseguita, diciamoci la verità... senza alcuna anima!", precisa Alan, "E poi soffro perché l'arpa, strumento sublime, è ormai tramontato quando invece ha trapassato le epoche...
Che buon profumo... i tuoi dolci... si possono prendere?"

"Ma certo, serviti!


Io non so nulla dell'arpa... l'associo giusto alla ninna-nanna e ai carillon di mia nonna... ma poco o nulla di più."

Il ragazzo, dopo aver finito di gustare degli ottimi frollini con mandorla e cannella, esegue un melodioso arpeggio che lascia senza fiato la ragazza.

"Ma il nome, arpa... da dove viene?", continua con gli interrogativi la cameriera.

"Se mi porti altri biscotti... te lo dico..."

"Sono sul vassoio... ecco che te li avvicino..."

"Molto bene... allora harpa... con l'acca davanti... viene dall'antico sassone e significa letteralmente pizzicare.

La cameriera non può trattenere l'ammirazione: "Mamma mia, quanto sei colto..."



L'arpa è suonata anche nel Sacro Romano Impero e nella terra di Britannia.

"ma questa che tipo di arpa è?"

"La mia è una piccola arpa celtica moderna... però se sei interessata a sapere di più su questo strumento ... vado avanti."

"Vai avanti... perché no?!
Ancora un po' e poi finisco di pulire il locale...

"Prima mi dicevi che la tua arpa è magica..."

"Forse lo sono tutte... la differenza la fa solo chi le suona..."

"Come sarebbe a dire??"

"Ti voglio raccontare una leggenda, nota come La leggenda dell'arpa domata ... se hai ancora tempo per ascoltare..."

"Ma sì, te l'ho detto... non è così tardi... racconta pure!"

"Tanto tempo fa, in una valle in Estremo Oriente si ergeva un maestoso albero, un Kiri.
Era un albero frondoso e antico.
La sua cima svettava altissima per parlare più da vicino con le stelle sicché le sue radici, per alimentare una pianta tanto grande, erano cresciute a dismisura e attraversavano così profondamente il suolo da essere intrecciate con le spire del drago d'argento che dormiva nel cuore della terra.
Un giorno si recò presso di lui un potente mago.
Vide i suoi rami e ne raccolse alcuni, più robusti.
Poi lavorò il legno per ricavarne un'arpa che completò dotandola di corde.





Ma non era certamente uno strumento convenzionale perché era dotato di uno spirito magico.
Le corde infatti erano inflessibili al tocco dei molti che provarono a suonarla.
Così si disse che solo il più grande dei musicisti avrebbe potuto ricavarne un suono.
L'arpa era considerata come un tesoro tant'è che venne custodita nel palazzo imperiale.
Passarono gli anni e i tentativi di ricavarne qualche melodia furono tutti vani perché il tocco delle corde, anche da parte di mani esperte, produceva al massimo qualche suono stridulo.
Insomma, sembrava proprio che l'indomito strumento magico non riconoscesse alcun maestro.
Ma un bel giorno arrivò un giovane e talentuoso arpista di nome Po Ya il quale, a differenza degli altri, prima di provare a intrecciare un qualche accordo sull'arpa, prese ad accarezzare il legno, come se fosse la criniera di un cavallo selvaggio.
Il legno si rivitalizzò e quando Po Ya iniziò a cantare della natura e delle stagioni, il legno ricordò di essere stato albero e permise alle corde di essere flesse.
Il canto fu come una brezza di primavera che sfiora i rami e spande il profumo dei boccioli.
E il suono liquido dell'arpa ricordò al legno le cascate d'acqua lungo i fianchi dell'albero nei giorni di pioggia.
Nel timbro più potente fu invece un ricordare la forza dell'estate e poi il ruggito della tigre nella foresta.
Poi il suono netto senza eco, delle dita che sulle corde si arrestano, evocò le notti d'inverno con la luna piena, dal freddo affilato come una lama.
Quando Po Ya intonò un canto d'amore l'arpa vibrò come una foresta ondeggiante, come un innamorato perso nei suoi pensieri.
La tonalità di nuovo mutò e Po Ya cantò infine la battaglia.
I suoni prodotti furono come il clangore di spade e scalpitio di cavalli in carica.
L'imperatore, che era presente, domandò all'arpista quale fosse il suo segreto, quale la formula magica che gli aveva permesso di suonare l'arpa in quel modo.
Po Ya ripose delicatamente lo strumento e rispose:
«Non ho recitato alcuna formula, anzi, non ho scelto alcun canto.
Ho lasciato che fosse l'arpa a scegliere il tema e quando ho suonato non sapevo più se Po Ya fosse l'arpa o se l'arpa fosse Po Ya...»
Così il ragazzo dimostrò che gli altri musicisti avevano fallito per il solo fatto di aver provato a cantare solo di loro stessi.
Il tocco diventa magico quando le corde più segrete del nostro spirito si destano e risuonano.
Se lo spirito parla allo spirito, allora udiamo l'indicibile e vediamo l'invisibile."

"Mi hai fatto venire la pelle d'oca con questo bellissimo racconto.
Vuoi dirmi che l'arpa parla più profondamente degli altri strumenti al cuore della gente?"

"Tutta la musica può farci riconoscere nella nostra essenza più spirituale.
Voglio dire solo che l'arpa è un veicolo che ci sa portare in una dimensione dell'anima... forse è un canale più facile di altri, sempre che riusciamo a prestare ascolto!
Prova ne è la sua antica provenienza ... e forse non è un caso che questo racconto orientale prenda in prestito proprio l'arpa per parlare di spirito e rovesciare, come fa sempre lo Zen, il punto di vista che appare più ovvio per dire invece dell'altro.
La morale di questa storiella dice che se noi suoniamo musica, noi apparteniamo alla musica.
In altre parole: se un'arte ci appartiene, noi apparteniamo all'arte e se noi vi apparteniamo, noi siamo arte."

"Certo che come si parla a notte fonda non si parla in alcuna altra ora del giorno... ce poco da fare!
Mi hai svelato il tuo mondo, ragazzo, e mi hai fatto conoscere molte cose che non avevo mai sentito!"

"Sai cosa diceva il poeta indiano Tagore?
«Di giorno l'uomo è cittadino del Mondo; di notte cittadino dell'Universo!»"

"Ah sì, la lezione è stata chiara!", lo rassicura la ragazza.

"Come l'alba che sta per sorgere?"

"Grosso modo, sì!
E' tempo che io riassetti il locale prima che torni il padrone... in mattinata aspettiamo i rifornimenti di alcolici... pensa se mi trova ancora col locale sottosopra!
Ma tu come torni a casa... vuoi che ti chiami un taxi?"

"Non preoccuparti per me, me la cavo bene col bastone."

Dopo aver mangiato l'ultimo biscotto, il ragazzo si alza e sistema la sua arpa in un porta strumenti a tracolla.
Poi recupera il suo bastone e lo accende.

"Ehilà, cos'è questo bastone?
Una bacchetta magica luminosa?", chiede stupita la cameriera.

"No, no... è molto più semplice...", minimizza Alan, "E' un bastone d'alta tecnologia per non vedenti: è un bastone laser."

"Incredibile... Molto ingegnoso...

Dopo essersi salutati affettuosamente, i due ragazzi si separano.
E voi, sapreste dire il motivo per il quale il kiri è considerato un albero magico?

 

 

 

 

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