La prima cronaca De Historia Signi

[Racconto di Giovanna Gra]

 



ascolta l'audioracconto[ascolta l'audioracconto]
durata 19 minuti


Questo il rapporto di me medesimo,
Pretoriano Sigillo,
che cavalcò quaranta giorni
e quaranta notti
per consegnare ai vostri atti
la prima cronaca De Historia Signi
nell'anno duemila, decine e rotti.

****


Nell'arcano corridoio di pietra, sandali pesanti, fatti di nero cuoio conciato al tannino e con esili fibbie tinte in quella sfumatura porpora cara a Cartagine, levavano e posavano con destrezza le loro suole.
Segno di gente risoluta, dagli intenti precisi, dal fato a favore.

Così, dunque, avanzavano i Cavalieri della Tavolozza, presso il Castello dei Vènti di Sartagena.

Il corridoio era umido, buio, di tanto in tanto illuminato dall'apparizione di antiche torce e pervaso dal tanfo dell'olio bruciato e rappreso che colava oramai da millenni.

Le lunghe ombre vegliavano gli antri impugnando echi lontani e sinistri, ostentavano sapore di morte e di muffa ben intarsiati nel tufo.
Minacciavano così, a loro modo, la presenza di segrete ove molti incapaci ed erranti avevano perduto il loro Oriente e con esso ricordi, ritorni e libertà.

Fra i coraggiosi che avanzavano decisi verso il nulla, al centro, le pallide mani di una donna sporche di viaggio, di umori, di notti insonni, impugnavano l'ampolla ove minute gocce di colore ondeggiavano paurosamente, come se la boccia contenesse in sé vento, rabbia e tempesta.

Improvvisamente, la faccia stanca e fiera di Plantilla Bistro venne illuminata da una delle torce lungo il muro.
Il frusciare delle divise di cuoio degli incoscienti e ignari erranti rompeva una coltre di silenzi a lungo tessuta fra anni ed eventi.
Coltre tesa sull'orlo degli imprevisti, ove ricami di vecchie imprese e altri mondi rimandavano a epici gesti e a un lavoro di rammendo e di spoletta ben orditi.

Del Castello dei Vènti di Sartagena, pochi conoscevano le mappe poiché nessuno, o quasi, ne era uscito vivo per poterle tracciare.

Nella torre più alta, dominando il mare, la croce dei venti e l'unico bivio verso il futuro, Ateneo Nebula della Chiazza, dominava incontrastato e feroce.
A lui Plantilla doveva chiedere stemma, oneri e onori.
Da lui doveva ricevere l'ambita consacrazione dei manuali e delle sue scritture.
La vera scienza dei segni.
Un viatico solenne per quel colore, l'inchiostro grigio, con cui scrivere quel tanto discusso e conteso trattato della semiologia della tinta.

Senza farselo ripetere due volte, Plantilla, scortata dai suoi pretoriani, entrò nella sala della torre più alta del castello, dove l'anziano Nebula la stava attendendo.

Due torce ardevano dalla storia dei tempi nell'ampia sala a pianta circolare.
Un doppio colonnato lambiva il pallido trono di marmo dove Ateneo sedeva immobile, il viso celato dietro a un ampio cappuccio, il saio bianco e l'animo perso nella memoria dei giorni passati.

I cardini delle vecchie porte pigolarono a lungo prima che esse venissero spalancate.
La penombra regnava sotto una nebbia umida e profumata d'incenso, di sandalo e d'ambrosia.

La giovane donna, per nulla intimorita, esclamò:
"Ave, o Nebula!
Dopo arduo navigare giungo finalmente al tuo cospetto per essere ammessa alla grande prova.
Ecco i libri!
Ecco il manuale!
Concedimi il favore, il tuo favore!
Consegnami, dunque, le ultime erudite regole affinché io possa esercitare in nome e per conto di coloro che da te mi hanno inviata.
L'Onorevole Spettro e i Pigmenti tutti, altrove, già attendono quel messaggero, Sigillo, che porterà seco la lieta novella."

Ateneo, sempre nascosto dall'ampio cappuccio del vecchio saio di candida canapa dalla trama incostante, rispose:

"Al dunque, eccovi Plantilla Bistro.
Mi avevano parlato di una giovane donna... ma la vostra voce rivela tempra, coraggio, determinazione ben oltre la vostra età."

Plantilla, ponendosi sotto il braccio l'elmo, replicò distratta:

"Può darsi, signore, ma non è per discutere del mio temperamento che ho intrapreso questo viaggio."

Ateneo sorrise a quelle parole, ma non lo diede a vedere.

"La giovinezza morde il freno.
Quasi lo avevo dimenticato.
So perché siete qui, Madama.
In effetti, vi stavo aspettando."

Sul volto della giovane un'ombra di stupore e d'inquietudine:

"Davvero conoscete già i miei motivi?"

"Davvero.
La verità è che avete in messer Albus White un buon amico.
Egli vi ha fatto precedere da una lunga missiva dove mi annuncia che vorreste conoscere da me nientepopodimeno che la teoria delle ombre."
Plantilla sorrise.
Era ovvio che stava pensando al vecchio Albus.
Un velo di nostalgia l'attraversò come una nuvola che si dissolse senza pioggia:

"Sir Albus White è come un padre per me.
Egli dice sempre il vero."

Ateneo, annuendo, si accomodò le pieghe del vecchio saio.

"Rebus sic stantibus, immagino che conoscerete le regole."

La donna lo guardò con aria di sfida.

"Indovinare o morire, questo il vostro motto."

"Così è", replicò lui con una malcelata vena di soddisfazione.

"Sono pronta.
Sarete la mia Sfinge.
Consegnatemi le formule della teoria delle ombre e io risponderò alla vostra letale domanda.
Accetto sin da ora il vostro insindacabile giudizio.
Se mancherò la risposta, gettatemi pure dalla più alta delle vostre torri.
Non meriterò di meglio.
Procediamo, or dunque."

Ateneo ebbe un moto di simpatia per quella ragazza.
"Perché Albus non l'ha sconsigliata?", continuava intimamente a domandarsi...

"Fanciulla, siete giunta dall'aldilà del mondo per conoscere la teoria delle ombre e la prospettiva che esse governa.
Non è sapienza per tutti.
Si tratta di conoscenza che viaggia sul crinale dello scibile e della magia."

Fece una pausa.

"Governare le ombre..."

Poi un lungo sospiro...
"...S'entra nei domini di Ade."

Quindi, ripeté quasi fra sé:

"Governare le ombre...
Ah, senza dubbio è competenza di un Dio."

Poi, si schiarì la voce.

"Quello che voglio dire, Plantilla Bistro, Madama, è che non è da tutti."




Lei gettò indietro la sua lunga chioma di capelli rubini.

"No, non è da tutti, ma possedere le teorie del colore senza le norme della profondità, umana cosa non è.
Che dignità potrei mai avere nel regno delle tinte?
Mettetevi nei miei panni:
ho bisogno di tracce, di segni, di forme, perdiana, d'icone!"

Le parole della fanciulla ridondarono nella stanza.

"Sta bene.
A noi."

Il vecchio si alzò e incominciò a disegnare nel vuoto, tracciando linee invisibili con le mani.


"La prospettiva è quella magia che consente, in uno spazio a due dimensioni, di creare l'illusione della profondità.
E' un gioco di prestigio fra angoli.
Un'apparenza dei segni.
Chimera di punti.
Inganno delle righe.
Il gioco fatuo fra le scie.
Rotte in fuga.
Punti di vista lontani."

"Pendo dalle vostre labbra, signore, voi siete il custode del mio sapere.
Voi, nei secoli, avete dispensato questo sapere, avete giudicato i questuanti, i viaggiatori erranti, i naviganti curiosi.
Voi siete il saggio...
io mi limiterò a vergare quel che ascolto."

Detto ciò, ella estrasse carta e cannuccia e intinse quest'ultima nella preziosa ampolla.
Quindi borbottò:

"Il saggio vive in una prospettiva senza tempo ci diceva Seneca.
Buffo no?"

Ateneo attese di sentire la punta della cannuccia che scorreva sulla pergamena, quindi commentò:

"Buffo?
Forse è proprio quel detto che ci svela l'arcano.
Solo colui che vive in una prospettiva senza tempo può conoscere il mondo illuminato dal sole e quindi l'altro, il suo omologo, spento dalle ombre.
In un gioco di fughe lontane, di storia e ricorsi, d'inizio e distanza."

Attese una risposta che Plantilla non fece tardare.

"Certo, la prospettiva è il mezzo per guardar lontano."

Il vecchio si compiacque della risposta.

"Complimenti, Madama, complimenti.
Le vostre parole ci fanno ampiamente intuire che la materia, quella, l'avete studiata!
Prospectivus, questo della formula il principio, cui l'etimo ci narra di colui che ci assicura la vista.

La vista, infatti, mia signora, risiede nel passato ed è fatta della pasta della memoria.
Poiché è dalla memoria che stabiliamo il futuro.
Perciò, in questi antri ove io regno, è ancora possibile dubitare con Carneade.
Ragionare in versi con l'altissimo Aristotele.
Contemplare gli spazi insieme a Parmenide.
E patire dell'umido insieme a Talete.

Le vedute prospettiche della memoria e della storia non temono il buio e non temono ombre.
Ma forse voi volete che io vi dica che è tutta un'illusione?
E allora ve lo dirò.
La prospettiva è illusione.
È quella terza dimensione che non c'è."

Il vecchio sospirò profondamente, quindi continuò:

"E dunque, che meraviglia è?
E ha costrutto la meraviglia?
Ci si potrebbe domandare...
Ma...
come diceva qualcuno:
Gli uomini del nostro tempo non hanno forse incominciato a filosofare a causa della meraviglia?
E' così.
E' così."

Ella distolse un istante lo sguardo dal suo scritto.

"Eppure, io ho sentito, ne son certa, parlare i lumi di punti di fuga, di vista, di porzioni di spazio..."

Ateneo ebbe un gesto di stizza:
"Convenzioni!
Il campo visivo avrebbe un'apertura angolare pari a 60 gradi?
Con-ven-zio-ni!
Questa, invero, sarebbe la misura dello sguardo dell'uomo e la sua percezione?
Ma se io, oggi, posso immaginare oltre le colonne d'Ercole, oltre Colono?
Ci sarebbe qualcuno disposto a ricalcolare i miei gradi?
No.
Non c'è.

Perché io ho un terzo occhio, quello della visione prospettica della storia dell'uomo.
Da lì vedo cose che gli uomini pavidi non avranno mai il coraggio di guardare!
Dunque?
Sono solo convenzioni."

Plantilla ci pensò su, poi chiese:

"La prospettiva dunque è un inganno?
Ammettiamolo!"

"Lo è, mia signora.
Un inganno ineffabile e arguto.
Tutto si posa su una traccia.
Questa divide in due il piano di proiezione di un oggetto di cui vogliamo mostrare la profondità.
Su questa linea, detta orizzonte, si posano il punto di vista dell'osservatore e due punti di fuga dove convergono le linee che daranno profondità.
Se parlassimo di suoni, i punti di fuga sarebbero il luogo più lontano.
Il luogo, in questa stanza, dove muoiono i riverberi dell'eco delle nostre voci.
Come un sistema in stereo dove dall'emissione dell'altoparlante di sinistra (la fuga) e dell'altoparlante di destra (l'altra fuga) nasce un suono fantasma nel centro (il nostro punto di vista).
L'esperienza, poi, ci insegnerebbe che, spostando il nostro punto di vista o di ascolto, la percezione muta.
L'ascolto sarebbe diverso, forse parziale, non bilanciato.

Ebbene, è con lo stesso criterio che si muovono le ombre attorno a un oggetto.
Influenzate dal nostro punto di vista esse si muovono, si mostrano o si nascondono alla luce."

Plantilla, dominando una ciocca di capelli ribelle, chiese:
"E dunque, seguendo queste regole...?"

"...Seguendo queste regole", le fece eco lui, "...gli oggetti distanti sembreranno più piccoli rispetto a quelli vicini.
Due binari paralleli sembreranno convergere nell'infinito.
E il rosso, tendenzialmente, si avvicinerà all'osservatore."

Ella, appuntando la cosa, commentò:

"Da cui, per la legge degli opposti, se ogni cosa rossa sembrerà avvicinarsi al punto di vista, devo arguire che ogni cosa blu sembrerà più lontana?"

"Esatto.
Assurdi scherzi della percezione.
E, come nel suono, in cui le alte frequenze si attenuano se quello giunge da lontano, il nostro, l'oggetto, diviene più chiaro tanto più è distante e meno nitido."

Plantilla tracciò alcune righe e poi disse:

"È dunque legittimo pensare che gli oggetti più vicini sembreranno più brillanti?"

"E' legittimo e consentito", confermò Ateneo soddisfatto.

"Dunque la distanza...", proseguì lei fra sé appuntando il tutto meticolosamente sulla pergamena,
"...leva intensità."

"Esatto.
L'opposto che avviene in un suono dove, aumentando l'intensità di un riverbero, si crea l'illusione che arrivi da lontano.
Ma, bada, suoni a parte, queste leggi non valgono per il bianco, che sarà solo leggermente più scuro ma sempre bianco."

"E i dettagli?"

"Ne porrai numerosi sugli oggetti in primo piano.
Mentre tenderanno a perdersi quelli che giacciono sullo sfondo."

Plantilla, quasi fra sé:
"Più dettagli da vicino, meno dettagli da lontano..."

"Ma bada, non con enfasi matematica.
Ascolta cosa disse Leonardo:
«Delle ombre tu non discerni limiti, e non le farai precise perché la tua opera non sia di legnosa risoluzione»..."

"Oh, beh, certo, certo!
Mi domando, tuttavia, dell'aria...", chiese lei seria.

Ateneo replicò placido:

"Egli, Leonardo, ebbe a dire anche di essa, dell'aria.
E disse che, poiché l'aria non è un mezzo trasparente e con l'aumentare della distanza dal punto di osservazione essa rende i contorni più sfumati, i colori saranno sempre meno nitidi e la loro gamma tenderà all'azzurro."

"All'azzurro, dite? Ma quale assurdità!"
sorrise lei.

"Assurdità della percezione", reiterò Ateneo.

"E al suolo e sulla cima?", domandò ancora la ragazza.

"L'aria appare, invero, più densa attorno al suolo e più chiara verso l'altezza.
Sarà la presenza degli angeli, io credo", rispose il vecchio molto sicuro.




"Queste sono le regole dell'illusione, dunque?
Io mi domando, allora:
il mio sguardo cosa guarda?
E mi dico, adesso, che il mio sguardo è lo sguardo di un'illusa!"

Egli tossì, ma parve, sotto, sotto, un risolino.

"Cosa t'aspettavi, dunque?
Te lo dissi dal principio:
l'unico occhio che vede è quello della memoria.
Quello della conoscenza, della storia."

Ateneo Nebula si tolse il cappuccio che lo teneva in penombra.
Plantilla non riuscì a serbare il suo stupore: egli era cieco, come i più grandi.
"Voi... come Omero...", sussurrò lei.
"Oh, già", sorrise lui e aggiunse:
"Per parlare dei filosofi, avevo dimenticato il magnifico."

"Dovete sottopormi alla prima prova adesso?", domandò lei con un fil di voce.
Lui annuì.

"Così è scritto, ora che sapete.
E se non sarete in grado di rispondere, sarete gettata dall'ogiva della torre più alta."

Chiese così, ella, mentre pareva un po' desolata:
"Avete consigli da darmi?"

"Quel che disse il grande Giordano Bruno:
«Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi.
Nascendo in questo mondo cadiamo nell'illusione dei sensi.
Crediamo a ciò che appare.
Ignoriamo che siamo ciechi e sordi.
Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo zodiaco»..."

Passarono alcuni istanti interminabili.
Quindi Ateneo Nebula si dispose per la domanda:

"L'acquarello non è verde ma rosso.
L'acquarello non è bianco ma violetto.
L'acquarello non è ocra ma marrone.
L'acquarello non è blu ma...?"

Per la prima volta i pretoriani, che accompagnavano Plantilla Bistro, mostrarono una poco dissimulata e crescente agitazione.
Plantilla non vi fece caso, concentrata com'era sulla risposta da dare.
Attimi infiniti, molto silenzio fratto a istanti d'eternità. Quindi rispose:

"Giallo."

Ateneo Nebula non fece smorfia.
Estrasse da una scatola una pergamena e si accinse a decretare la sentenza.

"Lascio la Teoria delle Ombre nelle vostre mani, signora, ve la siete guadagnata."

Plantilla esultò mentre i suoi uomini si guardavano attoniti senza capire.

"L'inganno celato dietro alle apparenze! Così ho superato la prima prova!
Dunque non erano i colori, ma le lettere doppie, il segreto?
La doppia L dell'acquarello, ripetuta nella domanda, suggeriva la soluzione di una doppia L nella risposta."

Ateneo annuì e lascio cadere la pergamena nelle di lei giovani, nervose e splendide mani.

Quanto dovevo riportare ho riportato,
in fede,
senz'enfasi
non risparmiando fiato.
Com'è andata io l'ho raccontata.
Così si compì,
in memoria di Sigillo,
la prima giornata.

 

 

 

 

 Torna al Menù racconto  Torna al sommario